Internazionale

Pakistan, un vescovo in madrasa

Vivere il Vangelo in una terra come il Pakistan non può prescindere dal dialogo islamo-cristiano: e la gioia della Resurrezione è giunta, grazie all’arcivescovo Sebastian Shaw, in una scuola coranica (madrasa) di Lahore, capitale del Punjab pakistano. È stata una Pasqua davvero speciale per il pastore cattolico che, grazie all’impegno della Commissione nazionale per il dialogo e l’ecumenismo, in seno alla Conferenza episcopale cattolica, ha fatto visita al mufti Sayed Ashiq Hussain, preside della madrasa, e ai suoi circa 70 allievi, nell’istituto islamico Bait-ul-Quran. Il leader ha accolto con gioia l’arcivescovo, mentre sorrisi, abbracci e petali di rose cadevano sulla sua testa. L’incontro è stata l’occasione per un cordiale scambio di esperienze e per un fecondo dialogo.

«Ho espresso entusiasmo e gratitudine per l’opportunità di essere tra i futuri predicatori dell’islam. Ho chiesto loro di essere predicatori di pace e di armonia. Ho apprezzato molto la scuola nel suo complesso, per l’apprendimento delle competenze professionali come sartoria e informatica, accanto alla formazione religiosa», racconta l’arcivescovo a Vatican Insider. Il preside della Bait-ul-Quran spiega a Vatican Insider di aver fondato la madrasa «per insegnare la vera religione e per rendere i giovani musulmani ambasciatori di pace in Pakistan».

È un compito molto importante, quello degli educatori islamici, mentre il dibattito sulla presenza e sul ruolo delle scuole coraniche è spesso sulle prime pagine dei giornali. Se infatti le madrase controllate ufficialmente dal governo pakistano sono circa 12mila, almeno altri 30mila seminari islamici non sono riconosciuti, e in questa galassia proliferano quanti promuovono idee radicali.

La madrasa del mufti Hussain appartiene a quella «foresta che cresce nel silenzio», spargendo semi di pace. Approccio, questo, auspicato anche dal primo ministro pakistano Nawaz Sharif, che ha sollecitato ripetutamente le scuole coraniche perchè, nella loro opera di educazione, contribuiscano a contrastare l’estremismo.

Nella madrasa di Lahore si educano gli alunni «a condividere le festività con i cristiani. Preti cattolici qui sono di casa e gli allievi imparano a rispettarli e amarli», racconta Hussain a Vatican Insider, forte della convinzione che «quanto si impara durante l’infanzia si ricorda per tutta la vita». «Cristianesimo e islam sono le due religioni più diffuse al mondo – osserva – e se i loro membri costruiscono una serena convivenza, allora ci sarà pace sulla terra». Impegno, questo, che chiama in causa tutti: «Nel nostro piccolo – conclude – ogni giorno combattiamo contro gli estremisti, non con la guerra, ma promuovendo armonia tra i credenti in Pakistan».

Non è un caso che questo anelito all’armonia e un contributo fattivo alla convivenza trovi terreno fertile tra i francescani in Pakistan: Shaw è un vescovo francescano (dei frate minore), mentre il responsabile della Commissione per il dialogo è il cappuccino Francis Nadeem. Sono loro in prima linea neltestimoniare lo «spirito di Assisi», quello spirito che è sinonimo di incontro e accoglienza verso ogni uomo.

I francescani del Pakistan sono una pattuglia di circa 600 persone, tra uomini e donne, laici e religiosi, che fanno del dialogo e del servizio al prossimo la loro missione, in una testimonianza di umiltà e compassione, prodigandosi nell’annuncio della pace. Sono eredi dei missionari francescani che, fin dal XIII secolo, e poi nella seconda metà del XIX secolo, al seguito dei colonizzatori inglesi, portarono nel subcontinente indiano l’annuncio del Vangelo e il colore inconfondibile del saio. Allora il Pakistan non esisteva ancora, era tutt’uno con l’India da cui si staccò solo nel 1947, quando l’impero britannico diede vita a due stati indipendenti: uno per gli indù, uno per i musulmani.

Il riferimento principe per i francescani in Pakistan è l’episodio in cui il Santo d’Assisi portò un messaggio di pace al Sultano d’Egitto Melik al kamel, avventurandosi senza paura in terra musulmana per predicare il messaggio di Cristo che è amore, pace, riconciliazione. «Oggi lo spirito francescano vive e fiorisce in Pakistan – osserva Francis Nadeem – perchè è un messaggio di fraternità universale e perchè scopre in ogni frammento di umanità un dono prezioso del Creatore, al di là di casta, etnia, religione, classe sociale. Questo spirito ha la forza non violenta dell’amore al nemico che, in definitiva, la stessa croce di Cristo rappresenta».

(Paolo Affatato / Vatican Insider)

 

19 Aprile 2017 | 12:16
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