S. Sudan. Pam: 1,8 milioni di persone in fuga, urgenti cibo e assistenza

Sono 1,8 milioni le persone in fuga dal Sud Sudan a causa del conflitto, della siccità e della carestia e la metà di loro sono bambini o minori, entro la fine del 2017 il numero potrebbe aver superato i due milioni. Per assisterli occorre circa un miliardo e mezzo di dollari: è la richiesta lanciata ai paesi donatori dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e dal Programma alimentare mondiale. Francesca Sabatinelli ha intervistato Francesco Luna, funzionario del Pam:
R. – C’è bisogno urgente di cibo e c’è bisogno di acquistarlo e di portarlo velocemente, perché ci sono molti rifugiati che si sono trasferiti nei Paesi vicini e che, se non ricevono assistenza, rischiano di soffrire la fame e terribili sofferenze, più grandi di quelle che già hanno subito. Tutto questo rischia anche di trasferirsi ai Paesi dove queste persone si sono rifugiate.
D. – Se non dovesse arrivare una risposta immediata al vostro appello, quali saranno le ricadute?
R. – Le ricadute sono immediate, purtroppo, proprio sui nostri beneficiari. Nel momento in cui dai nostri magazzini vengono a mancare delle derrate che dobbiamo distribuire, non abbiamo altra scelta che ridurre le razioni di cibo che normalmente distribuiamo e, in casi estremi, tagliarle, cosa che naturalmente non vogliamo fare. Quindi è necessario che i Paesi che ci aiutano – che sono tanti e che ringraziamo – restino molto sensibili su questo argomento. Perché la crisi del Sud Sudan si allarga purtroppo, ormai da tempo non riguarda più solo il conflitto interno, che è gravissimo e che crea enormi problemi, ma si sta allargando, in questo momento particolarmente a sei Paesi confinanti: l’Uganda, lo stesso Sudan, l’Etiopia, il Kenya, la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica centrafricana.
D. – Quella che viene chiamata la «food security» (sicurezza alimentare) in Sud Sudan da tempo sappiamo che purtroppo è estremamente compromessa. La situazione oggi esattamente qual è?
R. – Ci sono alcune contee del Sud Sudan dove la situazione è veramente drammatica, sono quattro in particolare. In quella situazione noi vediamo centinaia di migliaia di persone in gravissima crisi alimentare. Abbiamo dichiarato in queste zone la carestia – quella che in inglese si chiama «famine» – che non è una dichiarazione che si fa a cuor leggero, perché devono ricorrere alcune caratteristiche della crisi per poter dire che c’è una vera e propria carestia. Lì, in quelle aree del Sud Sudan purtroppo c’è. Oltre a queste centinaia di migliaia di persone che già sono in questa situazione, circa un milione di persone potrebbero cadere, e sono molto vicine a farlo, nella stessa situazione di carestia. In Sud Sudan è difficile lavorare per tante ragioni. C’è la ragione del conflitto, che è in corso ormai da anni; c’è il problema dell’accessibilità in alcune aree, molto difficili da raggiungere in particolare durante la stagione piovosa perché quando cadono le piogge in Sud Sudan molte aree diventano inaccessibili. Quindi è anche molto importante che la gran parte del cibo che va distribuito sia portato nelle zone dove prima che arrivi la stagione delle piogge, altrimenti diventa impossibile.
D. – Il Pam – che sappiamo, purtroppo, aver perso recentemente tre operatori che hanno pagato con la vita questa situazione di grave violenza nel Paese – come sta operando in Sud Sudan?
R. – Noi abbiamo una presenza ovviamente a Juba, nella capitale, e poi in diverse città, più vicine alle aree dove interveniamo. È un grande sforzo soprattutto logistico. Lavoriamo in partnership anche con altre agenzie, in particolare con l’Unicef e con altre organizzazioni non governative, proprio per poter creare delle squadre che si muovano insieme, che raggiungano le aree più difficili da raggiungere e assistano chi ne ha bisogno. Nelle contee più colpite dalla carestia, la distribuzione di cibo viene effettuata ogni 30-60 giorni, dipende dalle caratteristiche della zona, in modo che i nostri beneficiari possano avere abbastanza per poter tirare avanti fino alla successiva distribuzione. Se vengono a mancare le risorse – e purtroppo le risorse anche per l’operazione in Sudan sono molto scarse – questo cibo che noi distribuiamo viene ridotto in quantità e, quindi, i nostri beneficiari hanno molte più difficoltà a resistere ed ecco che quindi si creano maggiori movimenti, migrazioni e i problemi diventano ancora molto più gravi.

18 Maggio 2017 | 15:52
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