Siria, quei «dodici apostoli» alla Via Crucis a Damasco

«Solo dodici persone sono venute alla Via Crucis venerdì scorso, invece dei soliti 600 fedeli. Questi dodici coraggiosi cristiani hanno sfidato razzi, bombardamenti e il possibile pericolo di morte per poter seguire le 14 stazioni della via che conduce al Calvario, fermandosi soprattutto alla quinta e all’ottava stazione». È il racconto accorato che l’arcivescovo maronita di Damasco, Samir Nassar, rende a Vatican Insider, narrando di un tempo di Quaresima che si sta rivelando particolarmente sofferto e segnato dalla violenza che colpisce i civili.

 

L’aspro conflitto tra l’esercito regolare siriano e i miliziani presenti nel territorio di Ghouta, sobborgo a Est di Damasco, continua. Nei giorni scorsi si è registrato un nuovo tentativo della comunità internazionale per fermare l’offensiva dell’esercito siriano contro Ghouta, quartiere da quasi un mese colpito da bombardamenti che hanno fatto oltre 1.100 morti tra i civili. Gli Stati Uniti hanno proposto al Consiglio di sicurezza dell’Onu una nuova bozza di risoluzione per una tregua umanitaria di un mese dopo che quella precedente, approvata il 24 febbraio e promossa dalla Russia, è rimasta sostanzialmente disattesa.

 

Mentre pochi civili riescono a lasciare il territorio, per l’opposizione delle milizie impegnate nei combattimenti, nell’enclave ribelle 400mila abitanti assediati hanno urgente necessità di cibo e medicinali. I funzionari Onu hanno spiegato che la mancanza di consenso tra le parti in lotta rende impossibile la consegna degli aiuti.

 

 

La vita dei civili, a Ghouta come a Damasco, è in serio pericolo. In tale situazione, l’esperienza spirituale della Via Crucis, momento di preghiera particolarmente sentito in Quaresima, ha visto la partecipazione di un ridotto drappello di battezzati: solo 12, numero simbolico che ha colpito e ispirato l’arcivescovo Nassar. «Alla quinta stazione – riferisce il vescovo – questo piccolo gruppo di fedeli, nella preghiera, ha chiesto il motivo per cui Simone di Cirene sembra essere assente oggi nelle loro vite. Hanno bisogno di chi dimostri loro vicinanza e solidarietà, offra una mano e parola di consolazione per lenire il loro dolore e feriti vite». Invece «i fedeli vedono forze militari tutt’intorno, gruppi di combattenti l’uno di fronte all’altro, che cercano di dimostrare la loro forza e di mantenere violenza e odio al massimo livello. E questo avviene con la scusa di salvare il paese», rileva Nassar, condannando ogni forma di violenza e chiedendo la sospirata fine delle ostilità.

 

Un altro passaggio è rimasto nella mente e nel cuore dell’arcivescovo, che celebrava con i fedeli il cammino verso il Calvario: «All’ottava stazione, Gesù consola le donne di Gerusalemme. In queste donne si identificano le famiglie siriane che sono con lui: i senzatetto, i feriti, i rifugiati e gli innumerevoli giovani che ora sono orfani o dimenticati. Il Signore, che è presente in mezzo a loro, li consola, asciuga le loro lacrime e rafforza la loro fede nonostante la loro sofferenza. Solo la grazia di Dio permette loro di vedere oltre e di scorgere, davanti al Cristo ferito e torturato, la gloriosa luce della Risurrezione che verrà».

 

L’arcivescovo sente di esprimere «un profondo ringraziamento a questi 12 apostoli che, attraversando con Cristo la via della sofferenza e dell’oscurità, mostrano che tutto si trasforma in una via della speranza». Una speranza oggi alimentata dalla preghiera costante dei fedeli in Siria, come quella delle monache trappiste che vivono ad Azeir, piccolo villaggio siriano sul confine col Libano, a metà strada fra Homs e Tartus. Qui sorge il monastero di una piccola comunità di monache cistercensi italiane, che hanno voluto espressamente seguire «l’esperienza dei fratelli di Tibhirine», i monaci presenti in Algeria, uccisi da terroristi, e prossimi alla canonizzazione.

 

In una lettera pervenuta all’agenzia vaticana Fidesle religiose raccontano di pregare ogni giorno «per donne, bambini, civili, feriti o morti, e anche per i jihadisti, perché ogni uomo che sceglie il male è un figlio perduto, è un mistero nascosto nel cuore di Dio. A Dio si deve lasciare il giudizio, Lui che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva». Le religiose deplorano il fatto che «uomini e donne siano usati come scudi umani a Goutha, quartiere dove oggi i civili che vogliono scappare sono presi di mira dai cecchini». E concludono: «Non ci si può scandalizzare per la brutalità della guerra e tacere su chi la guerra l’ha voluta e la vuole ancora oggi, sui governi che hanno riversato in Siria in questi anni le loro armi sempre più potenti; per non parlare dei mercenari lasciati deliberatamente entrare in Siria facendoli passare dai Paesi confinanti. Non si può tacere sui governi che da questa guerra hanno guadagnato e guadagnano».

Paolo Affatato – VaticanInsider

15 Marzo 2018 | 08:00
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damasco (9), guerra (160), siria (231)
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