Nigeriane schiavizzate e sfruttate sessualmente in tutta Europa

Il numero di donne nigeriane schiavizzate e trasferite in Italia dalle organizzazioni criminali per essere sfruttate sessualmente è in costante aumento. Secondo i dati forniti dall’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) tra gennaio e giugno 2016 ne sono state segnalate nelle località di arrivi via mare 3.529, tra cui ragazze molto giovani e minorenni. Il dato 2016 conferma il trend in crescita: nel 2013 ne sono giunte in Italia 433, nel 2014 ben 1.500 e nel 2105 addirittura 5.633. Si presume che nel 2016 superino ampiamente le 6.000 unità. Il dato di fatto conferma che le reti criminali non solo si stanno servendo della crisi migratoria per agganciare le persone più vulnerabili, ma che stanno utilizzando i sistemi di asilo e di accoglienza per «piazzare» sul mercato la loro «merce».

Quasi tutte da Edo State

Le donne di origine nigeriana che entrano in Italia provengono quasi tutte da Benin City e dalle aree limitrofe, o più in generale da Edo State. Poche quelle che provengono da Delta State, Lagos State, Ogun State e Anambra State. Al riguardo, è utile chiarire che le dinamiche della tratta dalla Nigeria verso l’Europa rispondono ad alcune «regole» consolidate, stabilite dalle organizzazioni criminali. Le donne e le ragazze nigeriane di Benin City e di Edo State sono destinate per lo più alla prostituzione coatta in Italia, mentre le donne provenienti da altri stati della Nigeria (Repubblica costituzionale di tipo federale comprendente 36 Stati) vengono trasferite e costrette alla prostituzione in Spagna, Scozia, Olanda, Germania, Turchia, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Svezia, Svizzera, Norvegia, Irlanda, Slovacchia, Repubblica Ceca, Grecia e Russia.

Le ragazze, in genere di basso livello di istruzione, arrivano da contesti molto periferici e rurali, da famiglie molto numerose o da nuclei familiari disgregati o destrutturati, prive di figure genitoriali di riferimento. Spesso raccontano di aver abitato in casa di zii o di altri parenti, di aver subito violenze e abusi sin da piccole da parte di conoscenti, di aver vissuto in uno stato di inferiorità rispetto agli altri componenti della famiglia e di essere state, infine, cedute o vendute ai trafficanti.

Adescamento e riti woodoo

L’adescamento delle potenziali vittime avviene tramite vicini di casa, compagne di scuola o anche sorellastre maggiori già arrivate in Europa. Una volta reclutate, le ragazze sono costrette a «giurare» di pagare il «debito» che stanno contraendo nei confronti di chi si offre di farle arrivare in Europa. Spesso viene loro fatto credere che il debito, che può variare tra i 40 e gli 80 mila euro, corrisponde a soli 40 o 80 mila naira (1 naira corrisponde a 0,0029 euro).

Per rendere più efficace l’indebitamento, il contratto è normalmente suggellato da un rito pseudo religioso celebrato da una sorta di «stregone» (il native doctor). Sono i cosiddetti riti woodoo che hanno un impatto fortissimo sulle ragazze che ne subiscono la forza coercitiva e scoraggiano ogni eventuale tentativo di fuga. Non ottemperando agli impegni assunti nel corso del rito, saranno vittime di mali che possono arrivare fino alla pazzia e alla morte. Mediante il rito woodoo, si crea un legame vincolante da cui la vittima difficilmente riesce a liberarsi.

Due le clausole contenute quasi sempre nei giuramenti: non riferire mai alle forze di polizia come hanno fatto ad arrivare in Italia e non fidarsi delle organizzazioni italiane che promettono aiuto.

Deserto del Sahara e Mar Mediterraneo

L’attraversamento del deserto del Sahara e del Mar Mediterraneo e l’arrivo a Lampedusa o in Sicilia costituiscono attualmente il corridoio principale di transito usato dai trafficanti per trasferire le donne in Europa. La rotta via terra prende normalmente avvio nella città di Benin City (Sud della Nigeria) e tocca Kano (Nord della Nigeria), Zinder (Niger), Agadez (Niger), el-Gatrun (Libia), Sabha (Libia), Brach (Libia), Tripoli (Libia) Zuara (Libia), Sabratah (Libia). Per coloro che viaggiano via aereo utilizzando passaporti e visti falsificati, che sono però una minima parte, il punto di partenza è quasi sempre Lagos o Abidjan (Costa d’Avorio), da cui si imbarcano per un volo diretto verso l’Europa.

Durante il viaggio attraverso il deserto dl Sahara le ragazze subiscono abusi e violenze da parte dei loro trafficanti o di altri soggetti con cui entrano in contatto. Già in Niger vengono indotte o costrette alla prostituzione e la stessa cosa avviene in Libia, dove vengono rinchiuse in luoghi di segregazione – le cosiddette connection house – in attesa di proseguire il viaggio. A seguito delle violenze sessuali subite, alcune ragazze contraggono il virus dell’HIV o presentano lesioni e infezioni all’apparato genitale. Moltissime le persone che, durante l’attraversata del deserto, non resistono agli stenti: abbandonate dai «trolley» (i «passeurs», gli accompagnatori: sempre tutti uomini), sono destinate a morte sicura.

Chi arriva in Italia in stato di gravidanza è ancor più vulnerabile, perché costretta dai trafficanti ad abortire. Quando invece viene loro concesso di portare avanti la gravidanza, il neonato diventa strumento ulteriore di coercizione e pressione psicologica nei confronti della madre. Qualche volta i bambini vengono forzatamente separati e riportati in Nigeria o trattenuti dalla madam come garanzia di rimborso del «debito».

