Un patrimonio storico-religioso salvaguardato grazie alla scuola
Un progetto lungo sei anni, una cinquantina, di anno in anno, gli allievi coinvolti tra i 15 e i 19 anni, 65 le cappelle recensite, studiate, documentate a fondo e un luogo di lavoro del tutto particolare. A partire dal 2014, una settimana all’anno, il Convento dei frati cappuccini di Faido, si è trasformato in un vero e proprio «laboratorio» per numerosi studenti della Scuola d’arti e mestieri (SAM) di Trevano. Ospiti della struttura, gli apprendisti disegnatori di architettura e ingegneria civile della scuola, accompagnati e guidati da alcuni professori, hanno potuto recensire parte delle oltre 300 cappelle della Media Leventina, che ora, grazie a questo paziente lavoro di monitoraggio terminato quest’anno, hanno un nome e un’identità.
Un servizio reso alla collettività
Un’iniziativa presto diventata un servizio alla collettività – a enti cantonali, comunali e patriziali – e che nasce, in origine, dalla segnalazione dell’ingegnere forestale Alberto Giambonini, che aveva percepito la preoccupazione per il destino di questi manufatti sulle vie ascensionali storicamente più importanti; per questo, proprio nel 2013, si era rivolto all’architetto Romano Guzzi, professore a Trevano. «Le cappelle erano già state in parte catalogate sia dall’Ufficio beni culturali del Canton Ticino che dal Centro di dialettologia ed etnografia del Canton Ticino, ma la documentazione necessitava di approfondimento. In particolare, bisognava tornare sul cosiddetto rilievo architettonico e sullo stato di conservazione delle strutture», fa notare Guzzi.
I dati in una pubblicazione
Un impegno non da poco: la rilevazione chiedeva spesso di uscire dal convento il mattino presto, per poi tornare verso il tardo pomeriggio nella struttura per rielaborare i dati raccolti. Didatticamente il progetto si è rivelato ideale: «Ci ha permesso di far lavorare gli studenti più giovani con quelli più avanzati. A Faido, infatti, abbiamo mandato allievi sia del primo, che del secondo e del terzo anno, coinvolgendo in un primo momento anche le quarte classi», spiega la direttrice della scuola Cecilia Beti. I dati raccolti saranno presto resi noti in una pubblicazione, che sta curando il prof. Cesare Casale.
Un percorso spirituale
Ma intanto, ci rivela il prof. Guzzi, c’è già chi, nel comune di Faido, ha pensato di poterne far nascere, in un futuro non molto lontano, un percorso spirituale da offrire ad eventuali «turisti del sacro». «Lavori come il nostro aprono gli occhi, indicano possibili piste di lavoro. Noi abbiamo fatto la nostra parte documentando quanto c’è ancora, ora bisognerebbe che qualcuno, dopo di noi, si mobilitasse per identificare, concretamente, degli interventi di salvaguardia, magari tramite la collaborazione con altre scuole professionali».
Uno studio della SUPSI
A testare questa prima possibilità di collaborazione, la restauratrice SKR Maria Mazza, che è partita dal lavoro degli studenti di Trevano per il suo lavoro di master presso la SUPSI. Tra le cappelle prese a campione per uno studio storicoconservativo, ha individuato un caso di studio su cui eseguire un intervento di restauro: la cappella di Muriengo, un edificio comunemente ritenuto del XVII secolo. La cappella internamente è integralmente dipinta: sono raffigurati San Giacomo, sulla parete di destra e San Lorenzo, sulla parete di sinistra. I santi sono riconoscibili grazie all’iconografia classica: gli abiti da pellegrino, il bordone e la zucca, nel caso di San Giacomo; la graticola nel caso di San Lorenzo. San Lorenzo è il santo patrono di Rossura; a lui e a Sant’Agata è infatti dedicata la chiesa del paese e proprio la graticola compare come elemento principale nello stemma del comune.
In realtà, le cappelle considerate dalla dott.ssa Mazza sono state molteplici, prima di inviduarne una in particolare: «Durante la prima fase, il lavoro ha riguardato un’indagine storico-tipologia delle cappelle e uno studio del loro rapporto con il territorio. L’indagine mi ha permesso di osservare che la maggior parte delle cappelle della Val Leventina sono situate lungo i percorsi e le vie storiche della valle. Tra queste vie la principale e la più antica è la Strada Alta che attraversa tutta la valle Leventina e che secondo molti storici è stata la prima «Via delle genti» verso il Gottardo».
