Pelagianesimo e gnosticismo, quei «sottili nemici» della santità

Nel secondo capitolo della Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate Papa Francesco si sofferma su quelle che definisce «due falsificazioni della santità che potrebbero farci sbagliare strada: lo gnosticismo e il pelagianesimo». Ancora una volta, quindi, il Papa fa riferimento ai nomi di queste due eresie «sorte nei primi secoli cristiani», e che a suo giudizio «continuano ad avere un’allarmante attualità» (35).

 

Anche stavolta l’intenzione non è quella di parlare dello sviluppo storico-teologico di queste due eresie. Il Papa vuole solo segnalare le insidie di matrice pelagiana e gnostica che toccano il presente della Chiesa. Per provare a suggerire cosa c’entrano Gnosticismo e Pelagianesimo in un testo papale sulla chiamata universale alla santità, conviene partire proprio dalla natura della santità, da come la santità viene vissuta e considerata nella Chiesa e nel suo insegnamento.

 

Santità e grazia

La santità, come ripete in tanti modi anche questa esortazione, viene da Dio. È un frutto è un dono della grazia nella vita della Chiesa. La Costituzione dogmatica conciliare Lumen Gentium, in uno dei paragrafi dedicati proprio alla vocazione universale alla santità, riconosceva che la santità «costantemente si manifesta nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli» (LG 39).

 

Questo vuol dire che la santità non è l’esito di un proprio sforzo, non è una montagna da scalare da soli. Vuol dire che non si possono fare strategie o programmi pastorali per «produrre» la santità. Vuol dire soprattutto che è Cristo stesso l’iniziatore e il perfezionatore della santità. Per questo la santità è il tesoro della Chiesa: perché se ci sono santi vuol dire che Cristo è vivo, e continua a operare in loro, ad accarezzare e a cambiare le loro vite, e noi possiamo vederne gli effetti. E sempre per questo è vero anche che le «proposte ingannevoli» che si muovono sulla scia del pelagianesimo e dello gnosticismo rappresentano un ostacolo per la chiamata universale a essere santi: esse infatti ripropongono in varie forme l’antico ’inganno pelagiano o quello gnostico: cioè occultano/rimuovonola necessità della grazia di Cristo, oppure svuotano la dinamica reale e gratuita del suo agire.

 

Pelagianesimo: Gesù come «buon esempio»

Sant’Agostino scriveva che l’errore velenoso dei pelagiani del suo tempo era la pretesa di identificare la grazia di Cristo «nel suo esempio, e non nel dono della sua presenza». Per Pelagio, il monaco bretone del V secolo che ha dato il nome a quell’antica eresia, la natura di tutti gli esseri umani non era stata ferita dal peccato di Adamo, e dunque tutti erano sempre in grado di scegliere il bene e evitare il peccato esercitando semplicemente la propria forza di volontà. Per Pelagio Cristo si era incarnato e sacrificato per offrire agliuomini l’aiuto del suo buon esempio, che doveva controbilanciare il «cattivo esempio» fornito da Adamo ed Eva. Cristo andava dunque considerato come un buon esempio, un maestro di vita da seguire per coltivare la propria virtù morale. Ma questo percorso si poteva realizzare contando sulle proprie forze e facendo a meno di Lui, del dono e del soccorso della sua grazia.

 

Su questo punto l’Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate si pone nell’alveo dei tanti pronunciamenti con cui il magistero ecclesiale ha invece sempre ripetuto che nella condizione reale in cui si trovano tutti gli esseri umani non si può essere santi e non si può nemmeno vivere una vita giusta sulle orme di Gesù senza l’intervento della grazia di Cristo, senza essere abbracciati in maniera misteriosa ma reale dal suo Spirito.

 

Papa Francesco tra le altre cose cita il secondo Sinodo di Orange, che già nel 529attestava che «persino il desiderare di essere resi puri nasce in noi per l’operazione dello Spirito Santo». Cita anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, per ricordare che la dottrina della assoluta necessità della grazia dovrebbe essere «una delle grandi convinzioni definitivamente acquisite dalla Chiesa», visto che «attinge al cuore del Vangelo» (55). E invece, occorre fare sempre i conti con manifestazioni dell’atteggiamento pelagiano che si infiltra anche nelle prassi più ordinarie della vita ecclesiale. Quelle legate ad una sorta di pelagianesimo dei devoti, che magari partecipano alle pratiche e agli impegni ecclesiali, dalla liturgia alle attività comunitarie, ma lo fanno come esercizio di affermazione di sé e del proprio gruppo, e non sembrano chiedere e attenderealcun vero dono dalla grazia di Dio.

 

L’Esortazione apostolica riscontra un’impronta pelagiana in tutti quelli che «in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze», e anche quando vogliono mostrarsi fedeli a «un certo stile cattolico» (46), in realtà esprimono «l’idea che tutto dipende dallo sforzo umano» sia pur «incanalato attraverso norme e strutture ecclesiali» (58).

 

Invece il Papa scrive che la chiamata universale alla santità è rivolta a chi riconosce che in ogni passo della vita e della fede c’è bisogno sempre della grazia. Perché – come si legge nel testo – «in questa vita le fragilità umane non sono guarite completamente una volta per tutte dalla grazia» (49). E il lavoro della grazia non rende gli uomini dei superuomini, ma «agisce storicamente e, ordinariamente, ci prende e ci trasforma in modo progressivo» (50).

