Papa e Vaticano

Il Papa a Nettuno e alle Fosse Ardeatine: «La guerra ci distrugge»

Papa Francesco cammina in silenzio e a testa bassa in mezzo alla distesa di croci bianche che si estendono lungo gli ettari di prato verde del Cimitero americano di Nettuno. Dopo i cimiteri romani del Verano e di Prima Porta, il Pontefice argentino ha scelto di trascorrere il giorno in cui la Chiesa commemora tutti i defunti tra le lapidi dei soldati americani – e, tra di loro, anche quelle delle donne crocerossine – che hanno perso la vita nella cruenta battaglia iniziata nel gennaio 1944 e durata circa quattro mesi dopo lo sbarco di Anzio (la cosiddetta «operazione Shingle»), paesino della bassa costa del Lazio divenuto teatro di sangue e di morte di centinaia di migliaia di persone.

Bergoglio prega per tutti costoro e, idealmente, per chiunque sia rimasto ucciso in quella «inutile strage», come la definì Benedetto XV, che ogni guerra rappresenta. Mentre i circa cinquemila fedeli radunati lì intorno recitano l’Ave Maria, Bergoglio si sofferma a pregare o leggere i nomi dei 7.861 militari sui quali sono poggiate rose bianche o bandierine a stelle e strisce. Tra le vittime ci sono anche un ignoto, un italo-americano ed un ebreo.

 

Sempre in silenzio il Papa si reca poi in sagrestia, accolto dal vescovo di Albano, Marcello Semeraro, dalla direttrice del cimitero, Melanie Resto, e dai sindaci di Anzio e Nettuno, per celebrare la messa dall’altare allestito davanti al Memoriale che fa da ingresso alla cappella. Quattro imponenti mura di marmo sulle quali sono incisi i nomi dei 3.094 dispersi e in 490 tombe sono raccolte le spoglie di coloro che sono stati identificati. È lì che il Vescovo di Roma, dando le spalle al monumento «Fratelli in armi», scultura che raffigura il soldato e il marinaio statunitensi ognuno con un braccio intorno alle spalle dell’altro, lancia il suo grido: «Per favore, Signore, fermati! Non più la guerra, non più. Non più questa strage inutile…». Grido, sussurrato con un filo di voce, che riverbera quanto già affermato ieri durante l’Angelus : «Le guerre non producono altro che cimiteri e morte».

 

Oggi, dice Francesco nella sua omelia tutta a braccio, «che il mondo è un’altra volta in guerra e si prepara per andare più fortemente in guerra, diciamo: non più Signore. Con la guerra si perde tutto…». A questo scenario drammatico il Papa antepone tuttavia la speranza: «Oggi è un giorno di speranza», afferma. Una speranza «che non delude» come diceva San Paolo nella seconda Lettura letta durante la celebrazione. «La speranza tante volte nasce e mette le sue radici in tante piaghe umane, in tanti dolori umani, e quel momento di sofferenza ci fa guardare il Cielo e, come Giobbe, dire: io credo che il mio Redentore è vivo ma fermati Signore».

 

«Meglio sperare – prosegue il Papa – senza questa distruzione: giovani, migliaia migliaia, migliaia, migliaia… Speranze rotte. Non più Signore!». Bisogna dirlo, anzi urlarlo in questo giorno in cui si prega per tutti i defunti e in questo «luogo speciale» che commemora la morte di tanti ragazzi poco più che ventenni. Bergoglio rammenta «la donna anziana che guardando le rovine di Hiroshima» devastata dalla bomba nucleare, «con rassegnazione sapienziale ma molto dolore, con quella rassegnazione lamentosa che sanno vivere le donne, perché è il loro carisma, diceva: «Gli uomini fanno del tutto per dichiarare e fare una guerra e alla fine distruggono se stessi»».

 

«Questa è la guerra, la distruzione di noi stessi» commenta il Papa, «sicuramente quella donna aveva perso figli e nipotini, aveva una piaga nel cuore e le lacrime. Se oggi è un giorno di speranza, oggi è anche un giorno delle lacrime». Lacrime come quelle che versavano le mogli e le madri che durante i conflitti mondiali vedevano recapitarsi una lettera accompagnata dalla tragica frase: «Lei, signora, ha l’onore che suo marito è stato un eroe della patria, che i suoi figli sono eroi della patria». Lacrime «che oggi l’umanità non deve dimenticare», rimarca Papa Francesco, «l’orgoglio di questa umanità che non ha imparato la lezione e sembra che non voglia impararla. Quando tante volte nella storia gli uomini pensano di fare una guerra sono convinti di portare un mondo nuovo, di fare una primavera, e, invece, finisce un inverno, brutto, crudele, il regno del terrore».

