Neo cardinale Petrocchi: «I migranti? Gli slogan escludenti non servono»

Gli slogan «escludenti», le opposizioni e i continui «no» non costruiscono la storia. Soprattutto non servono ad affrontare un «fenomeno globale» come quello delle migrazioni che richiede invece «risposte globali, accordate, non monotone ma sinfoniche» in modo da attivare un aiuto «là», nei Paesi di provenienza della gente che emigra, e «qua», sul fronte dell’accoglienza e dell’integrazione. L’arcivescovo dell’Aquila, monsignor Giuseppe Petrocchi, cardinale nel Concistoro di oggi, conosce bene le tragedie umane essendo da cinque anni alla guida della diocesi abruzzese che ancora risente delle devastazioni del terremoto del 2009: più di 300 vittime, circa 1600 feriti e 10 miliardi di euro di danni stimati, oltre a una ricostruzione che sembra ancora un miraggio. Il neo porporato marchigiano sa quindi che nei casi di profonda «povertà», quella dei terremotati come pure quella dei migranti, ciò che veramente è utile non sono le risposte precostituite ma l’entrare in contatto con la sofferenza delle persone per capirne i problemi e le esigenze e da lì individuare soluzioni.

 

In questo senso, nel caso specifico delle migrazioni, per l’arcivescovo è valida anche la frase – utilizzata come un mantra da certa politica – dell’«aiutarli a casa loro»: «Ma nel senso inteso dalla Chiesa», precisa ai giornalisti incontrati in un meeting point in Sala Stampa vaticana alla vigilia della grande cerimonia in San Pietro con cui dialoga dell’attualità. «La formula di fondo non è andare e portare qualcosa, ma andare e fare in modo che le persone del posto possano rendersi autonome. Gli emigranti vanno quindi resi protagonisti e non solo destinatari di un aiuto. Se non si riesce in questa operazione si determinerà una asimmetria patologica per cui c’è solo un dare senza che chi riceve possa a sua volta dare».

 

«Le risposte che un evento globale come quello dell’immigrazione richiede sono risposte globali» afferma Petrocchi, originario di Ascoli Piceno, un passato come pastore nella provincia laziale di Latina dove ancora gode di grande stima. «Tutti i Paesi, ognuno secondo le proprie risorse e competenze, devono essere coinvolti. È chiaro che non si costruisce una storia a forza di «no», qualche volta può essere necessario ma deve essere un «no» che parte da un «sì»», dice in riferimento ai provvedimenti del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. In primis quello dei «porti chiusi».

 

«Non è soltanto un’opposizione che può rappresentare una risposta, deve esserci la capacità di capire le ragioni profonde dentro a un fenomeno del genere e trovare risposte che non siano escludenti. È importante capirlo insieme, sperando che siano momenti iniziali e non sigle che caratterizzano per intero una volontà politica. Non penso che ci sia un atteggiamento di alzare barriere impenetrabili», afferma il neo cardinale. «Credo, e questo l’ha detto anche il Papa, che si debba mobilitare non solo l’Europa ma anche il mondo per scrutare quanto sta accadendo e capire come aiutare coloro che emigrano a trovare un modo nuovo di costruire la loro storia».

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28 Giugno 2018 | 05:50
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