Sandro Vitalini
Ticino e Grigionitaliano

Ricordando Sandro Vitalini

Un anno fa Sandro Vitalini lasciava la dimensione terrena della vita a causa del virus che ancora oggi sta funestando l’esistenza di svariati milioni di persone in tante parti del mondo. Molte persone, penso, sentono vivissima la mancanza del suo sostegno culturale, del suo appoggio piscologico e spirituale, della sua apertura di cuore e di mente, tutte doti che contraddistinguevano questo prete gioiosamente e intensamente innamorato del Vangelo di Gesù Cristo.

Vitalini ha donato, a piene mani, a migliaia di donne e di uomini, quello che egli era ed aveva per aiutarli a vivere meglio con se stessi e con gli altri. In questa nostra epoca «pandemica», in cui, a livello religioso e culturale è possibile leggere, anche contestualmente, testimonianze di apertura evangelica profonda e di chiusura dottrinalistica drammatica, l’ampio contributo di carattere teologico ed antropologico, educativo e formativo di don Sandro risulta sempre più luminoso ed apprezzabile in ordine al presente e al futuro di un’interpretazione della fede cristiana davvero credibile. Per ricordare questo amico e maestro di tanti ritengo utile, anche in questo caso, rileggere le sue parole. In un libro intitolato Voglio dirti qualcosa di Dio e pubblicato nel 2008, Vitalini, parlando della Chiesa, si esprimeva nel modo seguente:

La Chiesa nel tempo

La Chiesa prolunga nel tempo la missione stessa del Cristo crocifisso: «attirerò tutti a me» (Gv 12,32). «Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo» (LG n. 3). La presenzialità dell’opera del Cristo si verifica per mezzo del suo Spirito e la Chiesa si presenta come «un popolo adunato nell’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (LG n. 4). In essa si annuncia il regno e i suoi membri, nutriti dalla Parola e dai Sacramenti, camminano verso la pienezza della celeste Gerusalemme (Ap 21,2). Essa è detta ovile, campo, vigna, tempio, sposa, corpo di Cristo, popolo di Dio. Come Gesù, anche la Chiesa è chiamata a rivelare l’amore del Padre servendo e amando, soprattutto i deboli e gli ultimi, lei stessa facendosi partecipe della sofferenza di ogni uomo. «In ogni tempo e in ogni nazione è accetto da Dio chiunque lo teme e opera la giustizia» (At 10,35). «Il popolo messianico, pur non comprendendo in atto tutti gli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di virtù, di speranza e di salvezza» (LG n. 9). Tutti i suoi membri hanno una dignità sacerdotale, uniti all’unico sacerdote che è il Cristo, e tutti sono attivi nella celebrazione dei sacramenti, nella proclamazione dell’unica fede e nell’esercizio dei vari carismi in funzione del bene di tutti…

La «gerodulia»

Nel NT la Chiesa ci appare strutturata: attorno agli apostoli vediamo gli episcopi e i presbiteri, che servono la comunità con la parola e la preghiera, pronti a dare per essa anche la vita. Il termine ben noto di «gerarchia» dovrebbe sparire a favore di «gerodulia», (dal greco = servizio sacro), dato che non c’è analogia tra il servizio dell’apostolo (doulos) e l’autorità di tipo mondano (Mt 23,11).
Come Gesù sceglie i dodici, così essi scelgono i loro diretti collaboratori. La Chiesa riconosce nei vescovi i loro successori, che ricevono dalla imposizione delle mani e dalle parole consacratorie la grazia dello Spirito Santo (LG n. 21) e, in comunione col vescovo di Roma, che presiede all’amore universale, costituiscono un collegio al quale è affidata la responsabilità di annunciare il Vangelo in ogni parte della terra (LG n. 23): essi predicano la Parola, santificano con i sacramenti e guidano il gregge.
I collaboratori del vescovo sono i presbiteri, che costituiscono col vescovo diocesano una sola famiglia ed un solo corpo (LG n. 28), ai quali si associano i diaconi, che vivificano la carità diocesana. A questo ordine, ristabilito dal Vaticano II, come stato di vita possono accedere anche uomini sposati (LG n. 29). Circa la possibilità che questi siano anche ordinati presbiteri la discussione è ancora accesa. La diminuzione del numero dei preti porta molte comunità a restare senza eucaristia domenicale. È certo auspicabile che anche uomini sposati vengano ordinati al ministero presbiterale pur di evitare che le comunità siano private dell’eucaristia. Circa l’ordinabilità delle donne il dibattito è teso, visto che si è proceduto alla loro ordinazione in comunità nate dalla riforma protestante. Per illuminare esistenzialmente il problema bisognerebbe ridare alla donna la possibilità di esercitare quei ministeri che le riconosce il Nuovo Testamento (Rm 16,1; 1Tm 3,11). Nello spazio di un paio
di generazioni la problematica sarebbe chiarificata.