 

Questa è la guerra e questa è il suo unico frutto: la «morte». Del futuro, dei giovani, dei bambini «innocenti». Il Papa invoca da Dio la «grazia di piangere» e invita a pregare per le tante, troppe, vittime che «muoiono nelle battaglie di ogni giorno in questa «guerra a pezzetti»» che sta lacerando il nostro mondo.

Dopo la tappa a Nettuno, Papa Francesco si trasferisce in auto al Sacrario delle Fosse Ardeatine, luogo simbolo della Resistenza e degli eccidi nazifascisti. Qui il 24 marzo 1944 furono trucidate 335 persone, civili, militari e prigionieri politici italiani, dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l’attentato partigiano ai soldati tedeschi delle SS di via Rasella.

 

Anche qui Francesco – quarto Pontefice a visitare il Sacrario (l’ultimo fu Benedetto XVI il 27 marzo 2011 in concomitanza con l’anniversario della Resistenza) – oppone alle parole il silenzio e si raccoglie in preghiera per alcuni minuti nella Cava in cui avvenne l’eccidio di «dieci italiani per ogni tedesco morto», come recitava la tragica sentenza. La vittima più giovane (tutti uomini) aveva 14 anni, il più anziano era un 74enne.

 

Francesco entra da solo, percorrendo il lungo corridoio buio in pietra. Il silenzio del suo ingresso è rotto dall’applauso spontaneo dei fedeli radunati in piazza Marzabotto, tra cui spiccano membri dell’Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per la libertà della Patria (Anfim) e diverse donne anziane, emozionatissime, alle quali il Papa ha stretto le mani. Ad accogliere il Papa al suo arrivo c’erano il commissario di «Onorcaduti» e il direttore del Sacrario, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, e la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello.

 

Giunto alla Cava, il Pontefice ascolta la storia di quel drammatico evento: uomini, trascinati con mani e piedi legati, uccisi cinque alla volta con uno sparo alla nuca e accatastati uno sopra l’altro. China quindi il capo di fronte al cancello in ferro che delimitava il luogo delle esecuzioni e prega per circa 4 minuti; poi scambia alcune parole con il rabbino Di Segni che gli spiega che 75 dei 335 morti erano ebrei: «Tutto condiviso… Ci troviamo insieme a ricordare cose terribili che non devono più succedere». Insieme, Papa e rabbino si recano nel mausoleo dove sono riposte le tombe delle vittime; su alcune di esse Bergoglio posa una rosa bianca e, come nel Cimitero di Nettuno, cammina a passo lento per leggere i nomi incastonati tra le pietre.

 

A turno, Di Segni e il Papa pronunciano le loro preghiere. Quella del Papa, scritta su un foglio conservato in tasca, si rivolge al «Dio dei 335 uomini trucidati qui, i cui resti riposano in queste tombe»: «Tu, Signore, conosci i loro volti e i loro nomi, tutti, anche i 12 a noi rimasti ignoti. Per te nessuno è rimasto ignoto. Dio di Gesù, Padre Nostro che sei nei cieli, grazie a Lui, il crocifisso risorto, noi sappiamo che non sei il Dio dei morti ma dei viventi e la tua alleanza è più forte della morte e garanzia di resurrezione. Fa che in questo luogo consacrato alla memoria dei caduti per la libertà e la giustizia ci togliamo i calzari dell’egoismo e dell’indifferenza e attraverso il roveto ardente di questo mausoleo ascoltiamo in silenzio il tuo nome».

 

Segue la firma del Libro d’Onore: «Questi sono i frutti della guerra: odio, morte, vendetta…. Perdonaci, Signore», scrive Papa Francesco. Che, lasciate le Fosse Ardeatine, conclude il suo 2 novembre con un altro momento di preghiera. Questa volta in Vaticano, nelle Grotte della Basilica, dove riposano i Pontefici del passato che commemora privatamente e ancora in assoluto silenzio.

3 Novembre 2017 | 07:00
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ardeatine (1), memoria (16), Papa (1255)
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