udienza

Papa Francesco deplora l'attentato in Somalia e prega per la pace

Appello del Papa a conclusione per la pace in Somalia dopo la strage di Mogadiscio: «Questo atto terroristico merita la più ferma deplorazione, anche perché si accanisce su una popolazione già tanto provata», ha detto Francesco a conclusione dell’udienza generale, «imploro la conversione dei violenti e incoraggio quanti, con enormi difficoltà, lavorano per la pace in quella terra martoriata». A pochi giorni dalla ricorrenza dei defunti, il Pontefice ha dedicato la catechesi al tema della morte, sottolineando che la civiltà moderna tende a cancellarla mentre per altre civiltà «obbligava l’uomo a vivere per qualcosa di assoluto» e per un cristiano è una «grazia» marcata dall’incontro finale con Gesù.

 

E alla World Conference of Religions for Peace, che ha incontrato prima di recarsi in piazza San Pietro, il Papa ha detto che le religioni «non possono avere un atteggiamento neutro e, ancora meno, ambiguo riguardo alla pace» perché chi commette violenza in nome della religione «offende gravemente Dio, che è pace e fonte della pace».

 

«Desidero esprimere il mio dolore per la strage avvenuta qualche giorno fa a Mogadiscio, Somalia, che ha causato oltre trecento morti, tra cui alcuni bambini», ha detto Jorge Mario Bergoglio a fine udienza. L’attentato di sabato 14 ottobre, il più grave della storia del paese, ha causato oltre 300 vittime e oltre 400 feriti. «Questo atto terroristico merita la più ferma deplorazione, anche perché si accanisce su una popolazione già tanto provata. Prego per i defunti e per i feriti, per i loro familiari e per tutto il popolo della Somalia. Imploro la conversione dei violenti e incoraggio quanti, con enormi difficoltà, lavorano per la pace in quella terra martoriata».

 

Domani, giovedì 19 ottobre, peraltro, a San Giovanni in Laterano il vicario generale per la diocesi di Roma, l’arcivescovo Angelo De Donatis, presiederà alle 20.30 una veglia missionaria diocesana durante la quale, tra l’altro, monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, porterà la propria testimonianza.

 

Prima di recarsi in piazza San Pietro per l’udienza, il Papa questa mattina ha ricevuto nell’auletta accanto all’Aula Paolo VI i delegati della World Conference of Religions for Peace: «La pace – ha detto loro – è un compito urgente anche nel mondo di oggi, in cui tante popolazioni sono lacerate da guerre e violenze. La pace è, nello stesso tempo, dono divino e conquista umana. Per questo i credenti di ogni religione sono chiamati ad invocarla e a intercedere per essa; e tutti gli uomini di buona volontà, specialmente quanti ricoprono incarichi di responsabilità, sono chiamati a operare per essa, con il cuore, con la mente e con le mani, sì, perché la pace si costruisce i modo «artigianale». In questo lavoro, pace e giustizia si costruiscono insieme. Nella costruzione della pace, le religioni, con le loro risorse spirituali e morali, hanno un ruolo particolare e insostituibile. Esse non possono avere un atteggiamento neutro e, ancora meno, ambiguo riguardo alla pace. Chi commette violenza o la giustifica in nome della religione, offende gravemente Dio, che è pace e fonte della pace, e ha lasciato nell’essere umano un riflesso della sua sapienza, potenza e bellezza». Francesco ha sottolineato, inoltre, che «tra le religioni serve uno sforzo comune di collaborazione anche per promuovere l’ecologia integrale».

 

Il Pontefice ha dedicato l’udienza generale al tema «Beati i morti che muoiono nel Signore». La morte, ha detto, è «una realtà che la nostra civiltà moderna tende sempre più a cancellare. Così, quando la morte arriva, per chi ci sta vicino o per noi stessi, ci troviamo impreparati, privi anche di un «alfabeto» adatto per abbozzare parole di senso intorno al suo mistero, che comunque rimane. Eppure i primi segni di civilizzazione umana sono transitati proprio attraverso questo enigma. Potremmo dire che l’uomo è nato con il culto dei morti. Altre civiltà, prima della nostra, hanno avuto il coraggio di guardarla in faccia. Era un avvenimento raccontato dai vecchi alle nuove generazioni, come una realtà ineludibile che obbligava l’uomo a vivere per qualcosa di assoluto».

 

«Contare i propri giorni», ha detto ancora il Papa, «fa che il cuore divenga saggio. Parole che ci riportano a un sano realismo, scacciando il delirio di onnipotenza. Cosa siamo noi? Siamo «quasi un nulla», dice un altro salmo, i nostri giorni scorrono via veloci: vivessimo anche cent’anni, alla fine ci sembrerà che tutto sia stato un soffio. Tante volte io ho ascoltato anziani dire «la vita mi è passata come un soffio». Così la morte mette a nudo la nostra vita. Ci fa scoprire che i nostri atti di orgoglio, di ira e di odio erano vanità, pura vanità. Ci accorgiamo con rammarico di non aver amato abbastanza e di non aver cercato ciò che era essenziale. E, al contrario, vediamo quello che di veramente buono abbiamo seminato: gli affetti per i quali ci siamo sacrificati, e che ora ci tengono la mano».

 

Per un cristiano, «Gesù ha illuminato il mistero della nostra morte. Con il suo comportamento, ci autorizza a sentirci addolorati quando una persona cara se ne va. Lui si turbò «profondamente» davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, e «scoppiò in pianto». In questo suo atteggiamento, sentiamo Gesù molto vicino, nostro fratello», ha detto ancora Francesco, che poi ha ricordato un altro episodio evangelico, quando Gesù risveglia dalla morte la figlia di Giairo, notando che «non c’è figura più commovente di quella di un padre o di una madre con un figlio malato».

 

Gesù, ha proseguito il Pontefice, «ci prenderà per mano, come prese per mano la figlia di Giairo, e ripeterà ancora una volta: ” Talità kum», «Fanciulla, alzati!». Lo dirà a noi, a ciascuno di noi: «Rialzati, risorgi!». Io – ha proseguito rivolto ai fedeli presenti in piazza San Pietro – vi invito adesso forse a chiudere gli occhi e pensare a quel momento della nostra morte, ognuno di noi pensi la propria morte, e si immagini quel momento, che avverrà, quando Gesù ci prenderà per mano e ci dirà: «Vieni, vieni con me, alzati». Lì finirà la speranza e sarà la realtà, la realtà della vita. Pensate bene, Gesù stesso verrà a ognuno di noi e ci prenderà per mano, con la sua tenerezza, il suo amore, e ognuno ripeta dentro di sé la parola di Gesù, «alzati, vieni». Questa è la nostra speranza davanti alla morte. Per chi crede, è una porta che si spalanca completamente; per chi dubita è uno spiraglio di luce che filtra da un uscio che non si è chiuso proprio del tutto. Ma per tutti noi sarà una grazia, quando questa luce dell’incontro con Gesù ci illuminerà».

Iacopo Scaramuzzi – VaticanInsider

18 Ottobre 2017 | 12:00
Tempo di lettura: ca. 4 min.
Papa (1254), somalia (11), udienza (247)
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