Papa Francesco sull'aereo di ritorno dall'Africa: «Che lo Stato protegga le famiglie»

Papa Francesco, due ore e mezza dopo il decollo del volo Air Madagascar da Antananarivo a Roma, ha incontrato i giornalisti al seguito e si è intrattenuto con loro per circa un’ora e mezza rispondendo alle loro domande. 

Nel passaggio in Mozambico lei si è riunito con il presidente della Repubblica e con i due presidenti dei due partiti presenti in Parlamento. Mi piacerebbe sapere qual è la sua aspettativa per il processo di pace, e quale messaggio vorrebbe lasciare al Mozambico. E due commenti veloci su due fenomeni: la xenofobia che c’è in Africa e l’impatto delle reti sociali nell’educazione dei giovani.

«Il primo punto sul processo di pace. Oggi si identifica il Mozambico con un lungo processo di pace che ha avuto i suoi alti e i suoi bassi, ma alla fine sono riusciti a concluderlo con un abbraccio storico. Io mi auguro che questo vada avanti e prego per questo. Invito tutti a fare uno sforzo affinché questo processo di pace vada avanti. Perché tutto si perde con la guerra, tutto si guadagna con la pace, ha detto un Papa prima di me (Pio XII, ndr). Questo è chiaro, non bisogna dimenticarlo. È un processo di pace lungo perché ha avuto una prima tappa, poi si è interrotto, poi un’altra… E lo sforzo dei capi di partiti contrari non dire nemici è di andare l’uno incontro all’altro. È uno anche sforzo pericoloso, rischiavano la vita alcuni, ma alla fine si è arrivati alla conclusione. Io vorrei ringraziare in questo processo di pace tutta la gente, tutta la gente che ha dato un aiuto. A cominciare dal primo, che ha iniziato con un caffè… C’era gente lì, c’era un sacerdote della Comunità di Sant’Egidio, che sarà fatto cardinale il prossimo 5 ottobre (monsignor Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna ndr). E poi con l’aiuto di tanta gente, anche della Comunità di Sant’Egidio, sono arrivati a questo risultato, Noi non dobbiamo essere trionfalistici in queste cose. Il trionfo è la pace. Noi non abbiamo il diritto di essere trionfalistici, perché la pace ancora è fragile nel tuo Paese, come nel mondo è fragile. La si deve trattare come si trattano le cose appena nate, come i bambini, con molta, molta tenerezza, con molta delicatezza, con molto perdono, con molta pazienza, per farla crescere e che sia robusta. È il trionfo del Paese: la pace la pace è la vittoria del Paese, dobbiamo capire questo…. E questo vale per tutti i Paesi, che si distruggono con la guerra. Le guerre distruggono, fanno perdere tutto. Io mi dilungo un po’ su questo tema della pace perché ce l’ho a cuore. Quando alcuni mesi fa c’è stata la celebrazione dello sbarco in Normandia, si è vero c’erano i capi dei governi a fare memoria di quello che era l’inizio della fine di una guerra crudele, anche di una dittatura antiumana e crudele come il nazismo e il fascismo… ma su quella spiaggia sono rimasti 46 mila sodati, è il prezzo della guerra. Confesso che quando sono andato a Redipuglia per la commemorazione della Prima Guerra mondiale io ho pianto: «Per favore mai più la guerra!». Quando sono andato ad Anzio a celebrare il giorno dei defunti, nel cuore sentivo che dobbiamo creare questa coscienza: le guerre non risolvono niente, anzi fanno guadagnare le persone che non vogliono (la pace) dell’umanità. Scusatemi per questa appendice ma dovevo dirlo davanti a un processo di pace, per il quale prego e farò di tutto perché vada avanti e vi auguro che cresca con forza.
Secondo punto, il problema della gioventù. L’Africa è un continente giovane, ha vita giovane, se noi facciamo il paragone con l’Europa, ripeterò quello che ho detto a Strasburgo: la madre Europa è quasi diventata la «nonna Europa». È invecchiata, stiamo vivendo un inverno demografico gravissimo in Europa. Ho letto – non ricordo di quale Paese, ma si tratta di una statistica ufficiale del governo – che nel 2050 in quel Paese ci saranno più pensionati che gente che lavora, questo è tragico. Qual è l’origine di questo invecchiamento dell’Europa? Io, è un’opinione personale, penso che il benessere sia alla radice. Attaccarsi al benessere – «Ma, stiamo bene, non faccio figli perché devo comprare la villa, devo fare turismo, sto bene così, un figlio è un rischio, non si sa mai…». Benessere e tranquillità ma è un essere che ti porta a invecchiare. Invece l’Africa è piena di vita. Ho trovato in Africa un gesto che avevo trovato nelle Filippine e a Cartagena in Colombia. La gente che alzava in alto i bambini come a dire «questo è il mio tesoro, questa è la mia vittoria, il mio orgoglio». È il tesoro dei poveri, il bambino. Ma è il tesoro di una patria, di un Paese. Lo stesso gesto l’ho visto in Europa orientale, a Iasci, soprattutto quella nonna che faceva vedere il bambino: questo è il mio trionfo… Voi avete la sfida di educare questi giovani e di fare leggi per questi giovani, l’educazione in questo momento è prioritaria nel tuo Paese. È prioritario che si cresca avendo delle leggi sulla formazione. Il primo ministro di Mauritius mi aveva parlato di questo. Diceva di avere in mente la sfida di far crescere il sistema educativo gratuito per tutti. La gratuità del sistema educativo: è importante perché ci sono centri educativi di alto livello, ma a pagamento. I centri educativi ci sono in tutti i Paesi ma vanno moltiplicati perché l’educazione arrivi a tutti. Le leggi sull’educazione e la salute in questo momento sono la priorità lì.
Terzo punto, la xenofobia. Ho letto sui giornali di questo della xenofobia, ma non è un problema solo dell’Africa. È una malattia umana, come il morbillo… È una malattia che entra in un Paese, entra in un continente, e mettiamo muri. Ma i muri lasciano soli quelli che li fabbricano. Sì, lasciano fuori tanta gente, ma coloro che rimangano dentro i muri rimarranno soli e alla fine della storia sconfitti per via di grandi invasioni. La xenofobia è una malattia. Una malattia «giustificabile» ad esempio per mantenere la purezza della razza, tanto per nominare una xenofobia del secolo scorso. E tante volte le xenofobie cavalcano l’onda dei populismi politici. Ho detto la settimana scorsa, o l’altra, che delle volte in alcuni posti sento fare discorsi che somigliano a quelli di Hitler nel ’34. È come se in Europa ci fosse un pensiero di ritorno.
Ma anche voi in Africa avete un problema culturale che dovete risolvere. Ricordo di averne parlato in Kenya, il tribalismo. Lì ci vuole un lavoro di educazione, avvicinamento fra le diverse tribù per creare una nazione. Abbiamo commemorato il 25.mo della tragedia del Rwanda poco tempo fa: è un effetto del tribalismo. Ricordo in Kenya, nello stadio, quando ho chiesto a tutti di alzarsi e darsi la mano e dire «no al tribalismo, no al tribalismo…» Dobbiamo dire no. Si tratta di una chiusura. E c’è anche una xenofobia domestica, ma comunque una xenofobia. Si deve lottare contro questo: sia la xenofobia di un Paese verso l’altro, sia la xenofobia interna, che nel caso di alcuni luoghi dell’Africa e con il tribalismo porta alla tragedia come quella del Rwanda».

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10 Settembre 2019 | 23:29
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