Piana di Ninive, la Chiesa caldea: no alla contesa Baghdad-curdi

Sono già trascorsi sette mesi da quando tutta la città di Mosul e l’intera pianura di Ninive sono state liberate dal dominio dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh). Eppure, a tutt’oggi, molte città della Piana di Ninive, un tempo abitate da cristiani, «sono ancora vuote», e nessun residente ha fatto ritorno alle proprie case, abbandonate nell’estate 2014 davanti all’avanzare delle milizie del «Califfato». Lo denuncia il Patriarcato di Babilonia dei Caldei, che guida la più consistente comunità cristiana radicata in Iraq. E attribuisce il mancato ritorno «all’incapacità del governo centrale» di ricostruire case e infrastrutture devastate dal conflitto, ma anche e soprattutto ai nuovi venti di guerra che si abbattono proprio sulla Piana di Ninive, divenuto territorio conteso tra il governo centrale di Baghdad e le milizie curde dei Peshmerga, che fanno capo alla Regione autonoma del Kurdistan iracheno.

 

Il Patriarcato caldeo ha appena diffuso un documento per far conoscere la propria visione sul «futuro delle città cristiane della Piana di Ninive», e ribadire che «i cristiani non sono estranei all’Iraq, ma rappresentano popolazioni autoctone nel Paese».

 

La sorte che sembra investire la Piana di Ninive appare sempre più paradossale. I villaggi che la punteggiano rappresentavano i caposaldi storici delle comunità cristiane autoctone nello spazio dell’antica Mesopotamia. E proprio intorno a quella Piana si coltivava da tempo immemore in seno a settori delle comunità cristiane irachene il progetto di una «regione autonoma» da assegnare ai cristiani, per realizzare almeno in parte il sogno ancestrale di un «focolare nazionale» riservato alle comunità caldee, assire e sire. Nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014 decine di migliaia di cristiani fuggirono in fretta e furia da Qaraqosh, Kramles, Talkief, Bartalla e dagli altri centri abitati dell’area, dopo che l’esercito iracheno e le truppe curde Peshmerga presenti nella regione si erano ritirati davanti all’avanzare dei jihadisti. Negli ultimi anni, non c’è stata iniziativa e dichiarazione «in difesa dei cristiani iracheni» da parte di poteri e lobbies che non abbia fatto riferimento alla necessità di garantire e difendere il ritorno di battezzati caldei, siri e assiri nelle cittadine e nei villaggi della Piana di Ninive. Eppure proprio quella regione è diventata insieme a Kirkuk l’epicentro del nuovo scontro tra governo di Baghdad e i disegni separatisti della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, guidata dall’attuale leadership a proclamare la propria indipendenza attraverso il risultato plebiscitario del referendum pro-indipendenza convocato lo scorso 25 settembre.

 

La nuova conflittualità rappresenta un effetto indiretto e ritardato degli equilibri fragili imposti nell’intera regione dal 2003, dopo la caduta del regime baathista, con il coinvolgimento decisivo delle forze internaizonali a guida USA. Da allora, le forze prevalenti nel Kurdistan iracheno rivendicano in disputa con il governo centrale il controllo di 5 «aree contese», compreso quelle dei governatorati di Ninive e di Kirkuk.

 

Il Patriarcato caldeo, nel delineare la sua «visione» sul futuro delle città cristiane della Piana, riconosce che «la giurisdizione sulla pianura di Ninive, unificata, stabile e protetta fino al 2003, viene oggi contesa tra il governo iracheno e le forze curde». Ricorda che dopo il referendum per l’indipendenza della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, proprio in quella zona si sono registrati scontri militari che hanno contrapposto l’esercito iracheno e i gruppi di mobilitazione militare popolare (Al-Hashd) ai Peshmerga. Nelle cittadine di Telkaif e Baqofa «sono stati feriti bambini innocenti, e le case delle famiglie cristiane sono state utilizzate come postazioni di difesa. Di conseguenza, molti residenti di queste città sono fuggiti di nuovo, creando un nuovo stato di ansia e di paura». Tutto ciò – fa notare il Patriarcato – porterà ad un’ulteriore migrazione di cristiani all’estero.

 

Per scongiurare la totale cancellazione della presenza cristiana dalla regione, il Patriarca caldeo Louis Raffael Sako e i suoi collaboratori non si limitano alle dichiarazioni di principio, e indicano nel loro pronunciamento alcune misure concrete: invitano a disinnescare la contesa giurisdizionale in atto sulla Piana di Ninive, ritornando alla situazione pre-2003, quando il governo centrale aveva recuperato il controllo su tutta la regione; raccomandano di integrare e inquadrare tutte le milizie e i gruppi armati locali – spesso organizzati su base etnico-religiosa – nell’esercito nazionale e nelle forze di sicurezza federali; richiamano le organizzazioni e i Partitini politici cristiani a coordinarsi e agire in maniera concorde. Infine, il Patriarcato caldeo rinnova il suo appello al governo iracheno e a quello della Regione autonoma del Kurdistan a «sedersi al tavolo del dialogo per riconsiderare la situazione e risolvere tutti i problemi in sospeso», riconoscendo entrambi che «i popoli sofferenti dell’Iraq e del Kurdistan rifiutano la prosecuzione della guerra».

30 Ottobre 2017 | 18:20
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baghdad (6), caldei (6), guerra (160), ninive (9)
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