Ticino e Grigionitaliano

Giornata del Malato: riflessioni di un medico ticinese

di Gianni Casanova *

Dopo l’annullamento del tutto estemporaneo, imprevisto ed impensabile delle manifestazioni per la Giornata del Malato dello scorso anno (1° marzo 2020), alla luce dei dodici mesi trascorsi, ecco che la ricorrenza non può non assumere nel 2021 un carattere, una valenza, del tutto particolari. Non temo dunque di annoverare questo fatto fra i «risvolti positivi» generati dalla pandemia.

All’inizio del ›900 le infezioni che si propagavano per contagio (una su tutte la tuberculosi) costituivano la principale causa di morte in tutti gli strati della popolazione – fino all’inizio dello scorso anno, se mai ci capitava di pensarci, ritenevamo questa evenienza ancora possibile ma senz’altro circoscritta a terre e popoli lontani. Ecco che da poco più di un anno abbiamo quotidianamente l’occasione di sperimentare molto da vicino la portata della nozione di «contagio» e delle sue conseguenze epidemiologiche. Il 7 marzo 2020 si contavano nel mondo meno di 3’000 decessi per il Covid-19; le cifre attuali sono certamente a conoscenza di tutti…

Due anni or sono, a novembre, grazie ad una particolare contingenza, in occasione della Giornata dei Poveri ho improvvisamente intuito la profonda differenza che intercorre tra il parlare di «povertà» o di «poveri». La povertà può rimanere un concetto astratto. Il povero per contro ha un volto, ha due occhi che ti guardano, un corpo – una persona dunque totalmente equivalente alla mia. Di riflesso mi sorge spontaneo il parallelo fra i termini di «malato» e «malattia».

San Francesco provava grande repulsione dalla «malattia della lebbra», in seguito fu però inequivocabilmente attratto dal «lebbroso» che, come Gesù, e non senza fatica, è riuscito ad avvicinare, toccare e baciare.

Noi medici e paramedici siamo chiamati a vincere o per lo meno lenire le malattie, ci mancherebbe altro. Quando praticavo la professione di medico con una importante attività chirurgica, trovandomi di fronte un individuo malato, che riponeva quindi in me la sua fiducia, mi era di grande aiuto e conforto ripetermi la locuzione del Vangelo: «medico cura te stesso» (Lc 4,23). Come ci ricorda papa Francesco nel suo messaggio in occasione della XXIX Giornata mondiale del Malato: la critica che Gesù rivolge a coloro che «dicono e non fanno» (v. 3) è salutare sempre e per tutti, perché nessuno è immune dal male dell’ipocrisia, un male molto grave, che produce l’effetto di impedirci di fiorire come figli dell’unico Padre, chiamati a vivere una fraternità universale. È così facile che, proprio il medico, si lasci prendere la mano e si trasformi in un onnipoten-te… ipocrita.

Un ulteriore aspetto che mi ha sempre dato da pensare e in occasione della Giornata del Malato vorrei far emergere, è il fatto che la malattia in maniera più o meno marcata genera dipendenza: improvvisamente non sei più tu a decidere ma un altro, ti trovi magari a non essere più in grado di adempiere ai compiti più elementari. Penso ai malati di Covid tracheostomizzati in cure intense, ma anche al sentimento di paura che accompagna la maggior parte delle persone malate e le rende dipendenti dalle nostre parole, dall’atteggiamento che teniamo nei loro confronti. La Madre di Gesù non stava ai piedi della croce a teorizzare… semplicemente stabat.

Per non aggiungere ulteriori parole alla tante già dette, più autorevoli delle mie, vorrei concludere ricordando il verso finale del sonetto n. 13 di Giovanni Orelli (Né timo né maggiorana), probabilmente ripreso da una citazione di S. Bernardo di Chiaravalle: «Misura per amare è amare, sempre, senza misura».

*presidente Associazione medici cattolici ticinesi

7 Marzo 2021 | 07:09
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