Parroco di Aleppo: non cadono missili, ma la vita è disumana

E’ entrata in vigore nelle regioni occidentali della Siria l’accordo per la definizione di quattro zone «di allentamento della tensione» deciso dalla Russia con l’approvazione di Turchia e Iran e l’assenso di Stati Uniti, Giordania, Arabia Saudita. Nelle quattro «zone» operano gruppi delle opposizioni armate e sigle dell’estremismo islamico. Secondo l’accordo, solo i russi e Damasco potranno continuare a colpire i qaedisti e i jihadisti del sedicente Stato Islamico. Intanto, ad Aleppo, una delle città più martoriate dalla guerra, la gente ha ripreso a vivere in questi ultimi mesi, anche se tra grandissime difficoltà. Ascoltiamo la testimonianza di padre Ibrahim Alsabagh, parroco francescano nella città, al microfono di Luca Collodi:

R. – Sicuramente dal 22 dicembre 2016, da quando l’esercito regolare e i gruppi armati hanno stipulato un accordo, ad Aleppo stiamo un po’ meglio, nel senso che non ci sono lanci di missili sulle abitazioni, chiese, ospedali e scuole ma, guardandoci intorno, abbiamo una città quasi distrutta e vediamo che le condizioni di vita della gente non sono cambiate per niente. Sono tre anni e mezzo che viviamo senza elettricità; l’acqua, l’ultima volta prima di Pasqua, è andata via per 70 giorni. Abbiamo una percentuale di disoccupazione pari all’85 per cento. Nella nostra comunità, ad esempio, abbiamo il 95 per cento delle famiglie sotto il livello di povertà. Quindi, è vero che non abbiamo il pericolo dei missili che cadono sulle nostre teste, ma le condizioni di vita continuano ad essere disumane.

D. – Ci sono famiglie, cristiane e non, che stanno ritornando nelle proprie case ad Aleppo?

R. – Ci sono delle famiglie cristiane che tornano e questo ci fa un grande piacere: tornano dal Venezuela, dall’Armenia ma anche da altre città della Siria, come Latakia e Tartus. C’è perfino una famiglia che è tornata dalla Germania. C’è un’onda di ritorno e questo è positivo. Dall’altra parte però ci sono i ricongiungimenti familiari con alcune famiglie che ora partono da Aleppo per raggiungere altri Paesi. Sembra una realtà contraddittoria: alcuni vedono che non c’è ancora speranza per Aleppo e lasciano la Siria, mentre altri tornano proprio ad Aleppo.

D. – Padre Ibrahim, ci sono progetti di ricostruzione del governo di Damasco?

R. – Il governo sta cercando di riavviare il processo industriale ad Aleppo, però noi abbiamo chiesto chiarimenti sulla ricostruzione di case, di chiese e moschee, e loro ci hanno risposto che per ora non ce la fanno a pensare a questo. E lo stesso riguardo al problema dell’elettricità e alle difficoltà con l’acqua.

D. – La Siria potrà tornare ad essere un Paese normale, al di là degli interessi internazionali?

R. – Vediamo che c’è sempre la speranza della riconciliazione. Ci sono tante iniziative che partono sia a livello religioso – sunnita, sciita – sia a livello anche interreligioso – cristiano, musulmano – attraverso i capi religiosi. Si cerca sempre di fare qualcosa: noi, come cristiani, cerchiamo di essere un ponte, di tendere la mano per manifestare il perdono, la possibilità di convivenza. E così facciamo in modo di essere costruttori di pace.

(Radio Vaticana)

8 Maggio 2017 | 12:39
Tempo di lettura: ca. 2 min.
siria (230)
Condividere questo articolo!