Libri

Il Papa: ho pensato di scrivere la Laudato si’ quando ho visto la Terra dei fuochi

La devozione popolare e il populismo, la politica e la corruzione, le radici del passato e la prospettiva di una «patria grande» per il futuro, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, e ancora la decisione di scrivere l’enciclica Laudato si’ dopo aver visto la «Terra dei fuochi» e l’analisi del Conclave del 2005 che portò all’elezione di Joseph Ratzinger. Il tutto a dieci anni da quell’incontro dell’episcopato latino-americano ad Aparecida (2007), dove Jorge Mario Bergoglio era a capo della commissione che scrisse il documento finale, che lanciò una «conversione pastorale» al centro del pontificato di Francesco. C’è tutto questo nel libro-intervista del primo Pontefice latino-americano dedicato al suo subcontinente. «Latinoamérica», frutto di conversazioni con Hernán Reyes Alcaide, il giovane corrispondente dell’agenzia di Stato argentina a Roma, Telam, pubblicato nella patria del Papa dalle edizioni Planeta è stato presentato oggi a Roma, alla sede della Pontificia Commissione per l’America latina. Qui di seguito alcuni estratti del volume.

 

Laudato si’

Rispondendo alla domanda se c’è stato un «clic» della sua coscienza ambientale, il Papa risponde: «C’è stato un fatto puntuale, quando sono stato a Campobasso a luglio del 2014 e sono passato per la terra dei fuochi, la zona di interramento e incendio dei rifiuti tossici nel sud Italia. Mi commosse e da allora fu un crescendo attraverso le notizia, una presa di coscienza lenta». Il Pontefice sottolinea, altresì, come il primissimo «choc, quello che mi aprì la porta al tema» fu alla conferenza di Aparecida.

 

Aparecida

In quale delle sfide indicate nel 2007 dall’assemblea degli episcopati latino-americani la Chiesa locale ha progredito di meno? «Nella conversione pastorale. Siamo però a metà del cammino». Perché? «Potrei sbagliarmi, ma ho un’ipotesi: si chiama clericalismo. Il clericalismo latino-americano è molto forte. Faccio un esempio: come arcivescovo di Buenos Aires alcuni sacerdoti mi dicevano «c’è un laico in parrocchia che vale oro, mi organizza questo, fa quest’altro. Lo facciamo diacono? Lo si voleva subito clericalizzare».

 

Introduzione

Il Papa firma anche l’introduzione del volume. «A volte – scrive tra l’altro – vedo che costa notare che nella Chiesa non ci sono regioni di prima o di seconda classe, ma espressioni culturali differenti. In alcuni paesi e Chiese locali sembra esserci una certa consapevolezza di superiorità, ma se uno guarda la storia concreta riconosce che non ci sono solo luci. Altri paesi, con minor sviluppo economico, possono avere una ricchezza di cultura e di valori che hanno un distinto aspetto e che abbelliscono il Vangelo con un volto diverso. Il fatto che la loro logica sia diversa, che il loro modo di esprimere la verità sia differente non significa che siano cristiani di minor valore».

 

Populismo

«Oggi si abusa della parola «populismo» e la si utilizza senza sfumature per riferirsi a situazioni molto diverse. In primo luogo distinguerei «populista» da «popolare». Si chiama «popolare» chi riesce a interpretare il sentire del popolo, le sue grandi tendenze, la sua cultura. E questo in sé non ha nulla di male. Al contrario, può essere la base per un progetto durevole di trasformazione. L’espressione «populismo» a volte si riferisce anche a questa capacità per interpretare e offrire un canale al sentire popolare. Ma acquisisce un significato negativo quando esprime la capacità di alcuni a strumentalizzare politicamente la cultura del popolo a servizio del suo proprio potere. Il problema è che oggi questa parola si è convertito in cavallo di battaglia dei progetti ultraliberali al servizio dei grandi interessi, che promettono una ricaduta positiva a partire dagli abbondanti benefici delle imprese. Prima di questa ideologia, chiunque intendesse difendere i diritti dei più deboli veniva presentato come «populista» con tono fortemente dispregiativo. Con questo mutamento, molto presente nei grandi mezzi di comunicazione, desidero ricordare che io stesso ho avvertito (nella Evangelii gaudium, 204) che è «»lungi da me il proporre un populismo irresponsabile»».

