Siria. Padre Ibrahim: servono digiuno e preghiera

Dopo l’avvertimento di Donald Trump, che minaccia di intervenire se Damasco userà armi chimiche sull’ultima roccaforte dei ribelli legati ad Al Qaida, ad Idilb, interviene anche il Presidente turco Erdogan. Nel pieno delle trattative in corso tra Russia, Iran e Turchia, a due giorni dal vertice trilaterale di Teheran sulla Siria con Putin e Rohani, il leader turco sostiene che «se venissero sganciati missili sulla provincia, si provocherà un massacro» affermando di temere un massiccio esodo di civili siriani sul suo territorio. VaticanNews, in queste ore estremamente drammatiche, ha contatto padre Ibrahim, parroco di Aleppo, molto conosciuto nella Diocesi di Lugano per le sue varie visite e testimonianze. Le «armi» scelte dalla sua comunità parrocchiale sono la preghiera e il digiuno.

Padre Ibrahim: Abbiamo sicuramente accolto le parole recenti del Santo Padre con entusiasmo e gioia. Ha fatto un discorso molto equilibrato; non ha fatto riferimenti politici: è andato direttamente all’essenziale, cioè salvare la vita dei civili. In questo momento condividiamo la stessa preoccupazione – ed è veramente molto, molto difficile – perché in alcuni villaggi ci sono molti cristiani; allo stesso modo siamo preoccupati anche per i fedeli musulmani che in questo momento sono sotto il controllo dei gruppi armati. Sappiamo che c’è disordine confusione, all’interno dei gruppi: non ci sono leggi, regole. Sappiamo inoltre che hanno sequestrato molti civili in quei giorni, anche tra i cristiani. Ci sono molte difficoltà sia per uscire che per entrare nella città: nelle settimane scorse era possibile passare i check point, i posti di controllo militari per andare e tornare da Idlib; in questo momento è tutto chiuso. La situazione è veramente difficile e insieme alla comunità di Aleppo abbiamo iniziato a digiunare e a pregare per la liberazione di Idlib, perché la popolazione non può continuare a vivere in questo modo.

La situazione a Idlib sembra estremamente complicata. Per noi qui in Europa è difficile comprendere quale sia la posta in gioco. Può parlarci brevemente della provincia di Idlib, di cosa rappresenta e delle forze in campo?

R. – Ormai abbiamo la certezza che la crisi siriana è una crisi internazionale. Molti eserciti governativi sono presenti sul terreno siriano, in particolare a Idlib. Oltre 65mila soldati sono presenti sul territorio siriano e controllano le diverse zone della città. Sappiamo che questi gruppi armati, in particolare quelli fondamentalisti come al-Nusra, sono stati armati nell’ultimo periodo e sono pronti a difendere «la proprietà»; sappiamo inoltre che ci sono Paesi che stanno con la Siria e altri contro. Il governo siriano insieme a quello russo, quello iraniano e nell’ultimo periodo anche insieme a quello turco stanno cercando di risolvere il problema, ma dietro tutta questa situazione ci sono grandi interessi da parte di molti Paesi. Quindi c’è confusione e una difficoltà a mettersi insieme per risolvere veramente la situazione. Tutto questo fa si che la situazione a Idlib sia così difficile e delicata in questo momento.

Lei ha detto che ci sono ancora delle comunità cristiane a Idlib e tra queste, c’è una comunità di francescani, se non sbaglio. Malgrado tutto riuscite ad avere notizie della comunità?

R. – Sì. Abbiamo dei contatti anche se si tratta di brevi dialoghi: non possiamo parlare di alcune cose perché tutto è controllato, ma cerchiamo di comunicare con loro tutti i giorni per sapere come stanno e se hanno necessità di qualcosa. Ci troviamo in una situazione veramente difficile. Dopo anni di occupazione nei villaggi da parte dei gruppi armati, adesso hanno iniziato a sequestrare i cristiani e a chiedere dei riscatti molto elevati che nessuno in questo momento può pagare, nemmeno vendendo terreni, case e con molte umiliazioni. La situazione è molto difficile per i cristiani e ogni giorno diventa più delicata e più difficile anche per la città. Sono in contatto con persone che vivono lì che mi dicono: «Preghiamo veramente per la liberazione, perché non possiamo continuare così».

VaticanNews/red

6 Settembre 2018 | 17:10
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