Commento

Pentecoste: commento al Vangelo

Calendario romano: Gv 14,15-16.23b-26

Dalla rubrica tv Il Vangelo in casa di Caritas Ticino a cura di Dante Balbo, con don Angelo Ruspini, in onda su TeleTicino e online su YouTube:

Una pioggia delicata di petali di rosa non accoglie solo sposi di un po’ tutte le latitudini all’uscita dalla chiesa. C’è una tradizione nel Meridione italiano, molto in voga almeno fino al diciannovesimo secolo, che prevedeva una morbida discesa – sulle teste dei fedeli – di petali di rosa rossa proprio durante la celebrazione della Pentecoste. La «Pasqua Rosata », così viene ancora chiamata, simulava la venuta dello Spirito Santo per una ricorrenza che, tuttora, è declinata con modalità diverse a seconda del luogo dove viene celebrata. «Ma il senso resta lo stesso», sottolinea don Angelo Ruspini, ancora dalla Chiesa dell’Assunta di Giubiasco, dove le telecamere di Caritas Ticino sono ospitate per il commento delle Sacre Scritture. «Sono passati cinquanta giorni dalla Pasqua, e questa era già una festa ebraica». Gli Atti degli Apostoli – sottolinea Dante Balbo – raccontano la discesa dello Spirito Santo con lingue di fuoco; una raffigurazione d’effetto, entrata nell’immaginario comune. «Preferisco pensare alle lingue come metafora di comunicazione: dopo questo evento comincia il tempo dell’annuncio del Vangelo in tutto il mondo. La Pentecoste non dovrebbe essere più solo una festa che svanisce con il tramonto ma uno stile di vita, lo stile dell’annuncio di Cristo: amore, salvezza, verità». Lo Spirito Santo, allora, che ruolo ha nella vita dell’uomo? Don Angelo non ha dubbi: «Conferma a chi ha fede che Gesù ti fa realizzare la vita. E chi ha questa convinzione non può fare altro che approfondire questa conoscenza con il Cristo. Inoltre, lo Spirito Santo si rivolge a chi deve ascoltare la parola di Dio. Quando celebro l’estrema unzione prego sempre lungo il tragitto, affinché quel sacramento abbia un valore e comunichi qualcosa di Dio, in quel dolore. E poi, per chi non crede: lo Spirito Santo prepara loro il terreno perché quell’incontro con Gesù segni la loro vita». Una venuta che precede l’annuncio, ricorda Dante Balbo. «Dà le parole giuste a chi deve parlare e rende l’ascolto significativo». Tornando alla Pentecoste, don Angelo coglie un riferimento dalla seconda lettura domenicale: «Il parallelo tra vivere nello spirito e nel corpo vede ancora protagonista lo Spirito Santo, che realizza un equilibrio: quello in cui il corpo, necessario alla vita, è anche legato alla convinzione di fede. Una trasformazione nella storia dei cristiani, di persone che hanno un corpo. Profonda ma graduale, basti pensare ai Papi dal Trecento ad oggi. È cambiata la storia degli uomini, anche passando per aspetti negativi. Ma guardate oggi: anche realtà lontane dalla Chiesa fanno accoglienza, danno solidarietà. Non stanno svolgendo il lavoro dello Spirito Santo?».

Cristiano Proia

Calendario ambrosiano: Gv 14,15-20

Le parole di Gesù che abbiamo appena ascoltato sono state pronunciate l’ultima sera della sua vita, nell’intimità del Cenacolo. L’atmosfera è di intensa commozione (Gv 13,21): chiama figlioli i discepoli (v. 33), li invita a vincere il turbamento (14,1) e promette: «Non vi lascerò orfani»(14,18). Decisiva la promessa di «un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre». Abitualmente questo termine greco, Paraclito, viene tradotto con «consolatore ». E’ una discutibile interpretazione del termine greco che alla lettera vuol dire: chiamato accanto, vicino. In latino «advocatus» da cui il nostro «avvocato». A questo professionista ci rivolgiamo quando abbiamo bisogno di un esperto che tuteli i nostri diritti, ci stia accanto e ci assista in giudizio. Un altro, dice Gesù, diremmo un secondo, il primo Paraclito è Gesù stesso che sta per lasciare i discepoli, ma il vuoto sarà colmato dall’altro Paraclito, un altro che come Gesù ci starà accanto, ne continuerà la presenza, dimorerà presso i discepoli, anzi sarà in loro (v.17). La casa dello Spirito, la sua abitazione è la nostra interiorità, è la nostra coscienza. Solo se entriamo in noi stessi e ascoltiamo la nostra coscienza avvertiamo la presenza dello Spirito che come ombra ricoprì Maria e formò nel suo grembo l’umanità del Figlio di Dio (Lc 1,35); si manifestò su Gesù al momento del battesimo nel Giordano presentandolo come il Figlio prediletto (Lc 3,31s.); condusse Gesù nel deserto (Lc 4,1); quello Spirito che Gesù, nella Sinagoga di Nazareth, dichiarò essere su di lui (Lc 4,18), quello Spirito che dalla croce trasmette e poi nuovamente dona ai discepoli la sera della Risurrezione (Gv 20,22), quello Spirito che cinquanta giorni dopo la Pasqua fa dei discepoli impauriti testimoni coraggiosi. Davvero Gesù è uomo «pieno di Spirito Santo» (Lc 4,1). Solo il riconoscimento che lo Spirito è lo Spirito di Gesù e non una qualche inafferrabile entità ci rende capaci di avvertirne la presenza e dargli un volto, il volto stesso di Gesù che appunto lo Spirito plasma in ognuno di noi. Riconosciamolo: non ci è familiare questa presenza dello Spirito. Eppure secondo la promessa di Gesù sarà il suo Spirito ad insegnarci ogni cosa e ricordarci tutte e solo le sue parole. Forse l’invocazione allo Spirito non è sulle nostre labbra e non accompagna la nostra preghiera, mentre, come ci ricorda Paolo, nessuna invocazione può nascere in noi senza l’intima voce dello Spirito (1Cor 12, 3b). Il tempo che noi viviamo è il tempo dello Spirito, non un tempo che avrà bisogno di parole nuove, di nuovi messaggi, di nuove rivelazioni, un tempo nel quale, passo dopo passo, accompagnati dal Suo Spirito, ci sarà dato di vedere Gesù: «mi vedrete» (v.19): questa la promessa che sostiene i nostri giorni.

Giuseppe Grampa

9 Giugno 2019 | 00:50
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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