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Udienza, il Papa: i santi, «nostri fratelli e sorelle maggiori»

Il Papa ha dato il suo sostegno pubblico alla campagna per una nuova legge italiana di iniziativa popolare sull’immigrazione, a conclusione dell’udienza generale in piazza San Pietro, dopo avere incontrato nei giorni scorsi, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, un gruppo di richiedenti asilo ospiti delle parrocchie romane. Nel corso dell’udienza Francesco si è soffermato sui santi, «nostri fratelli e sorelle maggiori», sottolineando che non è vero che «è più facile essere delinquenti che santi» e che la nostra storia ha bisogno di «persone che rifiutano ogni dominio, che aspirano alla carità e alla fraternità». Il Papa ha ricevuto, prima dell’udienza, una della National Football League statunitense.

In occasione della Giornata mondiale del rifugiato che «la comunità internazionale ha celebrato ieri», ha detto il Papa a conclusione della catechesi, «lunedì scorso ho voluto incontrare una rappresentanza di rifugiati che sono ospitati dalle parrocchie e dagli istituti religiosi romani. Vorrei cogliere questa occasione, della giornata di ieri, per esprimere sincero il mio apprezzamento per la campagna per la nuova legge migratoria «Ero straniero, l’umanità che fa bene», la quale gode del sostengo ufficiale di Caritas italiana, fondazione Migrantes e altre organizzazioni cattoliche».

 

Si tratta di una legge di iniziativa popolare, promossa tra gli altri da Caritas, Migrantes, centro Astalli, fondazione Casa della carità Angelo Abriani, Acli, Radicali italiani, Arci, Asgi, Cnca, e un’ampia rete che conta già oltre 120 sindaci, che intende cambiare le politiche sull’immigrazione e superare la vigente legge Bossi-Fini. Perché arrivi al Parlamento l’iniziativa deve raggiungere 50mila firma in sei mesi. Il progetto prevede l’introduzione di canali diversificati di ingresso per lavoro, forme di regolarizzazione su base individuale degli stranieri già radicati nel territorio, misure per l’inclusione sociale e lavorativa di richiedenti asilo e rifugiati, l’effettiva partecipazione alla vita democratica col voto amministrativo e l’abolizione del reato di clandestinità.

 

Il Papa lunedì scorso ha incontrato un gruppo di rifugiati a San Giovanni in Laterano, prima di aprire il convegno diocesano di Roma, alla presenza del cardinale Agostino Vallini, vicario uscente, e del direttore della Caritas diocesana, monsignor Enrico Feroci, che il giorno prima aveva accompagnato Francesco in un incontro con altri 20 rifugiati prima della messa del Corpus Domini.

 

Nella catechesi il Papa ha proseguito un ciclo sulla speranza cristiana, soffermandosi sui santi, «testimoni e compagni di speranza», e sottolineando che la prima invocazione dei santi che un cristiano sperimenta nella sua vita è in occasione del battesimo: «Quella – ha detto – era la prima volta in cui, nel corso della nostra vita, ci veniva regalata questa compagnia di fratelli e sorelle «maggiori», che sono passati per la nostra stessa strada, che hanno conosciuto le nostre stesse fatiche e vivono per sempre nell’abbraccio di Dio».

 

L’invocazione viene ripetuta al momento del matrimonio, poiché «chi ama veramente ha il desiderio e il coraggio di dire «per sempre», ma sa di avere bisogno della grazia di Cristo e dell’aiuto dei santi», ha detto il Pontefice argentino, sottolineando che «per poter vivere l’amore matrimoniale per sempre. Alcuni dicono «finché dura l’amore». Al contrario è meglio che non ti sposi. No, per sempre. O per sempre, o niente». In generale, «nei momenti difficili bisogna avere il coraggio di alzare gli occhi al cielo, pensando a tanti cristiani che sono passati attraverso la tribolazione e hanno custodito bianche le loro vesti battesimali, lavandole nel sangue dell’Agnello», perché «Dio non ci abbandona mai: ogni volta che ne avremo bisogno verrà un suo angelo a risollevarci e a infonderci consolazione. «Angeli» qualche volta con un volto e un cuore umano, perché i santi di Dio sono sempre qui, nascosti in mezzo a noi. Questo è difficile da capire, anche da immaginare, ma i santi sono presenti nella nostra vita e quando qualcuno invoca un santo, una santa è perché è vicino a noi».

 

Francesco ha concluso la catechesi invocando la preghiera «che il Signore ci doni a tutti noi la speranza di essere santi. Qualcuno dirà: ma, padre, si può essere santi nella vita di tutti i giorni? Sì, si può. Ma questo significa che dobbiamo pregare tutta la giornata? No, significa che devi fare il tuo dovere tutta la giornata, pregare andare al lavoro custodire i figli, ma farlo tutto con il cuore aperto verso Dio, con questa voglia che quel lavoro, quella malattia, quella sofferenza, anche quella difficoltà siano aperte a Dio, e così diventeremo santi. Si può, che il Signore ci dia la speranza di essere santi. Noi pensiamo che è una cosa difficile, che è più facile essere delinquenti che santi: no, essere santi si può, perché ci aiuta il Signore. È il grande regalo che ciascuno di noi può rendere al mondo. Che il Signore ci dia la grazia di credere così profondamente in lui da diventare immagine di Cristo per questo mondo».

 

«La nostra storia – ha detto Jorge Mario Bergoglio – ha bisogno di «mistici»: di persone che rifiutano ogni dominio, che aspirano alla carità e alla fraternità. Uomini e donne che vivono accettando anche una porzione di sofferenza, perché si fanno carico della fatica degli altri. Ma senza questi uomini e donne il mondo non avrebbe speranza. Per questo auguro a voi, e anche a me, che il signore ci dia, ci doni la speranza di essere santi».

 

Prima dell’udienza in piazza San Pietro, il Papa ha incontrato nell’auletta dell’Aula Paolo VI la delegazione della National Football League (NFI): «Come molti di voi sono un appassionato del «football», ma nel Paese da cui provengo si gioca in modo molto diverso!», ha detto il Papa. «Il lavoro di squadra, il gioco leale e il tendere al meglio sono valori – nel senso anche religioso del termine – che guidano il vostro impegno sul campo di gioco. Tuttavia, di questi valori c’è urgente bisogno anche fuori dal campo, in tutte le dimensioni della vita comunitaria. Sono i valori che aiutano a costruire una cultura dell’incontro, nella quale preveniamo e soccorriamo le necessità dei nostri fratelli e sorelle, e combattiamo l’esagerato individualismo, l’indifferenza e l’ingiustizia che ci impediscono di vivere come una sola famiglia umana. Quanto ha bisogno il mondo di questa cultura dell’incontro!».

Iacopo Scaramuzzi (VaticanInsider) 

21 Giugno 2017 | 11:33
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