Taizé, frère Alois: «L’Europa riscopra la dimensione dell’amicizia»

Dal 5 all’8 maggio prossimi la Comunità ecumenica di Taizé ospiterà un fine settimana di amicizia tra giovani cristiani e musulmani (dai 18 ai 35 anni). Il tema scelto per queste giornate è «Risveglio della presenza di Dio in noi». La Comunità – fondata dal protestante Roger Schutz nel 1940 – è attualmente costituita da un centinaio di fratelli di diverse confessioni cristiane provenienti da quasi trenta paesi. Dal 2005 è guidata da frère Alois Loeser, cattolico, 63 anni, di origine tedesca e nazionalità francese. Con lui parliamo dei rapporti con i musulmani, del dialogo ecumenico e del futuro dell’Europa.

Perché avete deciso di organizzare questo fine settimana di amicizia?

«Non pochi ragazzi musulmani, da diversi anni, vengono a Taizé insieme ad amici cristiani o con le scolaresche. Inoltre ospitiamo un gruppo di rifugiati: non solo due famiglie cristiane dell’Iraq, ma anche una di fede islamica proveniente dalla Siria e una ventina di giovani anch’essi musulmani giunti dal Sudan, dall’Eritrea e dall’Afghanistan. Ci siamo resi conto che era tempo di organizzare un incontro specifico, strutturato, che li coinvolgesse. È la prima iniziativa di questo genere che progettiamo».

Come saranno articolate le giornate? 

«Abbiamo previsto alcune conferenze su diversi argomenti tenute sia da cristiani sia da musulmani fra i quali, ad esempio, Khaled Ben Tounès, guida spirituale della confraternita sufi Alawiyya, e Kahina Bahloul, presidente dell’associazione «Parlez-moi d’islam». Prepareremo un luogo dove i musulmani potranno raccogliersi in preghiera, mentre noi ci riuniremo nella nostra chiesa della Riconciliazione. Naturalmente non mancheranno momenti di convivialità. L’obiettivo di questo fine settimana è conoscerci, imparare ad ascoltarci, porre le basi per nuove amicizie».

Per quale ragione, secondo lei, i giovani musulmani vengono a Taizé? 

«Per un sincero interesse verso il cristianesimo. Vivono in città e frequentano scuole e università popolate da cristiani, ai quali parlano di religione e rivolgono domande sugli insegnamenti del Vangelo. Non sempre i ragazzi cristiani sanno offrire risposte soddisfacenti. Un ragazzo musulmano, ad esempio, mi raccontò di aver chiesto cosa fosse la Trinità a un compagno di classe cristiano: ricevette una spiegazione vaga e confusa. La fede professata dai giovani musulmani per certi aspetti costituisce una sfida per i coetanei cristiani».

Qual è il suo giudizio circa la qualità dei rapporti tra cristiani e musulmani in Francia?

«Dopo gli attentati terroristici la diffidenza reciproca è significativamente aumentata: il problema, a mio parere, è che le persone non si conoscono. Noi a Taizé crediamo molto nel valore delle relazioni personali. Riteniamo che esse rappresentino il miglior antidoto alla radicalizzazione politica che usa la religione per seminare morte».

Come valuta il modo in cui la laicità è declinata in Francia? 

«Per molti la laicità implica il misconoscimento, la messa in disparte delle religioni e della dimensione religiosa degli esseri umani. Penso che questa sia una distorsione della nozione di laicità e come me la pensano, fortunatamente, altri francesi: l’autentica laicità rispetta le religioni e garantisce a tutti i cittadini la libertà di professarle».

Qual è il fattore irrinunciabile per costruire buoni percorsi di integrazione?

«Anzitutto occorre sottolineare che l’integrazione non è impresa facile. Nel nostro territorio, in Borgogna, la comunità ha un ottimo rapporto con l’imam della vicina cittadina di Chalon, che segue molto i musulmani residenti nella regione: li aiuta a comprendere come vivere la loro fede e la loro cultura nel contesto francese. Il figlio di 8 anni della coppia siriana che ospitiamo, ad esempio, non riusciva a capire perché non potesse pregare a scuola: l’imam lo ha incontrato e, pazientemente, gli ha spiegato le regole francesi suggerendogli di posticipare o anticipare il momento la preghiera. L’integrazione non è compito esclusivo dei cristiani: va costruita insieme ai musulmani. Il loro impegno è indispensabile».

Quali sentimenti prevalgono nei rifugiati e nei migranti musulmani che ospitate in comunità? 

«Sono lieti dei rapporti che hanno costruito con la nostra comunità. Si sentono rispettati, custoditi e accompagnati. Vivendo insieme a noi giorno dopo giorno comprendono che l’amicizia tra persone di fede diversa è possibile. I ragazzi provenienti dal Sudan hanno visto per la prima volta i cristiani quando sono giunti in Italia dopo aver attraversato il Mediterraneo. Non erano abituati a vivere con persone di altre religioni: adesso stanno imparando. E anche noi impariamo tante cose da loro. Dico spesso: «È Dio che vi ha mandato da noi». Sono convinto che nella nostra epoca sia necessario e urgente riscoprire la dimensione dell’amicizia».