Prelevate dai centri di accoglienza dalle organizzazioni criminali

Al momento dello sbarco sul territorio italiano e dell’incontro con il personale dei centri di accoglienza, le ragazze sono già sotto il controllo diretto dei trafficanti o dei loro complici (in genere si tratta di altre donne nigeriane più anziane, oppure di fantomatici «fidanzati»), che le prelevano e le smistano in varie località italiane o estere.

A causa della paura che nutrono verso i trafficanti, mostrano un atteggiamento estremamente chiuso e diffidente nei confronti degli operatori e delle operatrici sociali. Quasi sempre, anche le più giovani (con un corpo ancora da adolescente) dichiarano di essere maggiorenni e di avere tra i 22 e i 25 anni.

Nei loro racconti ci sono tutti gli indicatori tipici di tratta: negano di essere minorenni anche quando la minore età è palese e visibile, perché istruite dai loro sfruttatori ad evitare il sistema di protezione e assistenza previsto per i minorenni; affermano di non sapere come siano arrivate in Italia o il nome dei Paesi attraversati; dichiarano di non aver pagato nulla per il viaggio. Questi elementi sono un campanello d’allarme di una probabile condizione di sfruttamento, perché è proprio in quel negare l’evidenza che si nasconde il «patto» tra trafficante e vittima.

Estinguere il «debito»

Una volta giunte in Italia, le vittime devono pagare il loro «debito»: una somma che aumenta ulteriormente attraverso meccanismi sanzionatori del tutto arbitrari. Le ragazze devono pagare un affitto periodico per lo spazio di marciapiede dove si prostituiscono – il così detto joint – che può variare dai 100 a 250 euro ogni mese. Devono pagare il «posto letto» che occupano nella casa dove sono ospitate e che può comportare l’esborso mensile di 300/350 euro. Devono poi versare, in genere alla loro madam, la «quota settimanale» per il vitto, di 50/60 euro. Tutte queste spese extra determinano la confusione e l’incertezza sulla cifra esatta da restituire per riscattare il «debito».

Per evitare violenze ed estorsioni, anche ai danni dei propri familiari in Nigeria, le ragazze accettano di prostituirsi in condizioni di autentica schiavitù, per periodi che variano generalmente dai 2 ai 4 anni. Sono costrette a farlo in qualsiasi condizione fisica e meteorologica, in strade periferiche delle città e a prezzi bassissimi che partono dai 10 euro. Per poter guadagnare di più, non raramente, sono forzate ad accettare il rischio di rapporti sessuali non protetti. Oltre all’evidente stress fisico, spesso dovuto anche alla mancanza di sonno, in strada sono oggetto di violenza e di stupri – anche di gruppo – da parte dei clienti o di malviventi occasionali.

A causa della continua violenza, le ragazze riportano segni fisici e traumi psicologici spesso irreversibili. Frequentemente le più giovani ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza, anche clandestina, o assumono medicinali dagli effetti abortivi che si somministrano da sole o che vengono loro forniti dalla madam o da altri soggetti. Si tratta di farmaci a base di misoprostolo usati per curare l’ulcera, ma che, se assunti in sovradosaggio, provocano delle fortissime contrazioni fino a determinare l’interruzione della gravidanza. In alcuni casi l’assunzione di queste sostanze può causare convulsioni, dolori addominali, palpitazioni, fino a emorragie potenzialmente letali.

Sostegno alle vittime e comprensione verso i clienti

In Italia, un’importante legge prevede che le vittime di tratta, disponibili a sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti di soggetti o organizzazioni dedite allo sfruttamento della prostituzione, possano beneficiare di un particolare permesso di soggiorno che garantisce l’accesso al mercato del lavoro e alla formazione professionale, siano ospitate in apposite comunità di accoglienza e siano seguite nei non facili percorsi di liberazione dai loro schiavisti e sostenute nell’avviare e consolidare una vita decente all’insegna della dignità e dell’autodeterminazione. Nella maggioranza dei casi l’assistenza alle vittime è assicurata da organizzazioni non lucrative del privato sociale.

Nell’Unione Europea sono sempre più numerosi gli Stati che prestano maggiore attenzione alle modifiche legislative riguardanti la condotta di chi alimenta la domanda di sesso mercenario. La Francia, ad esempio, ha introdotto, a decorrere dal mese di aprile 2016, il reato di acquisto di prestazioni sessuali. Ad oggi, pressoché la metà degli Stati membri della UE considera reato la condotta di chi ricorre consapevolmente ai servizi prestati da una persona vittima di tratta.

Nulla di tutto questo, purtroppo, in Italia, dove, con la sola eccezione della prostituzione minorile, al cliente di donne schiavizzate per fini sessuali è possibile solo rivolgere appelli alla responsabilità.

Il diritto penale italiano prevede il reato di ricettazione. Chi, ad esempio, compra un oggetto d’arte rubato può essere punito con la reclusione da due a otto anni. Quando, invece, ad essere comprato è un corpo rubato o un corpo schiavizzato, il cliente/acquirente non rischia alcunché. È ammissibile una simile incongruenza?

Porsi questa domanda, almeno in occasione della giornata europea contro la tratta di esseri umani, è doveroso. Essa contiene un carattere indilazionabile e richiede una risposta urgente sotto il profilo sia etico che di politica del diritto.

21 Ottobre 2016 | 15:46
Tempo di lettura: ca. 6 min.
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