 

Gli evangelici

Proliferano in America latina le Chiese evangeliche: la Chiesa ha una responsabilità? «In parte sì, perché non è stata vicina al popolo. La gente cerca Dio in un sentimento religioso. E cerca vicinanza. La gente chiede vicinanza, chiede che la si conosca per nome. E ne ha diritto! Il prete non è ne deve essere un padrone, ma un pastore. C’è un protagonista nella Chiesa ed è il popolo di Dio».

 

Democrazia e corruzione

«Credo che uno dei doveri del cattolico latinoamericano è di rafforzare la democrazia. Perché come ogni sistema politico, se non si mantiene tende a deperire. Ci sono paesi nel mondo dove la democrazia può finire di essere nominale ma non reale. È perché si è degradata a causa della corruzione o della confusione tra poteri, per la poca separazione tra essi o per il sopravanzare di uno sull’altro. Bisogna essere sempre vigili affinché la democrazia si mantenga in tutte le sue forme. Lottare per la democrazia oggi in America latina è una delle priorità dei cristiani. La dottrina sociale della Chiesa, quando parla di forme di governo e dunque di democrazia, esige questa lotta».

 

Amazzonia

La questione ecologica dell’Amazzonia «è una delle cose più serie che dobbiamo affrontare in America latina. Per questo si sta pensando, si sta lavorando ad un sinodo panamazzonico. La Chiesa deve dare una risposta. Bisogna denunciarlo e trovare cammini per risolverlo».

 

Patria grande

L’America latina deve avere «memoria del passato» di indipendenza, «coraggio per il presente», in particolare con lavoro ed educazione per il popolo, e «speranza per il futuro»: «La speranza in America latina ha un nome: fraternità, giustizia sociale, riconoscimento della dignità di ogni persona, figlio della terra latinoamericana, figlio di Dio», afferma Bergoglio rifacendosi, in particolare, alla «patria grande» di San Martin e Bolivar.

 

Paolo VI

«Paolo Vi fu forse ignorato per molto tempo. È vero che i pontificati che seguirono, che furono fondamentalmente due (uno fu così breve che non ebbe molta incidenza in America latina) erano in linea con il Concilio, certamente. Nessuno voleva tornare indietro. Anche loro erano al Concilio: uno come vescovo (san Giovanni Paolo II) e l’altro come teologo, e di posizione molto avanzata (Benedetto XVI). Hanno capito l’America latina, hanno parlato del futuro della Chiesa. Ma l’intuizione di Paolo VI per l’America latina restò come in sospeso in attesa che maturasse il processo postconciliare. Il suo documento pastorale del primo sinodo, Evangelii nuntiandi, resta, e senza dubbio il documento pastorale del post Concilio e che oggi è ancora attuale. Se uno guarda Evangelii gaudium trova una miscela del documento finale di Aparecida e di Evangelii nuntiandi».

 

L’elezione di Ratzinger nel 2005

Methol Ferré, soprannominato «Tucho» dagli amici, intellettuale uruguaiano amico di Jorge Mario Bergoglio, ha detto che al Conclave del 2005 non era tempo di un Papa latinoamericano: «Sì, condivido la posizione di Tucho. Quando lo lessi a Buenos Aires prima di venire al Conclave dissi «intuizione geniale». Oltre all’azione dello Spirito Santo che agisce in Conclave, in quel momento la congiuntura storica indicava un’altra cosa: l’unico uomo che aveva la statura, la saggezza e la esperienza sufficiente per essere eletto era Ratzinger. Al contrario, c’era il pericolo di eleggere un Papa «di compromesso». E eleggere un «Papa di compromesso» sembra che non sia molo evangelico da dire».

 

Alla presentazione del libro di Hernan Reyes Alcaide, introdotta dal «padrone di casa» Guzmán Carriquiry Lecour, segretario incaricato della vicepresidenza della Pontificia Commissione per l’America latina, hanno preso parte lo storico Gianni La Bella, il gesuita argentino Diego Fares della Civiltà Cattolica e il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario del Sinodo, che ha sottolineato la centralità del documento di Aparecida per il Papa e due tematiche approfondite nel volume, i giovani (al centro del prossimo Sinodo ordinario del 2018) e l’Amazzonia (al centro di un sinodo speciale nel 2019).

Iacopo Scaramuzzi – VaticanInsider

22 Novembre 2017 | 07:00
Tempo di lettura: ca. 5 min.
libro (126), Papa (1254)
Condividere questo articolo!