Internazionale

Pakistan, c’è speranza per Asia Bibi

C’è una speranza per Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan, in carcere da nove anni e in attesa del verdetto della Corte Suprema. Una speranza si intravede sui molteplici versanti che interessano la sua tragica vicenda: in Pakistan, in Europa, in Vaticano.

 

Ieri i familiari di Asia, suo marito Ashiq Masih e una delle sue figlie, la 18enne Eisham, sono stati ricevuti e accolti calorosamente da papa Francesco in Vaticano. In un incontro dagli accenti commossi, Francesco ha ascoltato le loro storie e la loro sofferenza e, in un momento di straordinaria empatia, ha pregato per loro e con loro, assicurando la sua vicinanza e la preghiera incessante per Asia.

 

Rinchiusa in una cella senza finestre in un carcere del Punjab pakistano, Asia era in comunione spirituale con la piccola assemblea riunita in Vaticano. La donna era presente lì con la sua anima, con il suo cuore, immerso in un tempo di preghiera e di feconda attesa. In questo periodo, hanno raccontato i familiari, Asia appare «particolarmente fiduciosa e combattiva» e ha chiesto perfino di partecipare all’udienza che la Corte Suprema potrà fissare nei prossimi mesi – impossibile per motivi di sicurezza. La lotta per la giustizia che conduce da nove anni non ha fiaccato la sua speranza, radicata nell’azione e nella grazia di Dio, di cui sa di essere «discepola amata».

 

Sua figlia Eisham le fa eco dicendo a Vatican Insider: «Prego sempre con il salmo 23: il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Non temo alcun male, perché tu sei con me», preghiera che esprime la fiducia incondizionata nell’amore e nella cura del Padre verso i suoi figli. Anche Ashiq Masih, rinfrancato e consolato dopo l’incontro col Papa, ricorda: «Il Vangelo dice: chiedete e vi sarò dato. Con questa certezza ci rivolgiamo a Dio per la liberazione di Asia Bibi».

 

Papa Francesco ha espresso la sua paterna sollecitudine per la tragica vicenda, un caso che la Santa Sede ha sempre seguito con attenzione fin dall’inizio, calibrando interventi e silenzi, in un atteggiamento di comprensibile prudenza che ha sempre puntato al bene della donna reclusa e all’intento di contribuire sommessamente al rilascio di colei che Francesco ha definito «una martire». Accanto ad Asia vi sono, poi, tutti i fedeli del mondo che, impegnati in campagne di preghiera e sensibilizzazione, credono nella sua innocenza.

 

Che il caso di Asia Bibi abbia assunto una rilevanza internazionale appare chiaro dagli ultimi risvolti che si palesano a livello di relazioni internazionali tra Europa e Pakistan. L’Unione Europea ha intenzione di subordinare al rilascio di Asia Bibi il rinnovo di un maxi accordo commerciale con il Pakistan. Lo ha affermato Jan Figel, l’inviato speciale della Ue per la libertà di religione nel mondo, spiegando che, nei rapporti con la Ue, il Pakistan gode attualmente di un «sistema di preferenze generalizzate». Il che significa che i prodotti pakistani hanno accesso al mercato dell’Unione in un regime di esenzione dai dazi doganali, senza tariffe o prelievi fiscali speciali. Lo status è stato negoziato nel 2013 con l’allora primo ministro del Pakistan Nawaz Sharif.

 

In una forma di pressione politica piuttosto pronunciata, nell’imminenza degli incontri bilaterali per negoziare il rinnovo del patto, la Ue ha detto all’esecutivo di Islamabad che l’esito del processo ad Asia Bibi potrà determinare la continuità o l’interruzione dell’accordo. L’eventuale stop rappresenterebbe un duro colpo all’economia pakistana, che non sarebbe in grado di competere con paesi concorrenti come il Bangladesh e lo Sri Lanka.

 

Un movimento in favore delle vittime innocenti della legge di blasfemia, condannate ingiustamente sulla base di false imputazioni, si registra anche in Pakistan. Nell’esplicito tentativo di fermare l’uso improprio della legge – tirata spesso in ballo per vendette personali – il governo federale ha proposto di emendare la normativa, introducendo per i falsi accusatori la stessa punizione che subiscono i colpevoli di blasfemia. La proposta intende integrare la «Legge sulla prevenzione dei crimini elettronici» (Peca) – che include azioni blasfeme commesse sul web – con gli articoli del Codice penale che puniscono il vilipendio alla religione (e che costituiscono la cosiddetta «legge di blasfemia»).

 

«Il progetto potrebbe richiedere alcuni mesi, ma il governo federale sta seriamente perseguendo la questione. Vogliamo equiparare le pene tra i blasfemi e chi presenta false accuse, abusando della legge», ha spiegato il vice procuratore generale Arshad Mehmood Kayani, promotore dell’emendamento. Ora starà al Parlamento deliberare ma, mentre il Pakistan si prepara alle elezioni politiche, è probabile che la questione sarà appannaggio della nuova assemblea legislativa, che uscirà dal voto del luglio prossimo.

 

L’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, difensore di molte vittime innocenti della legge sulla blasfemia a Lahore, commenta a Vatican Insider: «È tempo di intraprendere azioni audaci per combattere l’estremismo religioso: il primo passo è abrogare o riformare la legge sulla blasfemia». II punto è che ora, spiega il legale, «gruppi estremisti islamici che difendono strenuamente la legge sulla blasfemia stanno convertendosi in partiti politici per poter conseguire i loro obiettivi. In questo modo quella normativa verrà politicizzata in vista delle elezioni generali del 2018», e costituirà un punto di aspro confronto politico in campagna elettorale.

Paolo Affatato – VaticanInsider

26 Febbraio 2018 | 08:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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