Commento

Il segretario generale del Sinodo dei vescovi sulla pastorale delle famiglie nell’«Amoris laetitia». Con le porte aperte

La «Chiesa in uscita» è contemporaneamente «anche la Chiesa dalle porte aperte». È questa la realtà emergente dal cammino sinodale sulla famiglia che ha trovato piena espressione pastorale nell’esortazione apostolica Amoris laetitia. Lo ha spiegato il cardinale Lorenzo Baldisseri in una conferenza tenuta a Civitavecchia: le parole chiave del documento «accogliere, accompagnare, discernere e integrare», ha detto il segretario generale del Sinodo dei vescovi, sono un messaggio di speranza per tutte le famiglie, anche per quelle che vivono situazioni di difficoltà e di crisi, segnate dalla fragilità o dalle ferite. Tutte sono invitate a camminare con fiducia, consapevoli che «non lasciandosi abbattere dalle sfide a cui sono sottoposte nel contesto della società odierna», possono davvero «vivere pienamente la loro vocazione e la loro missione nella Chiesa e nel mondo contemporaneo».
Il porporato ha spiegato nei dettagli l’intero cammino sinodale, dalla consultazione del popolo di Dio recepita nell’instrumentum laboris, alla discussione «aperta e franca» delle due assemblee che ha portato alla relatio finalis, fino al documento del Pontefice. Un iter che è stato «l’attuazione pratica della maniera in cui Papa Francesco intende la sinodalità come esercizio permanente nella vita ecclesiale». Il metodo usato, ha aggiunto il cardinale Baldisseri, è quello che dovrebbe accompagnare la Chiesa ogni qual volta «si vogliono prendere decisioni giuste e realmente corrispondenti alla volontà di Dio», ovvero quello del «discernimento». Ed è stato proprio il discernimento la linea guida per affrontare gli innumerevoli casi che si sono presentati di fronte ai padri sinodali: non aride questioni formali o teologiche, ma la vita quotidiana delle famiglie declinata in tutte le sue sfaccettature, anche e soprattutto quelle più dolorose. «Amoris laetitia — ha sottolineato il segretario generale del Sinodo — usa il verbo discernere soprattutto nel capitolo ottavo, collocandolo nel titolo in mezzo ad altri due verbi: accompagnare e integrare la fragilità». Infatti «quando l’amore non corrisponde più alla forma del sacramento nuziale, la Chiesa si prende cura di queste persone ferite, perché possano ritrovare la via del Vangelo, alla luce del primato della grazia di Dio che mai abbandona». Di qui la dimensione dell’accoglienza.
Ciò non significa, ha precisato il porporato, che «la normativa e la dottrina della Chiesa» subiscano variazioni o che essa non tenga conto «della riflessione morale tradizionale». Vale però il fatto che tenendo conto della «norma generale», le «situazioni particolari devono essere considerate nella loro specificità».
In questo senso l’Amoris laetitia traccia linee ben chiare riguardo, ad esempio, «la delicata questione dei divorziati e risposati civilmente», con le indicazioni sulla «possibilità della riconciliazione sacramentale e della recezione dell’eucaristia». Si tratta sempre di un «cammino» che favorisce «la maturazione di una coscienza illuminata». Ancora una volta, ha sottolineato il cardinale Baldisseri, si capisce come «un autentico processo di discernimento» sia «decisivo affinché l’accogliere e l’accompagnare, elementi tipici della Chiesa in uscita, non si limitino a una generica vicinanza alle persone, che — per quanto importante — lascia comunque ognuno nella propria situazione di partenza». Il discernimento, invece, «rende possibile che l’accogliere e l’accompagnare siano finalizzati al compimento di un cammino da percorrere insieme», con l’obiettivo «di «integrare» nella vita della Chiesa tutti coloro che essa avvicina o che le si avvicinano, secondo le possibilità, le tappe e le modalità proprie di ciascuno».
Aspetto conseguente di questa impostazione è poi la cura da mettere nella «preparazione dei fidanzati al sacramento nuziale» e nel loro accompagnamento dopo le nozze. È questo un elemento fondamentale per «evitare la deriva o il fallimento del matrimonio e della famiglia». Quello del «camminare insieme» è, del resto, proprio lo stile necessario in ogni situazione, anche in quelle più difficili nelle quali è richiesto di «accompagnare la fragilità e curare le ferite». Sempre con «il principio della gradualità pastorale che riflette la pedagogia divina: come Dio si prende cura di tutti i suoi figli, a cominciare dai più deboli e lontani, così «la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto»». Una sintesi di questo atteggiamento si ritrova in un’eloquente espressione usata dal porporato: «Per accompagnare e integrare le persone che vivono in situazioni cosiddette «irregolari» — ha specificato — è necessario che i pastori le guardino in faccia una per una».
Ma l’impegno non riguarda solo i pastori: il «camminare insieme» riguarda tutta la comunità, «famiglia delle famiglie», chiamata a vivere quanto il giubileo della misericordia ci ha insegnato, ossia «il primato assoluto della grazia di Dio, al quale siamo chiamati a rispondere col primato della carità».

(L’Osservatore Romano)

3 Gennaio 2017 | 18:00
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