Papa Francesco nella cappella di Santa Marta a Roma
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Il Papa: aiutare chi soffre

«Davanti ai bisognosi siamo capaci di vera compassione?». Se lo chiede papa Francesco nella messa di questa mattina a Casa Santa Marta. Occorre avvicinarsi a chi soffre «e aiutare concretamente a tornare a una vita normale»; ma non da lontano perché magari «puzza».

 

La compassione è la risposta giusta alle tragedie del nostro tempo, anche quelle di cui si ha notizia dai media. Parola del Pontefice. La «compassione» è un «sentimento che coinvolge, un sentimento del cuore, delle viscere, che coinvolge tutto». Il Vescovo di Roma lo dice commentando il brano del Vangelo sulla resurrezione del figlio della vedova di Nain, come riferisce Radio Vaticana .

 

Il cristiano deve chiedere «la grazia» di avere compassione «davanti a tanta gente che soffre», di avvicinarsi e di portare queste persone «per mano» al posto di «dignità che Dio vuole per loro». Gesù ha la capacità di «guardare il dettaglio», perché «guarda con il cuore».

 

Compassione è lasciarsi coinvolgere, è «patire con». Il Signore «si coinvolge con una vedova e con un orfano… Ma dì, tu hai tutta una folla qui, perché non parli alla folla? Lascia… la vita è così… sono tragedie che succedono, accadono… No. Per Lui era più importante quella vedova e quell’orfano morto, che la folla alla quale Lui stava parlando e che lo seguiva. Perché? Perché il suo cuore, le sue viscere sono coinvolti».

 

Dio, con la sua compassione, «si è coinvolto in questo caso. Ebbe compassione».

La compassione quindi incoraggia «ad avvicinarsi»; questo non è scontato, perché – nota il Papa – si possono vedere e incontrare molte cose e situazioni di difficoltà e sofferenza e dolore, ma non andarvi vicino.

 

Invece è necessario «avvicinarsi e toccare la realtà. Toccare. Non guardarla da lontano. Ebbe compassione – prima parola – si avvicinò – seconda parola. Poi fa il miracolo e Gesù non dice: «Arrivederci, io continuo il cammino»: no. Prende il ragazzo e cosa dice? «Lo restituì a sua madre»: restituire, la terza parola. Gesù fa dei miracoli per restituire, per mettere al proprio posto le persone». Ed è «quello che ha fatto con la redenzione. Ebbe compassione – Dio ebbe compassione – si avvicinò a noi in suo Figlio, e restituì tutti noi alla dignità di figli di Dio. Ci ha ricreati tutti».

 

L’invito di Francesco è a «fare lo stesso», come Cristo, avvicinarsi a chi soffre, non aiutarlo «da lontano», perché magari è sporco, «non fa la doccia, puzza».

 

«Tante volte – osserva Papa Bergoglio – guardiamo i telegiornali o la copertina dei giornali, le tragedie… ma guarda, in quel Paese i bambini non hanno da mangiare; in quel Paese i bambini fanno da soldati; in quel Paese le donne sono schiavizzate; in quel Paese… oh, quale calamità! Povera gente… Volto pagina e passo al romanzo, alla telenovela che viene dopo. E questo – evidenzia il Papa – non è cristiano». E la domanda «che io farei adesso, guardando tutti, anche a me: «Io sono capace di avere compassione? Di pregare? Quando vedo queste cose, che me le portano a casa, attraverso i media? Le viscere si muovono? Il cuore patisce con quella gente, o sento pena, dico ’povera gente’, e così…». 

 

Con la «preghiera di intercessione», con il nostro «lavoro» di cristiani – raccomandato il Pontefice – si deve essere capaci di aiutare la gente che soffre, affinché «venga restituita alla società», alla «vita di famiglia», di lavoro; insomma: alla «vita quotidiana».

Domenico Agasso – VaticanInsider

Papa Francesco nella cappella di Santa Marta a Roma | © Vatican Media
19 Settembre 2017 | 13:19
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