Chiesa

Quei poveri che pranzano in chiesa, e l’accusa di «profanazioneˮ

Papa Francesco lo aveva detto poco prima durante l’incontro all’Hub Regionale di Bologna: «Da lontano possiamo dire e pensare qualsiasi cosa, come facilmente accade quando si scrivono frasi terribili e insulti via internet». È accaduto anche nel caso della decisione dell’arcivescovo Matteo Zuppi di far mangiare un migliaio di i poveri con Papa Francesco all’interno della basilica di San Petronio.

 

Commentatori, giornalisti e «hatersˮ di professione, insieme a siti sedicenti cattolici, non si sono limitati a dissentire dalla scelta (critica del tutto legittima), ma hanno come spesso accade esasperato i toni, tirando in ballo addirittura la parola «profanazione». Nessuna sorpresa: se si è arrivati a dare dell’eretico al Pontefice sulla base di presunte eresie che lui mai ha scritto o pronunciate, anche un pranzo con poveri e disagiati sotto le volte di una chiesa può venire presentato come un atto eversivo e gravissimo, un affronto alla sacralità del luogo e un’offesa – anzi una profanazione – del Santissimo Sacramento.

 

È l’ennesimo esempio di «tradizionalistiˮ che pur di trovare la loro quotidiana accusa contro il Papa dimenticano (o ignorano) la tradizione e la storia della Chiesa. Il Vangelo è pieno di scene che descrivono Gesù a tavola: proprio il suo sedersi a mensa con pubblicani e peccatori provoca scandalo. La stessa eucaristia viene istituita attorno a una tavola imbandita per la cena. San Giovanni Crisostomo, Padre della Chiesa venerato dalle chiese cattolica e ortodossa, scriveva: «Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Colui che ha detto: «Questo è il mio Corpoˮ, è il medesimo che ha detto: «Voi mi avete visto affamato e non mi avete nutritoˮ, e «Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a meˮ… A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d’oro, quando Lui muore di fame? Comincia a saziare Lui affamato, poi con quello che resterà potrai ornare anche l’altare».

 

Queste parole di Giovanni Crisostomo attestano il legame indissolubile tra il servizio all’altare, l’eucaristia e la carità, l’amore per gli altri e per i poveri, come si legge in un numero del 2009 della rivista teologica (non certamente eversiva) Communio: «Un legame sottolineato nelle Scritture così come il tema del banchetto messianico, in cui gli ultimi saranno saziati».

 

È ovvio che il pranzo in chiesa – come quello che tradizionalmente offre la Comunità di Sant’Egidio ai poveri il giorno di Natale nella basilica di Santa Maria in Trastevere – rimane un evento eccezionale, dato che si tratta di un luogo destinato alla liturgia e alla preghiera. Ma il gesto compiuto oggi da Francesco in San Petronio a Bologna è molto più tradizionale di quanto si pensi o di quanto dicano quanti lo accusano di «profanazione».

 

Il pranzo in comune era frequente nelle prime generazioni cristiane e accompagnava la riunione della comunità fin dai tempi apostolici. Narra san Giovanni Crisostomo: «Nelle chiese c’era un’usanza ammirevole: i fedeli, riunitisi, una volta ascoltata la Parola di Dio, partecipavano tutti alle preghiere di rito e poi ai santi misteri. Alla fine della riunione, invece di tornare subito a casa, i ricchi, che si erano preoccupati di portare provviste in abbondanza, invitavano i poveri e tutti si sedevano a una stessa tavola, apparecchiata nella chiesa stessa e tutti senza distinzione mangiavano e bevevano le stesse cose. Si comprende come la tavola comune, la santità del luogo, la carità fraterna che si manifestava dappertutto diventavano per ognuno fonte inesauribile di gioia e di virtù».

 

Non mancano, ricostruisce Communio, disposizioni dettagliate per questi pranzi, cui spesso partecipa anche il vescovo, tanto da suggerire l’immagine di una sorta di una «liturgia della carità». Anche Gregorio Magno, Vescovo di Roma alla fine del IV secolo, apre le porte della Chiesa per far mangiare i più poveri, in un momento difficile per la sua città, segnata da violenze e da situazioni di bisogno estremo. Papa Gregorio allestisce il «triclinium pauperumˮ, una mensa per i poveri, nell’oratorio di Santa Barbara, accanto alla sua residenza al Celio. Al centro della piccola chiesa venne costruito un grande tavolo di marmo dove lui stesso, il Papa, ogni giorno, serve il pasto a dodici poveri.

 

Anche la basilica di San Pietro – non quella attuale, ma quella precedente costantiniana – ha visto pranzi simili. San Paolino da Nola, vissuto tra il IV e il V secolo, racconta un pranzo per i poveri offerto nella basilica di San Pietro in Vaticano dal senatore romano Pammachio. Il senatore, convertitosi al cristianesimo, offrì un pranzo in memoria della moglie scomparsa. Il vescovo Paolino con queste parole loda e sostiene l’opera dell’amico: «Tu radunasti nella basilica dell’Apostolo (Pietro, ndr) una moltitudine di poveri, patroni delle anime nostre, che per tutta la città di Roma chiedono l’elemosina per vivere… Mi sembra di vedere tutte quelle moltitudini di gente misera affluire a sciami in grandi schiere, fino in fondo all’immensa basilica del glorioso Pietro… che lieto spettacolo era quello».

 

Chi oggi parla a sproposito di «profanazione» sta dunque dando del «profanatore» non soltanto all’attuale Pontefice e all’attuale arcivescovo di Bologna. Ma a molti dei loro predecessori, santi compresi. Dimenticando che ci sono occasioni particolari in cui nelle chiese, per essere benedetti prima del Palio di Siena, entrano persino i cavalli.

Andrea Tornielli – VaticanInsider

2 Ottobre 2017 | 08:10
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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