«Ho stabilito di selezionare le cappelle presenti sulla Strada Alta, in particolare lungo il tratto compreso tra Osco e Anzonico. Tra queste ne ho scelte 20 a campione che sono stato oggetto della Proposta di Schedatura conservativa. Ho scelto le 20 cappelle in modo che fossero rappresentative dal punto di vista conservativo per avere una casistica di riferimento più ampia possibile».
«La schedatura conservativa delle cappelle mi ha permesso di individuare le cause di degrado maggiormente ricorrenti, in particolare: il contesto ambientale di tipo montano e boschivo a più di 1000 metri di quota; il contesto delle costruzioni, spesso parzialmente interrate e gli agenti atmosferici, in particolare la neve il cui carico sulle coperture è spesso causa del crollo delle stesse e di cedimenti strutturali importanti. I fenomeni di degrado ricorrenti sono nello specifico: i distacchi e le cadute dell’intonaco in corrispondenza dei basamenti degli edifici, derivanti dall’umidità di risalita capillare e la conseguente circolazione di sali solubili; la vegetazione infestante e le patine biologiche derivanti anch’esse dalla presenza di umidità nelle muratura e dal contesto ambientale», conclude la dott.ssa Mazza.
Il futuro
Queste cappelle sono parte di un patrimonio che, non essendo tutelato, rischia di andare perduto. Anche per questo il lavoro degli studenti di Trevano potrebbe non finire qui. «Ci giungono richieste da più parti. Infatti ci sono anche altre zone altrettanto ricche dal punto di vista di questi manufatti, di cui molti non sono ancora stati rilevati architettonicamente: la sola Vallemaggia, ad esempio, conta oltre 498 cappelle. L’auspicio è che questo lavoro possa continuare, ma sarà fondamentale l’interesse degli enti privati nel volerci sostenere in questo lavoro di rivalorizzazione», conclude Guzzi.
Segni sul territorio per proteggere i viandanti
Il lavoro svolto dagli studenti di Trevano è stato presentato il 24 ottobre durante una serata pubblica nel comune di Faido, cui ha preso parte, oltre agli studenti realizzatori del progetto, anche Fabrizio Viscontini. Lo storico ha messo bene in evidenza come, grazie al paziente lavoro di monitoraggio,le capelle siano ora in grado di fornirci preziose indicazioni sulla devozione della gente della Val Leventina. «Sono costruzioni il cui significato travalicava quello cultuale: avevano, parafrasando il grande storico Jean Delumeau, la funzione di rassicurare e proteggere il viandante. Esse sorgono inoltre in una società agro-pastorale, molto tributaria del rinnovo delle stagioni, che avvertiva le conseguenze di inverni troppo lunghi o di estati estremamente piovose. È il caso, ad esempio, della croce – in questo caso non si tratta di una cappella – piantata dai faidesi all’inizio dell’attuale ponte del Maglio a Faido; dopo l’alluvione del 1659. Sappiamo che gli abitanti avevano fatto un voto: raggiungerla in processione una volta all’anno per pregare». Le cappelle ci permettono di capire la storia culturale e religiosa di una popolazione almeno fino al 1800 inoltrato: «Comprendiamo, soprattutto, che in una società senza apparenti protezioni e molto più esposta e fragile rispetto alla nostra, era fondamentale sentirsi rassicurati da una presenza». Lo esemplifica la cappella della «Boda», situata anticamente in prossimità dell’attuale Casa per anziani di Leventina, sempre a Faido. Studi etimologici, come quelli condotti da padre Angelico Cattaneo – il secondo grande storico della Valle – vorrebbero che il nome si riferisca alle epidemie di peste del 1600. Ma in realtà, ci spiega Viscontini, se guardiamo al territorio, vediamo che essa è posta a margine del fiume Formigario. Il riferimento toponomastico sarebbe quindi da ricondurre piuttosto ai fenomeni alluvionali e al materiale trasportato a valle dal fiume.
Laura Quadri