Pensa che questa dimensione sia strategica per l’Europa sopraffatta dall’imponente afflusso di migranti e minata da una progressiva dissoluzione del legame sociale?  

«Sì. Stiamo vivendo un cambiamento d’epoca; questa non è più l’Europa dai tratti profondamente cristiani che le passate generazioni hanno conosciuto: le persone che professano altre religioni ora vivono accanto a noi, nelle nostre città, non abitano soltanto in paesi lontani. È una situazione inedita e nessuno sa come affrontarla. Bisogna sperimentare, intraprendere nuovi cammini di comprensione. Nella nostra comunità siamo persuasi che costruire con pazienza, perseveranza e tenacia, legami di amicizia (che implicano confidenza, benevolenza, fiducia reciproca), possa essere una strada feconda per l’edificazione di società veramente coese. Ritengo che l’intenso dialogo ecumenico che le Chiese hanno avviato negli ultimi decenni renda i cristiani più inclini e più disponibili a cercare di stringere legami anche con persone di altre religioni. In certo modo l’ecumenismo ci ha preparato a questa apertura».

Come descriverebbe il cammino di comunione vissuto nella vostra Comunità?

«Il centro della nostra fede è Cristo, il Risorto, presente in mezzo a noi: è Lui che ci unisce. Frère Roger, scrivendo la Regola della comunità, aveva rivolto a ogni fratello questo invito: «Abbi la passione dell’unità del Corpo di Cristo». Il battesimo riunisce tutti i cristiani in Cristo (che non è diviso), fa di noi un solo Corpo. Come, dunque, dare visibilità a questa unità battesimale che è già offerta e che le separazioni fra le diverse confessioni non possono distruggere? Noi crediamo che la vita fraternamente vissuta sotto lo stesso tetto con spirito di riconciliazione e la quotidiana preghiera comune possano essere segni buoni».

Come valuta il dialogo ecumenico degli ultimi decenni? 

«Sono stati compiuti progressi di grande rilievo. Mi pare però che i molti frutti buoni del dialogo promosso a livello teologico siano scarsamente recepiti dal popolo di Dio, non incidano come potrebbe e dovrebbe. Un solo esempio: l’accordo sulla dottrina della giustificazione, sottoscritto nel 1999 da cattolici e luterani, è stato un passo avanti enorme, una tappa importantissima, tuttavia esso non si riflette nella vita delle Chiese: è quasi come se non fosse mai stato raggiunto. Per questo motivo, noi fratelli di Taizé pensiamo sia importante perseverare nella preghiera comune. Ero a Lund, lo scorso anno, quando Papa Francesco è intervenuto alla cerimonia per commemorare il 500° anniversario della Riforma. Ricordo la preghiera ecumenica comune nella cattedrale luterana: fu un segno potente. Affinché il popolo cristiano possa ricevere i frutti del dialogo teologico è indispensabile pregare insieme».

Pensa che le giovani generazioni cristiane abbiano a cuore la piena unità dei cristiani? 

«La mia impressione è che per i ragazzi la piena comunione sia un traguardo irrinunciabile ma, al tempo stesso, una realtà che vivono già ogni volta che si incontrano. Gran parte di loro non solo rifiuta la divisione delle Chiese ma ignora gli avvenimenti che l’hanno provocata e le questioni teologiche che ne hanno segnato la storia e che richiedono uno studio attento e approfondito. Noi ci impegniamo a far conoscere questi aspetti e, ovviamente, a sostenere il loro desiderio di vivere insieme, uniti. Non è facile».

Cosa cercano i moltissimi ragazzi che ogni anno decidono di trascorrere qualche tempo nella vostra comunità? 

«Sono accomunati dal desiderio di trovare cosa possa dare senso alla loro vita e come la fede cristiana possa rispondere ai loro interrogativi più profondi. Allo stesso tempo, sperano di incontrare persone affidabili in grado di ascoltarli e far loro scoprire lo stile della vita cristiana. Ho constatato grande generosità nei ragazzi: patiscono quando si accorgono che nella società contemporanea essa viene ignorata e mortificata. Noi adulti abbiamo una responsabilità grande nei loro confronti».

Nel 2014, a Istanbul, Papa Francesco, parlò dei giovani che «sanno vedere oltre, sono capaci di cogliere l’essenziale che già ci unisce» e citò «le moltitudini di giovani ortodossi, cattolici e protestanti che si incontrano nei raduni internazionali organizzati dalla comunità di Taizé». 

«Ricordo bene quelle parole, mi colpirono. Papa Francesco riconosce ai giovani la capacità di vedere più lontano, oltre le divisioni: li prende molto sul serio. È una lezione importante».

 

3 Maggio 2017 | 07:30
Tempo di lettura: ca. 5 min.
Ecumenismo (173), taize (70)
Condividere questo articolo!