 

Gnosticismo: «disincarnare» il cristianesimo

Anche l’altra «proposta ingannevole» segnalata dal Papa viene assimilata a un’antica contraffazione della novità cristiana, quella delle antiche dottrine gnostiche che spesso assorbivano parole e verità della fede cristiana nei loro sistemi concettuali, ma nel far questo svuotano dall’interno l’avvenimento cristiano della sua storicità.

 

Per le teorie gnostiche, la salvezza consisteva in un processo di auto-divinizzazione, un cammino di conoscenza in cui il soggetto doveva prendere coscienza del divino che aveva già dentro di sé. Mentre la fede cristiana riconosce che la salvezza e la felicità per gli esseri umani sono un dono gratuito di Dio, che raggiunge l’uomo dall’esterno, da fuori di sé. E riconosce anche che Dio, da quando ha scelto d’incarnarsi, non ha più cambiato metodo. Per questo la sua azione di grazia può raggiungere e continua a raggiungere gli uomini e le donne nel tempo e nello spazio della loro condizione reale, così come sono e lì dove sono. Per questo anche le storie di chi è chiamato alla santità, e pure quelle dei Santi già canonizzati, sono disseminate di fatti, di incontri, di circostanze concrete in cui l’operare della grazia si rende percepibile e tocca e cambia le loro vite. In maniera analoga a quello che accadeva ai primi discepoli di Cristo, che nel Vangelo hanno potuto segnare anche l’ora del loro primo incontro con Gesù.

 

Invece – scrive il Papa – la mentalità gnostica, sceglie sempre la via dei ragionamenti astratti e formali, e così sembra voler dominare, «addomesticare il mistero» (40). E questo, anche nella Chiesa, è il percorso imboccato spesso da chi è impaziente, non attende con umiltà il rivelarsi del mistero, perché – come scrive la Esortazione apostolica – non sopporta il fatto che «Dio ci supera infinitamente, è sempre una sorpresa, e non siamo noi a determinare in quale circostanza storica trovarlo, dal momento che non dipendono da noi il tempo e il luogo e la modalità dell’incontro» (41).

 

L’Esortazione apostolica avverte che uno spirito gnostico può insinuarsi anche oggi nella vita della Chiesa ogni volta che si vuole prescindere dalle fattezze concrete e gratuite con cui opera la grazia, e si prende la via dell’astrazione,che procede «disincarnando il mistero». Ad esempio, ciò accade quando prevale la pretesa di ridurre l’appartenenza ecclesiale a «una serie di ragionamenti e conoscenze» da padroneggiare, (36), o alla «capacità di comprendere la profondità di determinate dottrine» (37). E se il cristianesimo viene ridotto a una serie di messaggi, di idee, fossero pure l’idea di Cristo o l’idea della grazia, a prescindere dal suo operare reale, allora inevitabilmente la missione della Chiesa si riduce a una propaganda, un marketing, cioè alla ricerca di metodi per diffondere quelle idee e convincere altri a sostenerle.

 

L’Esortazione apostolica segnala anche altre tracce della mentalità gnostica che possono trovarsi anche in circoli ecclesiali, come l’elitarismo di chi si sente superiore alle moltitudini dei battezzati, o il disprezzo per gli imperfetti, per quelli che cadono, per quelli che gli antichi gnostici avrebbero definito come «i carnali». Il Papa ricorda che già all’inizio del cristianesimo le correnti gnostiche mostravano disprezzo per la semplicità del Vangelo, e tentavano di sostituire al Dio incarnato «una Unità superiore» (43).

 

Davanti alle «proposte ingannevoli» ispirate al pelagianesimo e alla falsa Gnosi, il Papa esorta a riconoscere gli indizi certi che accompagnano chi cammina sulla buona strada, quella aperta alla vocazione universale alla santità. Ad esempio, il Papa dice che non c’è pericolo di essere cripto-pelagiani e cripto-gnostici quando il cammino è disseminato dei segni delle opere di misericordia e dell’autentica carità, che è una «virtù teologale» e quindi non può essere esercitata per volontarismo, o per frenetico attivismo auto-celebrativo, ma è propria di chi è mosso e attirato dalla grazia in atto. (60/61).

 

Comunque, davanti a questi fenomeni di auto-ripiegamento ecclesiale, L’Esortazione apostolica non inizia battaglie culturali contro neo-gnostici e neo-pelagiani. Il Papa prega che sia il Signore stesso a liberare la Chiesa dalle nuove forme di gnosticismo e di pelagianesimo che possono frenare il cammino di tanti «verso la santità» (62). L’intento dell’intero documento non è certo quello di stigmatizzare nuove forme di pelagianesimo e gnosticismo, ma solo quello di invitare tutti a cercare ogni giorno il volto dei santi disseminati tra il popolo di Dio, e a riconoscerli come segno reale e efficace della presenza e della misericordia di Cristo.

 

* Nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’esortazione apostolica è stata letta una versione più breve di questo intervento

Gianni Valente – VaticanInsider

9 Aprile 2018 | 20:20
Tempo di lettura: ca. 6 min.
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