Una popolazione segnata dalla guerra alla ricerca di ciò che unisce e riconcilia

L’Iraq: un Paese incantevole, con un lungo e meraviglioso passato e un ricco patrimonio culturale. Abitato da personaggi che hanno segnato la storia: pensiamo ai filosofi Al-Kindi e Al-Tawhidial, al poeta Al-Mutanabbi o al matematico Al-Khwârizmi. Il mio pensiero corre anche a Louis Massignon, uno dei più grandi esperti occidentali dell’islam, uomo convertito alla fede cattolica, che a lungo soggiornò a Bagdad. E sarà proprio lì che acquisirà quelle conoscenze e quelle competenze che gli consentiranno – nel XX secolo – di attirare l’attenzione di tante altre persone – laici, preti e suore – sulle ricchezze culturali, umane e religiose, presenti nell’islam.
Bagdad, Koufa, Al Najaf, Babiloniai, Samarra, Ur: ecco alcuni esempi di città e luoghi che non possono che attirare l’interesse e la curiosità per la loro bellezza e il loro passato storico. Così come Mosul, col suo antico centro, le sue incredibili moschee, come quella di al-Nouri; le sue chiese, quella dell’«orologio» e le sue antiche abitazioni. Ma lì la guerra ha distrutto tutto.

Fino alla fine degli anni ›80, la pubblica amministrazione irachena ha investito molte risorse per istruire e formare la popolazione, permettendo così ai giovani di accedere agli studi. Anche il regime di Saddam Hussein seguì questa via e una parte della popolazione ha così potuto conservare l’importante eredità culturale sorta in questa regione del mondo e trasmetterla ai posteri.
Anche se questo non discolpa Saddam dai crimini che furono commessi sotto il suo governo. Due guerre, nel 1990 e nel 2003, legittimate nel nome di una presunta promozione della libertà, hanno distrutto l’Iraq, eliminando gran parte di quel patrimonio culturale che permetteva a persone di diverse credenze, di coabitare. Due guerre che hanno distrutto l’immagine di questo Paese, cancellando gran parte della sua ricchezza umana e culturale. Centinaia di migliaia i morti, milioni i profughi e gli emigranti. Secondo le statistiche dell’Unicef, oggi, il 70% della popolazione irachena ha meno di 30 anni. Che valori e che tradizioni del loro ricco passato, dopo oltre tre decenni di guerra e di sofferenze, hanno potuto acquisire questi giovani?

Questa è la realtà con la quale papa Francesco dovrà misurarsi. Una popolazione giovane, vittima di persecuzioni, maltrattamenti, violenza. Una persecuzione che riguarda tutti e non può focalizzarsi su un gruppo specifico, cercando una volta di più, di giustificare le ragioni di una guerra. Il viaggio di papa Francesco è un’occasione per orientare i nostri pensieri verso tutti i cittadini e tutte le cittadine dell’Iraq, perseguitati e martiri di una guerra che ha trasformato il loro, ma anche il nostro, mondo. Grande è il rischio che la nostra società globalizzata diventi, via via, meno umana e aperta alle diverse culture, tradizioni e religioni che arricchiscono i percorsi di vita di ognuno di noi. Visitando la Piana di Ur il 6 marzo, il Papa si recherà nella regione dove è nato e cresciuto Abramo. Un’occasione per meditare sul senso della fede, dell’amore e della libertà che Dio ha rivelato tramite la testimonianza di Abramo, a milioni di persone, di cultura e religioni diverse, ma unite dall’amore e dalla carità, infusa nell’anima di ciascuno di noi.

Roberto Simona,
esperto di Islam

4 Marzo 2021 | 06:39
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