Il laicato

I laici nella Chiesa sono tutti attivi e responsabili, chiamati a promuovere la crescita del corpo del Signore (Ef 4,15-16). I laici cercano il Regno di Dio «trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio… come fermento per la santificazione del mondo» (LG n. 31). Ciascuno coopera con i propri carismi, come un membro del corpo, al bene della famiglia di Dio (Rm 12,4-5). Tutti i battezzati cresimati sono inviati nel campo dell’apostolato ed esercitano una funzione sacerdotale (di preghiera), profetica (di annuncio) e regale (di lotta), offrendo a Dio e al mondo la testimonianza di una vita che cerca di ordinare a Dio l’intera creazione. I laici sono le membra di quel corpo al quale appartengono episcopi e presbiteri e formano insieme una sola famiglia (LG n. 37). Essi sono «l’anima del mondo» (LG n. 38). Anche se nel mosaico della Chiesa, ogni tesserina ha una diversa collocazione, ciascuna ha la stessa capitale importanza. Ciascun battezzato è chiamato a diventare sempre più simile a Cristo, il solo Santo (LG n. 39), avanzando verso la perfezione del Padre (Mt 5,48).
La santità è il culto del Padre in spirito e verità che cresce nella maggior conformazione al Cristo irradiante il suo amore sulle membra più sofferenti del suo Corpo, che a loro volta validamente lo edificano (LG n. 41). La crescita nella santità è in concreto una crescita nell’amore verso il prossimo, nemico compreso, che meglio visibilizza l’opera trinitaria nel mondo. Si è tanto più cristiani quanto più si sa donare la vita per gli altri, avendo in noi gli stessi sentimenti di totale donazione di Cristo Gesù (Fil 2).

Religiose e religiosi

Se è vero che tutti i battezzati sono chiamati alla perfezione del Padre è anche vero che hanno bisogno di modelli. Le religiose e i religiosi sono sollecitati ad essere maestri nell’incarnare il Vangelo. La loro vita povera, verginale, obbediente e felice attira all’imitazione. La vita religiosa esplicita l’impegno battesimale (LG n. 44), spinge a visibilizzare il Cristo al servizio del Popolo di Dio. Essa anticipa sulla terra il Regno di Dio aiutando la persona a svilupparsi in tutta la sua pienezza, così che possa irradiare «la tenerezza di Cristo» (LG n. 46) nello scorrere della storia umana. Negli ospedali come nei monasteri, nelle missioni come nelle scuole, religiose e religiosi guidano la Chiesa alla concreta lode per la Trinità creatrice (LG n. 47).

L’esigenza dell’unità

Alla luce di quel nucleo rivelato che si è ricordato e che è vissuto dalle varie comunità cristiane oggi non ci sono ostacoli maggiori alla ricomposizione dell’unità tra i cristiani che il Padre in Gesù ha loro ordinato. Tutti ci dobbiamo riconoscere dei figli separati dal Padre se,
contro la sua volontà, restiamo separati fra noi. Nel rispetto della diversità di tradizioni che si è creata nei secoli di sciagurata divisione e coscienti che ci si è separati più per motivi politici e sociali che dottrinali, dobbiamo ridarci la mano da quel punto in cui ci siamo staccati e arrivare a una formulazione di fede comune che ci permetta di spezzare quel pane che ci aiuterà a testimoniare insieme l’amore trinitario per il mondo. È una questione oramai di sopravvivenza: o i cristiani fanno sparire le loro divisioni o queste faranno sparire i cristiani
(Voglio dirti qualcosa di Dio, EDB, Bologna 2008, pp. 43-47).

Anche dopo aver letto queste sue parole, l’impegno che la memoria di Sandro Vitalini implica – ciò mi sembra sempre più chiaro a distanza di un anno dalla sua morte – è quello non di «mitizzare» chi è scomparso, ma di tentare di condividere con tanti nostri contemporanei almeno una parte del suo lucido ed intelligente entusiasmo per la fede cristiana e per la cultura umanistica ad ampio raggio. Tutto questo in dialogo con chiunque abbia a cuore la felicità di ogni essere umano, nell’attenzione più vitale al rapporto tra Scritture bibliche e celebrazioni sacramentali, tra riti liturgici e vita quotidiana, sempre nella logica dell’amore evangelico espresso nel giudizio universale di Matteo 25,31-46.
Tanti scritti di Sandro Vitalini meritano di essere esaminati complessivamente a livello scientifico come oggetto di studio anche in ambito accademico: confidiamo che in un futuro non lontano ciò possa avvenire. Per ora, anche a partire dal suo testo sull’identità ed unità ecclesiali che ho appena riproposto, abbiamo tante ragioni – credo lo pensino in moltissimi – per ringraziare Dio di averlo incontrato sulle strade delle nostre vite.

Ernesto Borghi

Sandro Vitalini
5 Maggio 2021 | 09:25
Tempo di lettura: ca. 5 min.
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