Il vescovo di Lugano mons. Lazzeri.
Commento

Parte dalla terra la nascita al Cielo

Gli scandali del Vaticano e i problemi della Chiesa cattolica universale che continuano ad emergere e a farci dire che al peggio non c’è fine, fanno male. A tutti. A chi ne è vittima. A chi se ne è reso colpevole. E a tutti quelli che questa Chiesa la amano, che vi sono cresciuti, che vi si sono convertiti, che ad essa hanno consacrato la vita e per i quali la Chiesa è la loro casa. C’è tanto dolore per quanto è successo, perché siamo tutti membra di questo unico corpo oggi così ferito. E’ in questo clima di vera Quaresima che esce la quarta Lettera pastorale di Mons. Valerio Lazzeri. Dopo l’aria, l’acqua, il fuoco, è ora il turno del quarto elemento: la terra. Forse l’elemento che più ci appartiene e ci somiglia. Terra che sorregge i nostri passi, che sentiamo Madre da custodire e a cui torneremo, dopo morti. Terra che feconda, fa germogliare nuova vita, che sterile si spacca sotto il sole e che sa anche trasformarsi in fango in cui i nostri passi affondano.

Mons. Lazzeri la definisce il meno spirituale degli elementi. Quello che facciamo più fatica ad assumere nella sua nuda e «sporca» concretezza. Forse per questo l’ha lasciata per ultima. E forse è giusto che della terra ci occupiamo oggi, quando ci sentiamo infinitamente più vicini ad essa che non al cielo… Terra come luogo di ripartenza, terra come ground zero, luogo fisico e concreto dove «ascoltare ciò che viene dal cielo». Terra come casa, famiglia, comunità, parrocchia, diocesi, Chiesa universale. Come luogo da cui partire o ripartire. Ma come? «Se fossimo tutti interiormente soddisfatti della nostra vita» scrive il vescovo «allora ci sarebbe davvero da preoccuparsi!» La crisi, che ci zavorra a terra, diventa allora luogo di crescita, punto di partenza del cambiamento, occasione di conversione e …di salvezza.

Mons. Lazzeri apre come di consueto la sua lettera pastorale, con un episodio tratto dalla Bibbia. Questa volta si tratta della vicenda di Nàaman il siro, capo dell’esercito di Aram, uomo autorevole e stimato, ferito però nel corpo dal più terribile dei mali: la lebbra che corrode il corpo, divorandolo a partire dalle estremità. Nàaman vuole guarire da questo male così visibile. A partire dalla sua vicenda di forza e di debolezza, dalla sua volontà di vivere e dalla sua paura di morire, dall’altalena tra disperazione e speranza che lo muove, Mons. Lazzeri ci parla di noi, oggi, ricordandoci che la crescita personale e collettiva è solo possibile «a partire da un terreno umano ferito, «patito» nella libertà e nell’amore».

Concretamente, se perdiamo di vista il nostro personale rapporto col Signore, le attività che proponiamo, i servizi che ci assumiamo credendo di servire la Chiesa diventano sterili, autoreferenziali, finendo per nascondere Dio, invece di farlo scoprire. Occorre morire alle nostre umane aspettative e come Nàaman accettare l’avvilente banalità di bagnarsi sette volte nelle acque del fiume, per poter guarire. Perché il Signore ci attende nella semplicità, nelle pieghe del quotidiano vivere. Vale per noi laici, ma anche per la Chiesa, quando cerca – per rendere il messaggio del Vangelo fruibile ad un pubblico più vasto – di portare «il cielo in terra» spettacolarizzando celebrazioni e riti. Conversione del cuore, semplicità e umiltà – quell’umiltà che deriva dalla parola latina «humus» che significa «terra» – sono le parolechiave del viaggio attraverso la trasparenza dell’aria, la purezza dell’acqua, l’ardore del fuoco e appunto la concretezza della terra, che Mons. Lazzeri ci propone non solo per questa Quaresima, ma per questa rinascita dalle nostre ferite che, come quelle della Chiesa universale, possono guarire solo se sapremo riconoscere il Cielo sopra di noi.

Corinne Zaugg

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23 Marzo 2019 | 06:10
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