Taizé: 12 anni fa la morte di Frère Roger, uomo dell'ascolto

«Ho trovato la mia vera identità di cristiano riconciliando in me stesso la fede delle mie origini con il mistero della fede cattolica, senza rompere la comunione con nessuno». Nelle parole di Frère Roger Shutz, fondatore della Comunità di Taizé, la sintesi della sua più forte eredità, a 12 anni dalla sua scomparsa, quando il 16 agosto del 2005 fu ucciso per mano di una squilibrata durante la preghiera dei vespri nella Chiesa della Riconciliazione alla presenza di oltre 2.500 giovani.

Roger Schutz ha consacrato la vita proprio alla riconciliazione fra i cristiani, soprattutto all’incontro fra protestanti e cattolici. Fonda la comunità monastica a Taizé, vicino Cluny, in Francia, nel 1940, sull’onda di una forte spinta non solo alla preghiera ma soprattutto all’accoglienza: quando infatti comincia la Seconda Guerra Mondiale si sente chiamato ad aiutare le persone provate dal conflitto. E lo fa proprio nel piccolo villaggio di Taizé, in Borgogna, dove rimane colpito dalle suppliche di un’anziana abitante di quel paesino che gli chiedeva di fermarsi su quella collina.

Di lì l’inizio di quel cammino spirituale che, nel corso dei decenni si è arricchito di sempre nuovi membri, oggi sono circa un centinaio di diverse confessioni cristiane, originari di 30 Paesi, e si è poi trasformato in un polo di attrazione per tantissimi giovani, che Frère Roger amava incontrare e ascoltare, come testimonia uno dei suoi confratelli, frère Charl Eugene:

R. – Penso che forse le parole più forti della sua vita erano «riconciliazione», «pace» e «comunione». Il suo messaggio fondamentale è questo: se Dio è amore, i cristiani dovrebbero – devono – essere dei testimoni di comunione e di riconciliazione e non di separazione. E lui continuamente – ed è questo che forse vorremmo continuare a fare – chiamava a vivere, ad essere testimoni di riconciliazione in questo mondo a volte molto difficile.

D. – Frère Roger rimane uno dei protagonisti della rinascita religiosa, tra i giovani soprattutto …

R. – Sì, è vero. Pensava che fosse essenziale ascoltare i giovani e far sì che la loro voce fosse ascoltata nella Chiesa come nella società. A volte diceva che quando era adolescente avrebbe voluto poter esprimersi di più, essere ascoltato. In quell’epoca si faceva poco, si prendevano poco sul serio le nuove generazioni. Allora lui ha pensato: «Adesso, se diventiamo più vecchi, dobbiamo essere persone che ascoltano i giovani».

D. – È questo, secondo lei, l’elemento che ancora attira molti giovani verso la vostra comunità? L’ascolto …

R. – È vero che rimane molto importante per noi questa immagine che Frère Roger ci dava di noi stessi: non dobbiamo essere dei maestri spirituali che dicono ai giovani, «Devi fare così, devi fare così», ma essere degli uomini di ascolto prima di tutto. Poi ognuno deve trovare il proprio cammino, ma l’ascolto lo può aiutare.

D. – Qual è il ruolo, secondo voi, della comunità in questo momento?

R. – Perseverare, prima di tutto, nella nostra preghiera; poi l’accoglienza, allargarla ai rifugiati perché adesso ne riceviamo un certo numero e ci sembra molto importante.

Paola Simonetti – News.va

17 Agosto 2017 | 12:00
Tempo di lettura: ca. 2 min.
roger (1), taize (70)
Condividere questo articolo!