Ticino e Grigionitaliano

Un luogo di accoglienza in piena Lugano: la chiesa di S. Carlo Borromeo e l'omonima confraternita

Fa parte di una delle cinque confraternite del centro città luganese ed alle spalle ha venti generazioni di persone che nel tempo l’hanno sostenuta: la Confraternita di S. Carlo Borromeo – il cui punto di riferimento è la chiesa di S. Carlo in via Nassa a Lugano – festeggia quest’anno i suoi 400 anni di vita. Il 3 novembre, in occasione del giubileo, il vescovo di Lugano mons. Lazzeri presiederà alle ore 11.00 una Santa Messa, mentre per il prossimo anno, verrà organizzata una settimana di studi intensivi presso la Facoltà di Teologia di Lugano, dal 10 al 14 febbraio 2020, sull’attualità del messaggio di San Carlo Borromeo e la sua diffusione nel mondo.

Intanto, vi riproniamo l’intervista al Priore della Confraternita, Guido Baumann, entrato in carica nel 2011.

Signor Baumann, come siete arrivati a far rivivere la Confraternita? «Quando, nel 2011, sono diventato Priore, i membri della Confraternita erano rimasti solo due. Ora siamo in 100. Questo è dovuto a una forte ripresa delle attività. La chiesa di S. Carlo ad oggi è luogo dove si fa comunità. Abbiamo ripreso delle consuetudini sopite a causa dell’incuria del tempo, a cui la gente si è nuovamente affezionata. La nostra missione è fare in modo che le celebrazioni liturgiche siano decorose e partecipate. La gente lo percepisce e lo apprezza. Dal 2011 la Santa messa feriale si svolge ad esempio sul mezzogiorno, un orario molto apprezzato. Il nostro è un apostolato della preghiera, rivolto a quelle persone che cercano una comunità viva; non inventiamo nulla, ridiamo semplicemente alla chiesa quel motivo d’essere per cui è stata fondata».

Come si inserisce la Confraternita nel tessuto diocesano? «Quello che offriamo è anzitutto l’ascolto dei molti fedeli che passano nella chiesa di S. Carlo. La cosa interessante è che di questo ascolto si incaricano anzitutto i fedeli laici, che diventano un tramite con i sacerdoti qualora ce ne fosse bisogno. Penso ad esempio all’instancabile lavoro del vicepriore nonché sagrestano e di sua moglie, Mauro e Patrizia Martini. Essi sono affiancati anche da una serie di sacerdoti che si mettono a disposizione dei pellegrini. Coinvolgiamo, in particolare, i sacerdoti ospitati nel convitto di Loreto, perlopiù studenti alla Facoltà di teologia di Lugano. Per loro è anche l’occasione di rendere vivo  e concreta il loro ministero sacerdotale e fare esperienza con la lingua italiana. A questi sacerdoti chiediamo, una volta rientrati nel loro Paese, di diffondere il culto a S. Carlo Borromeo. Sappiamo che in Cile è stata costituita una cappella in suo onore. Il messaggio di S. Carlo per l’oggi è attualissimo: penso all’humilitas, che cita anche il nostro Vescovo nella sua ultima lettera pastorale».

Dunque, la chiesa di S. Carlo come luogo di incontro…

«Sì, la nostra vera conquista è quella di aver vinto la ritrosia di alcuni fedeli, che vedevano la fede come qualcosa di personale, intimo e soprattutto non condivisibile. A questa mentalità opponiamo l’idea, invece, di una Chiesa aperta, «in uscita», di cui simbolo è il nostro portone sempre aperto. D’estate, quando il lungolago di Lugano è pedonalizzato, la chiesa rimane aperta fino alle 22. Penso anche ai nostri statuti: i primi tre punti sono dedicati all’edificazione e crescita spirituale dei membri della Confraternita, il quinto all’amministrazione della chiesa, di nostra proprietà, che deve diventare luogo d’incontro e scambi fecondi. A questo proposito, abbiamo anche offerto a diversi gruppi di preghiera un luogo in cui riunirsi. Penso alla chiusura del Convento dei Cappuccini a Lugano. Il gruppo di preghiera di Padre Pio che si riuniva nella loro chiesa oggi si riunisce da noi.   In seguito si è aggiunto il Gruppo «Maria Regina Pacis». Inoltre, da secoli, la chiesa di S. Carlo è crocevia di moltissime devozioni, tra loro anche molto diversificate: da quella al gesuita San Saverio, alla Madonna della Cintura, a Padre Pio ed alla Madonna di Fatima. Ogni devozione è testimonianza da una serie di oggetti sacri, che abbiamo raccolto e conserviamo con dovizia. Da sempre, insomma, la chiesa è al centro della vita ecclesiale e può diventare preziosa testimonianza della vitalità della nostra Diocesi».

Fate qualcosa di preciso anche per i giovani?

 »Certamente; una convinzione che mi guida come Priore è che la Chiesa appartiene al futuro, ai giovani. Per questo abbiamo coinvolto nell’animazione delle liturgie i giovani missionari della Comunità di Palavraviva. Inoltre, abbiamo intuito l’importanza di rievangelizzare le famiglie partendo dai bambini. Una volta ho visto una bambina che entrando in chiesa ha chiesto alla mamma perché era necessario fare il segno della croce. La mamma non sapeva rispondere. Da questo semplice episodio è nata l’intuizione di distribuire a tutti i bambini che visitano la chiesa di S. Carlo un piccolo rosario, da portare nelle loro famiglie e da recitare; ne abbiamo distribuiti oltre diecimila e, ne sono certo, hanno provocato una serie di domande a cui dover rispondere.

Vedi anche la conferenza tenuta in occasione dell’arrivo, nella chiesa di S. Carlo, del «San Francesco in meditazione» di Caravaggio, proprio per celebrare questi 400 anni.

Laura Quadri

28 Ottobre 2019 | 12:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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