Restano 4 giorni d’ Avvento: sei ancora in tempo per decongestionare la tua vita…

L’ Avvento è un cammino verso l’interno, non verso l’esterno. Un cammino lento e senza fretta. Un cammino che si improvvisa e si segue sempre fedelmente. Un cammino di sorprese e giorni simili. Un cammino profondo. Un cammino di fedeltà e creatività. Un cammino di salite e discese. Un cammino di lacrime e sorrisi. Un cammino di attese, di silenzi, di ricerche, di incontri.

Il cammino dell’Avvento è quello della vita stessa. Sono sempre in Avvento. Mi aspetto sempre più di ciò che possiedo e anelo a più di quello che tocco. Come quel bambino innamorato della luna che sogna sempre di poterla abbracciare.

Mi piace quel cammino in cui mi soffermo. Cammino lentamente, non smetto di camminare. Voglio smettere di fare quelle cose che mi tirano fuori da me stesso.

Perché a volte, quasi senza volerlo, i miei giorni precedenti il Natale si riempiono di appuntamenti e di rumori, di incontri e di cene, e l’anima vaga di corsa da una parte all’altra. Inquieta, come cercando al di fuori quello che non trova dentro.

Per questo a volte corro fuori anziché guardare più a fondo dentro di me. Corro volendo riempirmi. Di cose, di amori, di vita. E non guardo dentro.

In Avvento voglio seguire la mia strada. Ma senza fretta. Placare l’ansia. Placare le grida. Affogare le voci che mi confondono. Fare un sacro silenzio nell’anima.

Mi toccano le parole di una persona che pregava: «Voglio arrivare più in alto. Non mi adatto a una vita mediocre, comune, triste, sedentaria. Non voglio vedermi senza delineare quel sogno che nessuno aveva sognato. Lasciami abbracciare l’impossibile che mi sboccia dall’anima. Grazie, Gesù, perché mi ami. Grazie perché cammini al mio fianco. Grazie perché dai senso alla mia vita quando a volte io non lo trovo. Ti abbraccio in silenzio ogni mattino. Voglio misurare con calma la terra tra le mie mani. Voglio sentire le tue orme accanto alle mie. Nel cammino della mia vita. Là dove sono nascosto. Voglio seminare stelle infinite in un cammino di vita. Rallegrare chi soffre. Sostenere chi cade. Rialzarmi con lui e uscire correndo. Non ho l’anima stanca. Sono attenta e disponibile».

Voglio vivere sempre in cammino. Ma non disperso. Sempre verso l’esterno. Ma da dentro. Sempre attento alla vita. Senza trascurare la mia anima. Con parole di consolazione. Nate dai miei silenzi. Senza che la vita mi turbi al di là della pelle della mia anima. Contenuto in me stesso per non cadere in un’infinità di luci e canti.

In questo cammino del mio Avvento voglio calmare la mia fretta. Fermare i miei passi. Spegnere i miei rumori. Voglio seguire, in un tentativo audace di essere me stesso, un ritmo nuovo, quello che ha Dio. Quello che segna la mia anima piena di Avvento, di attesa, di anelito.

Voglio scrivere alle persone a cui voglio bene. Fare regali a chi amo. Ma non regalare qualsiasi cosa. Qualcosa di me stesso, di molto personale. Senza voler fare bella figura. Dandomi quando mi dono. Senza fretta. Con la calma di un Bambino che nasce lentamente, sempre di nuovo, carne tra le mie dita.

Voglio percorrere il mio cammino d’Avvento a modo mio. Con le mie modalità. Con il motto che accende la mia anima. Con le parole dell’Angelo che mi ricordano ancora una volta: «Rallegrati! Il Signore è con te!».Perché non mi turbi non toccando i miei sogni. E per non credere quando fallisco che nulla andrà bene di nuovo.

Perché l’Avvento è un inizio. E voglio ricominciare di nuovo. Con la gioia dell’inizio. Con l’anima di chi nasce. Senza esigere dalla vita più di quello che mi dona. Mettendo da parte antiche amarezze, insieme all’impazienza che mi inquieta e mi turba.

Voglio vivere oggi il mio Avvento. Oggi. Ogni mattina. Voglio vivere più libero dalle cose che mi legano. Me lo ricorda papa Francesco, dicendo che l’Avvento è «un invito alla sobrietà, a non essere dominati dalle cose di questo mondo, dalle realtà materiali, ma piuttosto a governarle».

Voglio essere più sobrio e più austero nel mio cammino. Mettere da parte ciò che mi pesa. Non chiedermi ogni momento cosa desidero. Svuotare i miei armadi pieni. Decongestionare la mia vita. Fare spazio a Dio là dove non entra più niente nell’agenda.

Aprire spazi profondi nella mia anina oppressa, perché possa sorgere una vita nuova. Lasciare a maggese la terra nella valle del mio cuore. Perché nasca qualcosa di nuovo.

Voglio non essere dominato dalla vita, né dal tempo che sfugge, né dalla fretta di arrivare prima in qualche posto. Con il cuore aperto a ciò che può sorgere durante il cammino. Tante volte mi sento poco libero… Forse più legato di quanto desidero.

Voglio vivere la misericordia di quel Bambino Dio che mi ricorda che solo il perdono mi guarisce dentro e mi libera l’anima. Per vivere senza catene. Il perdono che ricevo. Il perdono che offro.

Una persona si chiede: «Si può perdonare per curare davvero le ferite senza che ci sia stato il minimo accenno di scuse o di riconoscimento del danno provocato?» Non lo so. Mi sembra difficile. È un dono. Per questo lo chiedo.

Il mio Avvento è un tempo di pausa. Di tempi morti. Perché sorga la vita. Perché sbocci il perdono. Il reincontro. Un deserto fiorito nel mio cuore ferito. È tempo di misericordia, quando mi sento legato da quel rancore opaco che mi amareggia l’anima.

Il perdono che supplico cresca tra le mie dita. Si può perdonare quando qualcuno mi ha fatto un danno? Quel perdono che pulisce la mia vita da dentro.

Mi fermo di nuovo in mezzo al mio Avvento. Voglio guardarlo profondamente. Voglio un perdono che salvi la mia vita dall’ira. Dalle catene che mi tolgono la luce. Sono giorni di pace. Aspetto con ansia l’arrivo di Gesù. La sua venuta nella mia carne. Con la gioia che provoca l’incontro.

(Carlos Padilla/Aleteia)

21 Dicembre 2016 | 06:00
Tempo di lettura: ca. 4 min.
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