Corinne Zaugg mentre introduce Paola Bignardi. Foto: catt.ch.
Diocesi

Paola Bignardi a Lugano riflette sul contributo fondamentale della donna nella Chiesa

Paola Bignardi è una figura significativa per la Chiesa di questi anni. Prima donna (e finora unica) a ricoprire la carica di Presidente nazionale dell’Azione Cattolica italiana (dal 1999 al 2005) è stata membro del Pontificio Consiglio dei laici. Lo scorso 9 aprile, a Roma, era fra le tre personalità chiamate a presentare alla stampa l’esortazione di Papa Francesco sulla santità, «Gaudete et exsultate«.

Per concludere il ciclo di incontri «Le donne riflettono la Chiesa», l’Unione Femminile Cattolica Ticinese l’ha invitata questa mattina a tenere una conferenza dal titolo «Donne, fede e Chiesa al tempo di Papa Francesco», basata sulle sue ultime ricerche in tema di donne giovani e il loro rapporto con la fede.

La relatrice è partita da due domande fondamentali: come immaginano la loro fede le donne di oggi e come questo influenzerà la nostra Chiesa? La generazione di oggi intende la Chiesa in modo molto diverso da quello della generazione precedente: cosa dobbiamo aspettarci?

«Una Chiesa in uscita – ha subito chiarito Bignardi – deve anche essere capace di vedere che la presenza delle donne all’interno della dimensione ecclesiale è propositiva, creativa e intraprendente. Affinché la Chiesa acquisisca questa consapevolezza le donne devono farsi avanti, mostrando le loro capacità concrete. Fortunatamente, di recente già Papa Francesco ha scritto cose bellissime sulle donne. In una risposta data a braccio alle rappresentanti di tutti gli ordini femminili nel mondo, sottolineava come per lui fosse molto importante che le donne entrino nelle fasi di riflessione e nella discussione. Questo perché, dice il Pontefice, «la donna guarda la vita con occhi propri». Il Papa riconosce cioè alla donna il suo modo originalissimo ed insostituibile di accostarsi alle cose. Sarebbe un peccato perdere questo approccio peculiare. La Chiesa ha bisogno di sperimentare cose mai sperimentate».

Stimolata da questa visione di Papa Francesco, Bignardi ha proseguito spiegando il modo proprio con cui le donne guardano alla vita. «Stando alle ricerche dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, Ente fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a cui ho contribuito, è possibile vedere, secondo il Rapporto 2018, come la sensibilità giovanile in materia di fede possa evolvere anche velocemente nell’arco di 5 anni. Ma soprattutto, notiamo che in genere a dichiararsi cattoliche sono più le giovani che non i giovani; meno donne, rispetto agli uomini, si dicono inoltre atee. Si conferma dunque da parte delle ragazze una maggiore sensibilità religiosa, pur con i cali degli ultimi anni dovuti a una maggior secolarizzazione».

Ma qual è esattamente l’idea di fede che le giovani donne di oggi coltivano e cercano?

«Dai sondaggi dell’Istituto emerge che la giovane donna vive la fede come un’esperienza di relazione: la fede, per loro, non è credere che Dio esiste ma è avere una relazione con lui. Il Dio con il quale si relazionano è dunque personale, capace di entrare in relazione con l’uomo. La ricerca di una presenza con la quale relazionarsi prevale sulla domanda di verità e il bisogno di capire. È per questo che la loro preghiera è tanto spesso soggettiva, poco codificata nelle forme tradizionali. A questo si aggiunge una carica emotiva ed affettiva: la giovane vive spesso e volentieri un rapporto d’amore con il suo Dio, che la renda protagonista. La formazione alle donne dovrebbe tenere conto di ciascuno di questi aspetti ed interpretare queste esigenze, dare voce a questa sensibilità tutta particolare».

«Inoltre – prosegue Bignardi – esse domandano spesso una fede autentica; le donne sono intransigenti su questo. Chiedono che le persone che si dichiarano credenti siano coerenti. Papa Francesco è una figura di riferimento per loro proprio per questo: il Papa fa quello che pensa e ha un modo di parlare diretto, che esprime per l’appunto autenticità».

Dalle parole di Bignardi emerge che la secolarizzazione non è frutto dell’estraneità alla dimensione religiosa dei giovani; in realtà, ci sono generazioni potenzialmente credenti che sono però educate in modo sbagliato, senza tener conto della loro peculiare sensibilità. Si pone quindi la domanda dell’educazione: cosa significa educare?

«Gli uomini quando educano puntano alle iniziative, le donne delle loro esperienze educative invece ricordano il rapporto che hanno intessuto con le persone, i dialoghi, gli incontri; nelle loro testimonianze al centro vi è la persona. È una differenza notevole che fa riflettere. La comunità cristiana deve valorizzare la donna se non vuole perdere questo apporto educativo unico. Le giovani catechiste sono capaci di ascoltare, parlare personalmente, non censurare le inquietudini e soprattutto dedicano tempo. Certo, si coglie la fatica di inventare modelli educativi per questo tempo. Stiamo vivendo profondissimi cambiamenti che riguardano la dimensione antropologica. Cambia il modo con cui i giovani interpretano l’umanità. Se non prendiamo consapevolezza di ciò difficilmente riusciremo a metterci in sintonia con questa generazione. Nei racconti delle educatrici vi sono degli accenni di questa consapevolezza, ma non si delinea ancora un nuovo modello educativo che interpreti e accolga questa situazione. Ciononostante, le giovani hanno capito che la dimensione affettiva e relazionale è decisiva. Nessuno meglio delle donne è dunque in grado di capire e interpretare questa nuova missione educativa. Il loro contributo in campo educativo è fondamentale perché il futuro della fede passa attraverso l’educazione».

L.Q.

Corinne Zaugg mentre introduce Paola Bignardi. Foto: catt.ch.
26 Maggio 2018 | 14:09
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