A 'Pasture' la diversità religiosa è occasione d'incontro e di dialogo

L’inverno si avvicina. Le temperature delle acque del mare si abbassano. Ma non sono i cambiamenti stagionali ad arrestare paura, fame, persecuzione, mancanza di prospettive. Tutt’al più li rendono ancora più difficoltosi. Gli arrivi dei profughi calano, ma non si arrestano. E il mare va per forza attraversato per chi dall’Africa, dal Medio Oriente, dall’Asia Centrale e meridionale vuole arrivare in Europa. Cambiano i numeri, ma non le urgenze, le sofferenze, le attese. In Ticino, sono in via di trasformazione anche le strutture dove trovano e troveranno accoglienza. Dallo scorso mese di marzo, i richiedenti l’asilo vengono ora alloggiati una parte, nella struttura provvisoria della Confederazione, che si trova a cavallo dei comuni di Balerna e Novazzano ( il cosiddetto «Centro Pasture») e una parte nel Centro federale d’asilo, a Chiasso.

Il Centro federale d’asilo definitivo, dove tutti i richiedenti l’asilo saranno riuniti sotto un solo e medesimo tetto, verrà costruito sullo stesso terreno e sarà aperto, presumibilmente, nel 2023. Da sei mesi, è quindi questo, l’assetto dell’accoglienza che il Ticino offre a chi aspetta che la Segreteria di Stato della Migrazione (SEM) esamini la sua richiesta in attesa che le autorità decidano, caso per caso, quello che sarà il destino di ciascun richiedente o nucleo di richiedenti. Abbiamo chiesto al diacono permanente e cappellano dei migranti Marcel Mattana, come si viva a «Pasture».

In che cosa consiste la sua missione di cappellano all’interno di questa struttura? C’è una bella collaborazione sul territorio: don Angelo Crivelli di Novazzano e don Gian Pietro Ministrini, di Balerna hanno messo a disposizione i loro oratori. E così lunedì sono al centro Pasture, mercoledì a Novazzano con le famiglie e il venerdì, a Balerna, con gli adolescenti. Chi vuole può così uscire da «Pasture» e trascorrere un pomeriggio un po’ diverso. Certo il coronavirus non ci aiuta… Fintanto che il tempo era bello e caldo, ci siamo ritrovati anche all’esterno, ma ora con l’inverno, a Chiasso – dove non abbiamo più a disposizione l’oratorio – dovremo trovare una struttura che ci accolga. Stiamo ancora cercando.

E che tipo di attività fate? Insieme alle volontarie facciamo giocare i bambini, i ragazzi magari si sfidano a calcetto, mentre le donne ne approfittano per fare qualche lavoro manuale e parlare un po’ tra di loro… Un gruppetto di ragazzi ha manifestato la volontà di imparare l’italiano, così a Balerna si è creata una piccola classe di sette, otto ragazzi molto motivati. Un compito certo non facile perché per prima cosa occorre che questi ragazzi imparino a conoscere il nostro alfabeto, visto che provengono dall’Afghanistan, dalla Turchia, dall’Iraq… Oggi tutto si è fatto più difficile: insegnare una lingua straniera con la mascherina che copre il sorriso, il labiale, la comunicazione non verbale, rende il lavoro più complicato.

All’interno del centro «Pasture» c’è anche una sala adibita a luogo di preghiera. Come è la convivenza tra persone geograficamente, culturalmente e religiosamente, lontane e diverse tra di loro? La sala di cui parla è un locale a dire il vero, molto asettico. Dove manca ogni riferimento religioso. Infatti, preferiamo chiamarla «sala di meditazione e di ascolto». Per quanto riguarda la coabitazione tra persone diverse, alle volte questo crea delle difficoltà. Ma direi che è normale, tanto più per persone che hanno alle spalle storie personali e di migrazione così importanti. La religione diversa non è comunque causa di dissidio. A me vengono, di settimana in settimana, segnalate le persone che desiderano avere un incontro di scambio personale. In questi anni ho imparato a conoscere le tormentate storie dei loro Paesi: quelle dei curdi che non hanno un Patria, quelle degli zoroastriani, una delle minoranze religiose dalla Repubblica islamica dell’Iran, o ancora degli afghani, che pur essendo musulmani, non sono arabi.

Ha potuto incontrare il mondo in casa, si può dire… Sì! Ho capito, per esempio, che l’islam è un mondo estremamente composito e diversificato. Ma io incontro le persone: non il musulmano, l’ortodosso, il cattolico,… Io vedo famiglie che la guerra ha separato, persone che non vedono prospettive, ragazzi arrivati qui da soli…

Tra poco meno di un mese è Natale. Avete già pensato come trascorrerete le feste? La pandemia rende davvero difficile prevedere il futuro. Gli altri anni abbiamo sempre organizzato una tombola dove… tutti vincono! Un pretesto per fare in modo che tutti ricevano un regalo… E’ sempre, comunque, un momento molto bello, dove le donne intonano spontaneamente dei canti nella loro lingua: canti natalizi o comunque religiosi che sono veri e propri momenti di preghiera. Sono incontri preziosi in cui i cuori di tutti si uniscono. E in cui capiamo quanto sia necessario, anche per noi, animatori, educatori, volontari, tornare alle origini anche della nostra fede. A quel patrimonio così ricco di cui disponiamo e grazie al quale abbiamo così tanto da donare a chi ci sta vicino.

Si dice che il dialogo tra persone di religione diversa sia più facile e fecondo che quello tra chi crede e chi non crede. Lo ha potuto sperimentare anche lei? Sì, mi sento molto più libero di parlare di Dio con loro, che in altri contesti all’interno della nostra società. Un nome: «Pasture». Una casa: quella messa a disposizione dalla Confederazione. Un territorio: tra Novazzano e Balerna. Un universo brulicante di vita, di vite. Ciascuna impegnata nel proprio personale cammino. Un cammino che dia un senso al viaggio intrapreso, ai legami lasciati, alla sofferenza accumulata.

Corinne Zaugg

30 Novembre 2020 | 07:43
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