Hans Küng si è sentito sempre prete cattolico

Con la morte di Hans Küng se ne va uno degli ultimi teologi svizzeri di fama mondiale. Il teologo e prete cattolico Küng formò insieme ad Hans Urs von Balthasar e al protestante Karl Barth un trio di teologi svizzeri che negli anni intorno al Concilio Vaticano II ha – nel bene e nel male – acceso molti dibattiti teologici anche al di fuori delle aule universitarie. Oggi sarebbe impensabile pensare a discussioni pubbliche su temi di teologia in TV o nei giornali secolari. Küng si sentiva a suo agio anche tra studiosi di economia, politologia o sociologia. Fu privato della licenza di insegnamento dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a Roma nel 1979 in parte a causa delle sue critiche al dogma dell’infallibilità papale. Rimase comunque fedele al suo «stato» di sacerdote, fino alla morte, martedì 6 aprile, a Tubinga, in Germania, all’età di 93 anni. Ovviamente il fatto della revoca della missio canonica lo rese, da una parte un teologo scomodo e criticabile, dall’altra però ancora più famoso e per molti lettori, intrigante. Sui suoi scritti si possono – e secondo lui si devono – avere idee e posizioni anche diverse. Questo il teologo. Molti però tralasciano l’aspetto umano di Hans Küng. Lui fu fino all’ultimo un prete cattolico, legato alla Santa Romana Chiesa come un figlio, che sa di far parte di una grande famiglia. Negli ultimi anni, soprattutto durante il pontificato di Papa Benedetto XVI, sembrò molto più conciliante con la Curia romana. Sicuramente il fatto che il suo «vecchio amico all’Università di Tubinga» Joseph Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI, lo invitò all’inizio del pontificato a Castelgandolfo per un colloquio amicale, rese Küng un interlocutore «interessante» per il dialogo interreligioso del Vaticano. Francamente non se ne fece molto, né da parte della Curia romana né da parte di Küng stesso. Nei colloqui che ebbi con lui dal 2007 fino a poco tempo fa, era molto interessato alle vicende del Vaticano, ma non mi chiedeva mai i «gossip curiali». Certamente le onorificenze e premi ricevuti lo resero fiero, ma non vanitoso. La Pontificia Accademia per la Vita ha elogiato in queste ore il teologo Küng come «grande figura della teologia del secolo scorso». «Le idee e le analisi di Küng richiedono una riflessione sulla Chiesa cattolica e le Chiese, la società e la cultura», si legge in un tweet diffuso martedì sera dall’istituzione specializzata del Vaticano per le questioni etiche. Con Küng parlai spesso del fatto che per uno svizzero era più facile avere «successo» all’estero che nella propria patria. Anche se era legatissimo all’Università di Tubinga, il suo cuore era comunque rimasto a Sursee (Lucerna). Ma sapeva che vivere gli ultimi anni della sua vita «rinchiuso» nella Svizzera interna non era per lui. Fino all’ultimo si batté per il suo grande progetto, cioè «l’ethos mondiale» (Weltethos): il dialogo tra le religioni per creare un mondo migliore. Per lui la fede non deve essere un mezzo di divisione ma al contrario il motore per far sì che si possa vivere in un mondo dove regna la concordia. Fu quello che gli riconobbe con merito il suo amico ed ex collega accademico Benedetto XVI. È quello che cerca di fare anche Papa Francesco. I distinguo del caso su altre questioni teologiche restano.

Mario Galgano, redattore svizzero della Radio Vaticana

altri contributi: intervista al rettore della facoltà di teologia i Lugano René Roux su Hans Küng

18 Aprile 2021 | 09:46
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