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Primo Mazzolari e Lorenzo Milani – Libro esplosivo e sconvolgente

Pubblichiamo una recensione della scrittrice e poetessa fiorentina uscita su «Il Popolo» di martedì 15 luglio 1958.

«Se un campanile crolla solo una fede ardente può arrestarne la caduta. Questo lavoro è dedicato ai Missionari Cinesi del Vicariato Apostolico d’Etruria, perché contemplando i ruderi del nostro campanile e domandandosi il perché della pesante mano di Dio su di noi, abbiano dalla nostra stessa confessione esauriente risposta».

Don Milani mentre insegna nella scuola di Barbiana

Questo è il primo paragrafo della lunga dedica che si legge sul frontespizio di Esperienze pastorali di Don Lorenzo Milani, pubblicato dalla Libreria Editrice Fiorentina (Firenze, 1997, pagine 477, euro 20). Non occorre, come si vede, aspettare molte pagine per sapere, se non la materia in tutti i suoi dettagli, il tono e lo stato d’animo che il suo autore ne ha desunto. In queste prime righe vi è già il fremito dell’intero libro, il feroce esame di coscienza, l’angoscia e, su un orizzonte remoto ma sicuro, l’indomabile speranza (poiché il nostro mondo scristianizzato dovrà ritornare cristiano, sia pure ad opera del Missionari Cinesi). Don Milani insomma non ci conduce a poco a poco nell’argomento: ci dà una spinta, come sull’orlo di un pozzo e ci butta dentro.
Dopo un frontespizio così, vien fatto di correre subito a cercare le pagine del testo, saltando perfino (e accorgendosene solo retrospettivamente, quando le renderemo piena giustizia) la bellissima introduzione di monsignor D’Avack, vescovo di Camerino e la nota (che è viceversa impacciata e conciliante) dell’editore di questo libro esplosivo. Cerchiamo e leggiamo il corpo del libro, e questo è tale che a un certo punto arriveremo a sentire come superfluo anche il paradosso amaro della dedica che ci era parso tanto forte all’inizio; anzi, dov’esso si riaffaccia, ci parrà quasi un indebolimento, un espediente letterario di cui si poteva fare a meno. Altro che l’immagine dell’arrivo dei Missionari Cinesi nella devastata Diocesi d’Etruria, ha il libro di don Milani per scuotere i lettori!
Le «esperienze pastorali» che Don Milani racconta hanno avuto luogo nelle due parrocchie che costituiscono il suo curriculum di giovane sacerdote: San Donato, nei pressi di Calenzano, e Sant’Andrea di Barbiana, nei pressi di Vicchio di Mugello. La prima parrocchia ha un popolo ormai composto in massima parte di operai; i contadini, oltre ad essere una minoranza (contrariamente a quanto avveniva in passato) sono generalmente degli immigrati, alla penultima tappa di quell’esodo dai monti che ha come meta definitiva l’inurbamento e il lavoro industriale. Barbiana è invece una parrocchia tutta di montagna, una di quelle dove lo spopolamento e la fuga hanno inizio. Parrocchie povere, l’una e l’altra, popolazioni per cui è dura la vita. Il materiale raccolto in esse, Don Milani lo ha organizzato in diversi capitoli da cui emergono gli aspetti della vita sacerdotale in rapporto alla vita spirituale e materiale di quelle popolazioni. Non si può riassumerne in breve il contenuto: un contenuto, poi, tutt’altro che diluito, anzi sempre teso e compresso, per il quale sarebbe impensabile una concentrazione ulteriore, mentre sono pensabili e desiderabili ulteriori sviluppi ed aggiunte. Mi limito quindi ad indicare qualche tema fondamentale. Il primo è la lontananza di fatto delle popolazioni dalla Chiesa. Ciò che queste intendono per religione è soltanto rito di cui non capiscono né si curano di capire il significato: adempimento meccanico e ormai burocratico di precetti come la Messa festiva o la Comunione pasquale (in chi li adempie ancora) tradizioni cristallizzate come nel caso di certe prediche e feste. Si è dentro la Chiesa solo materialmente, con la stessa o anche maggiore indifferenza di chi è materialmente fuori. Di questa situazione non si può accusare il comunismo. Il comunismo l’ha trovata, non creata. Non ha avuto in questo senso bisogno di sfondare nessuna porta; la porta era già spalancata da sé.
Non sono del resto i progressi del comunismo che preoccupano don Milani, ma i regressi della fede cristiana, e proprio come fede cristiana e non come bandiera politica. Di questi regressi egli vede una causa nell’adattarsi stesso del prete a far da funzionario, a contentarsi dell’esteriorità, rallegrandosi quando la gente gli riempie la chiesa per una festa o la balaustra per una Comunione generale, e non guardando più a fondo di queste manifestazioni. Ma la causa delle cause, la causa per eccellenza del «fosso» che si è scavato tra il prete e il popolo e che impedisce al popolo di profittare in profondità dell’insegnamento della Chiesa, è che essi parlano due linguaggi diversi. Il prete è un uomo che ha avuto una vasta cultura, generale e teologica; il popolo ha una ricchissima esperienza di vita, ma spesso non sa nemmeno articolarla in un linguaggio perché non gli è stato insegnato ad esprimersi, il suo linguaggio si limita a quei pochi termini che usa tutti i giorni a casa o nel lavoro (terribile la limitatezza constatata fra i pecorai della parrocchia di montagna) e a quelli standardizzati e generici che gli arrivano, quando gli arrivano, attraverso il divertimento, gli sport e i mezzi di comunicazione di massa. Se il prete vuole essere capito, deve mettere il suo popolo in grado di capirlo, deve anzitutto istruirlo.

di Margherita Guidacci

27 Aprile 2017 | 12:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
mazzolari (4), milani (3)
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