Il rapporto WeWorld 2017 fotografa la situazione delle discriminazioni

Nel mondo una donna su tre sperimenta ogni giorno forme gravissime di violenza, abuso e discriminazione. Stiamo parlando di almeno due miliardi di persone sparse in oltre cento paesi. Tra il 2016 e il 2017 il loro numero è aumentato di circa 22 milioni. Complici guerre, carestie dilaganti, emergenze sanitarie dimenticate, ma non solo. Le forme del sopruso nei confronti di chi è più debole molto spesso sono invisibili e possono infiltrarsi anche nelle maglie di quelle società che si considerano più evolute semplicemente perché più ricche e tecnologicamente avanzate.

Uno strumento essenziale per fotografare le discriminazioni nel mondo è il rapporto WeWorld Index 2017, giunto quest’anno alla sua terza edizione. L’analisi, altamente innovativa, considera il progresso di un paese partendo dalle condizioni di vita dei soggetti più a rischio di esclusione, come le bambine, i bambini, gli adolescenti e le donne. E lo fa servendosi di indicatori non economici, rispondendo così a un’esigenza molto attuale: una società non può essere studiata soltanto attraverso i numeri del prodotto interno lordo o del reddito pro capite. Una persona non è solamente un lavoro o un salario. Un radicale cambio di paradigma è necessario. Concetto cardine del WeWorld Index 2017 è quello di «inclusione sociale», entrato anche nell’agenda dello sviluppo sostenibile dell’Onu (compare per sei volte nei 17 obiettivi). Indica la qualità della partecipazione e del coinvolgimento delle persone in tutte le dimensioni della vita sociale: sanitaria, educativa, lavorativa, culturale, politica, informativa, la sicurezza e il rispetto dell’ambiente, la parità di genere. Tale multidimensionalità è inquadrata nel rapporto attraverso 14 indicatori raggruppati in 17 dimensioni o macro-aree, l’uso di fonti internazionali (Onu, Banca mondiale, ecc.) e interviste sul campo. Ogni dimensione corrisponde a un aspetto della vita considerato determinante per l’inclusione di bambine e bambini, adolescenti e donne.

La diagnosi che emerge è sorprendente. Gravi rischi per l’inclusione di donne e bambini ci sono non solo nelle aree più povere del mondo, ma anche in quelle più ricche e sviluppate. I governi sanno bene che cosa occorre fare. Manca però un piano globale, un’agenda comune che possa unire e rafforzare gli sforzi.

Dal WeWorld Index 2017 emerge innanzitutto una triste conferma: l’Africa sub-sahariana e l’Asia meridionale sono le aree più critiche del mondo. In molti stati di queste regioni non sono garantiti i diritti fondamentali come la salute e l’educazione. Malgrado alcuni progressi, la mortalità materna e infantile, il mancato accesso delle bambine all’educazione, il lavoro minorile e lo sfruttamento economico delle donne continuano a essere le principali forme di violenza e di discriminazione.

La situazione è drammatica soprattutto nella Repubblica Centrafricana, all’ultimo posto nell’indice stilato nel WeWorld Index 2017. A causa del terribile conflitto civile, degli scontri tribali e della siccità i bambini e le bambine sono privati della possibilità di studiare, costretti a fuggire perdendo i legami sociali, gli affetti, la casa. Diventano allora profughi in altri paesi africani o cercano la via dell’Europa. Entrambe le strade sono lastricate di orrori e morte.

Benché le politiche inclusive siano ormai note, i governi locali non fanno nulla per attuarle con coerenza. Innanzitutto — affermano gli autori del rapporto — occorrerebbe che in tutti i paesi con gravi o gravissime forme di esclusione si sfruttasse la finestra dei «mille giorni» (dal concepimento ai primi due anni di vita) per garantire nutrizione e accesso alla salute alla madre, al bambino e alla bambina. Solo così sarebbe possibile prevenire malattie e ritardi nello sviluppo per milioni di piccoli. È necessario poi favorire un percorso scolastico di qualità per contrastare lo sfruttamento del lavoro minorile (compreso quello nell’economia familiare) e specialmente la discriminazione delle bambine.

L’Africa e l’Asia non sono casi isolati. In Europa occidentale e orientale i diritti di bambini, bambine, adolescenti e donne non sono sempre rispettati. Negli ultimi anni in diversi paesi (tra i quali Francia, Spagna, Italia, ma anche Germania) non è affatto migliorata l’inclusione delle donne, mentre è addirittura peggiorata quella di bambine, bambini e adolescenti. Molto spesso una donna è costretta a lavorare quattro volte più di un uomo per raggiungere l’unico obiettivo di essere pagata. Non di essere pagata di più o uguale a un uomo, ma soltanto di essere pagata.

C’è poi un altro capitolo amaro: la povertà infantile. Oggi più di 26 milioni i cittadini europei under 18 (il 27 per cento) sono a rischio di povertà o grave esclusione sociale. La grande crisi economica scoppiata nel 2008 non è stata solo economica. Ha distrutto i sogni e le speranze di molti adolescenti e ragazzi, come dimostra il crescente fenomeno dei Neet (»Not in Education, Employment or Training», giovani che non studiano, non lavorano o non si formano) e che quindi non possono nemmeno comparire nelle statistiche ufficiali. Le future politiche sociali dovranno avere l’obiettivo di dare a questi giovani non solo sicurezza e sostegno, ma anche progettualità, fiducia nel futuro e nelle istituzioni. E non da ultimo, coraggio.

Nessuno deve restare escluso: questo è il monito che risuona nelle pagine del WeWorld Index 2017. Vincere la sfida è possibile: le risorse ci sono, i mezzi anche, come conferma anche l’agenda dello sviluppo dell’Onu. Il futuro può essere più sostenibile. Per tutti.

(Osservatore Romano)

3 Maggio 2017 | 07:45
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