Nicaragua, appello della Chiesa: il popolo non sia lasciato solo

Amedeo Lomonaco, Patricia Ynestroza e Fabio Colagrande – Città del Vaticano

In Nicaragua, da dove continuano ad arrivare immagini di chiese profanate, si celebra oggi l’anniversario della rivoluzione che, 39 anni fa, ha messo fine alla dittatura di Somoza. L’attuale presidente Daniel Ortega, ex guerrigliero sandinista, da più di 30 anni domina la scena politica del Paese. Il suo esecutivo ha risposto con una dura repressione, costata finora la vita ad almeno 360 persone, alle proteste iniziate tre mesi fa nelle Università statali.
Risoluzione di condanna dell’Osa

Alla vigilia dell’anniversario della rivoluzione sandinista, l’Organizzazione degli Stati americani (Osa) ha approvato una risoluzione che chiede tra l’altro l’indizione, entro la primavera, di elezioni anticipate, lo smantellamento delle forze paramilitari e il rispetto dei diritti umani. Nella risoluzione sii condannano, inoltre, gli attacchi nei confronti di civili e le aggressioni contro esponenti e strutture della Chiesa cattolica.
Le cause della proteste

Ad innescare le proteste, poi duramente represse nel sangue, è stato l’annuncio nel mese di aprile di una controversa riforma previdenziale che aveva l’obiettivo di assicurare stabilità finanziaria alle disastrate casse del sistema pensionistico nicaraguense. Tale riforma, poi ritirata, avrebbe comportato un incremento dei contributi richiesti a lavoratori e datori di lavoro. Le criticità finanziarie del sistema pensionistico riflettono quelle della precaria economia nicaraguense, fortemente indebolita dopo la crisi che ha colpito il Venezuela.
L’avvio del dialogo tra ostacoli e speranze

Per trovare una soluzione alla drammatica situazione in Nicaragua, nel mese di maggio è stato avviato il dialogo nazionale. Al tavolo negoziale hanno preso parte anche rappresentanti di studenti e imprenditori. La Chiesa ha partecipato con il ruolo di «mediatrice e testimone». Al governo e alle varie componenti della società, i vescovi nicaraguensi hanno chiesto, in particolare, l’immediata cessazione delle violenze. Il dialogo nazionale si è però interrotto.
Anche la Chiesa nel mirino

Anche la Chiesa nicaraguense è stata colpita dalla campagna di repressione condotta dal governo. Sacerdoti e vescovi sono stati vittime di aggressioni. Gli assalti nelle chiese sono ormai quotidiani. Ma sostenuti anche dagli accorati appelli di Papa Francesco per una vera riconciliazione, i pastori del Nicaragua continuano ad essere vicini al popolo, a soccorrere i feriti e a sperare nel dialogo. Il nunzio apostolico in Nicaragua, mons. Waldemar Stanislaw Sommertag, ha rivolto a nome del Pontefice un forte appello per porre fine alle violenze che stanno sconvolgendo il Paese. Un appello «alle coscienze di tutti a raggiungere una tregua e consentire un rapido ritorno al tavolo del dialogo nazionale».
Il presidente di Caritas Nicaragua: si riprenda il dialogo

Ai microfoni di Vatican News il presidente di Caritas Nicaragua, mons. Carlos Herrera, sottolinea che molte parrocchie soccorrono i feriti. Insieme alla Conferenza episcopale nicaraguense, la Caritas sta cercando, in particolare, di incentivare il dialogo in modo che questo importate strumento, in grado di promuovere una autentica riconciliazione, possa essere riattivato al più presto. Mons. Herrera ricorda che il governo ha chiesto, tra l’altro, la rimozione delle barricate innalzate dai dimostranti. Molte di queste barricate – aggiunge – sono state eliminate.
I giovani che protestano non sono terroristi

Mons. Herrera ricorda poi che lunedì scorso il Parlamento ha approvato una legge, definita anti-terrorismo, volta a punire chiunque danneggi beni pubblici o privati nell’ambito delle proteste contro il governo. Con questa norma – osserva il presidente di Caritas Nicaragua – tutti coloro che protestano possono essere considerati terroristi. Ma chi protesta, sottolinea mons. Herrera, non è armato e non è un terrorista.
Necessario l’intervento della comunità internazionale

Gli sforzi della Caritas e della Chiesa sono anche finalizzati ad ottenere la liberazione di giovani studenti, arrestati durante manifestazioni di protesta o prelevati nelle loro case da gruppi paramilitari e da agenti di polizia. Facendo ricorso alla legge anti-terrorismo, sono stati arrestati anche due membri della Commissione per il dialogo nazionale. Mons. Herrera auspica che la comunità internazionale intervenga per favorire la ripresa del dialogo. Preghiamo – conclude – perché il presidente Ortega ascolti le richieste della Chiesa e del popolo.
Testimonianza da Masaya

Il quartiere di Monimbò nella città di Masaya, considerato il simbolo della resistenza al regime di Ortega, è stato conquistato due giorni fa dai paramilitari governativi. Da Masaya padre José Bosco Alfaro, salesiano direttore del Collegio Don Bosco, sottolinea a Radio Vaticana Italia che si vive una «a situazione di paura, di tensione». (Sulla situazione a Masaya e in Nicaragua ascolta l’intervista con padre José Bosco Alfaro)
Molti giovani fuggono per non essere uccisi

La polizia e i paramilitari – spiega – hanno ripreso il controllo della città. Molte persone sono state arrestate e non è possibile al momento stabilire quale sia il numero dei morti e dei feriti. Tra le persone fermate, ci sono soprattutto giovani. «Molti – aggiunge padre José Bosco Alfaro – sono fuggiti per evitare di essere massacrati».
Chiesa impegnata nel promuovere la riconciliazione

Forze legate al governo di Daniel Ortega – spiega il direttore del Collegio Don Bosco – «hanno profanato chiese, ucciso studenti». «Il governo ha lanciato una chiara minaccia alla chiesa cattolica». Si vuole «che la popolazione creda che proprio la Chiesa abbia scatenato la violenza». Ma la Chiesa è per la pace. Ogni giorno i vescovi – ricorda padre José Bosco Alfaro – si impegnano per promuovere la riconciliazione, per farsi mediatori del dialogo nazionale. Questa è anche la volontà di Papa Francesco: «che la Chiesa possa servire come mediatrice». Tuttavia, da parte del governo, manca la volontà politica per portare avanti il dialogo.
La Chiesa crede nel dialogo

Il cardinale Brenes – ricorda infine padre José Bosco Alfaro – ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché il popolo, sempre più sofferente, non venga lasciato morire. La Chiesa – ribadisce infine da Masaya il sacerdote salesiano – «crede nel dialogo nazionale, ma non può instaurarlo perché da parte del governo non c’è la volontà».

20 Luglio 2018 | 17:33
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