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Chiesa

Myanmar. La nunziatura: viaggio del Papa per la riconciliazione

«Il Papa compie il viaggio in Myanmar come messaggero di pace, per sostenere i cristiani e lanciare un appello universale di riconciliazione». Così il segretario della nunziatura apostolica in Myanmar, don Dario Paviša, ha annunciato il viaggio apostolico del Papa nel Paese del Sud-Est asiatico in una affollata conferenza stampa tenutasi nella capitale Yangon.

Il sacerdote ha riferito dell’incontro tenutosi proprio oggi tra alcuni vescovi del Myanmar e i gruppi giovanili cattolici, teso anche a preparare la visita del Pontefice. Lo scorso 12 agosto Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Paul Tschang In-Nam nunzio apostolico in Myanmar. Don Dario Paviša ha spiegato che il primo «ambasciatore» della Santa Sede presso il Paese darà voce ai 700mila cattolici dell’ex Birmania e contribuirà al processo di pacificazione nazionale che vede coinvolte decine di etnie e minoranze religiose che compongono il popolo del Myanmar. Abbiamo raggiunto telefonicamente don Dario a Yangon:

R. – Abbiamo avuto oggi l’annuncio ufficiale, 14.30 ora di Yangon. C’erano tanti giornalisti; e la mia impressione è che, per un Paese che è buddista, questo significa che c’è un forte interesse per questa visita, perché è una cosa nuova per il Myanmar: non solo per la Chiesa cattolica, ma anche per il governo e tutto il popolo, che ha tanto bisogno di «pace e di amore», che poi è il motto ufficiale di questa visita. Anche i vescovi, durante l’annuncio ufficiale, hanno pubblicato un messaggio, indirizzato non solo ai cattolici ma anche a tutta la società e al popolo birmano, nel quale hanno affermato che il Papa verrà come messaggero di pace, per incoraggiare i cristiani, ma anche per cercare di dare un messaggio universale per la riconciliazione tra i diversi gruppi etnici. Sappiamo infatti che in Myanmar ci sono otto gruppi principali ed altre 135 minoranze etniche che sicuramente hanno bisogno di questo appoggio da parte del Santo Padre.

D. – Lei ha parlato ai giornalisti, ma è riuscito anche a raccogliere le prime sensazioni della comunità cattolica? È stata accolta con gioia questa notizia?

R. – È la prima volta che un Papa viene in Myanmar; la comunità cattolica ha accolto la notizia con molta gioia! Sono in Myanmar già da due settimane e vedo che la conferenza episcopale anche oggi aveva un incontro con i giovani per la preparazione: questa è una cosa bella e devo dire che per loro è soprattutto qualcosa di nuovo; si vede che hanno buona volontà e anche bisogno di un appoggio e di organizzazione. Penso che la Chiesa cattolica in Myanmar abbia fatto esperienza già di un grande evento che si è svolto l’anno scorso: i 500 anni dell’arrivo della fede cattolica nel Paese. Questa visita del Papa è una conferma ancora più grande per la loro fede. E devo dire che veramente le reazioni sono molto positive; i vescovi e anche i parroci sono contenti, almeno per quello che ho potuto vedere a Yangon.

D. – Domenica, all’Angelus, Papa Francesco ha lanciato un appello per i Rohingya, la minoranza che è ancora esclusa, e in alcuni casi perseguitata, nelle terre dove abita: perché è importante che il Papa si interessi alle minoranze del Myanmar?

R. – La parola del Papa è sempre ben accolta, soprattutto quando parla della riconciliazione e della pace. Quello che vorrei anche sottolineare è che in Myanmar ci sono anche diversi piccoli gruppi etnici, che soffrono come i Rohingya: è importante anche lanciare un messaggio che parli di questa sofferenza. Da quando sono arrivato in Myanmar sento sempre dire che proprio qui ci sono diversi gruppi etnici che ancora soffrono molto.

D. – Papa Francesco, il 12 agosto, ha nominato il primo nunzio del Myanmar. Importante quindi anche sul piano politico questa visita…

R. – Il 4 maggio sono stati allacciati rapporti diplomatici tra il Myanmar e la Santa Sede. Ci sono stati lunghi tentativi, durati anche diversi anni; e quando abbiamo avuto contatti con il governo, i suoi esponenti si sono mostrati veramente molto contenti del fatto che dopo la ripresa dei rapporti diplomatici, il Santo Padre visiterà il Myanmar. In preparazione della visita, è stato anche nominato il primo nunzio del Myanmar, Sua Eccellenza monsignor Paul Tschang In-Nam, che è il primo nunzio del Paese; e questo faciliterà anche il lavoro della Chiesa cattolica. I cattolici, qui nel Paese, rappresentano la minoranza: in tutto sono circa 700mila persone. Quindi avranno bisogno di una voce, diciamo, ufficiale che possa sempre parlare per il proprio governo e spiegare anche chi sono i cattolici, chi è il Santo Padre e la Santa Sede, quale sia il lavoro e la missione che la Chiesa cattolica può portare avanti in questo Paese.

D. – I cattolici, come minoranza, possono contribuire alla pacificazione nazionale…

R. – I buddisti rappresentano la religione di maggioranza – questo lo sappiamo – sono circa il 90 percento; ma senza le minoranze, composte dai cattolici, i musulmani, gli indù, non è possibile fare una riconciliazione. Quindi, dentro questo processo devono proprio essere inclusi tutti. E soprattutto la Chiesa cattolica è invitata, in un modo direi speciale, ad offrire una voce più alta, riguardo la stessa riconciliazione tra le diverse etnie e – dobbiamo dire – anche tra le diverse religioni.

Intanto continuano a preoccupare le aggressioni che si stanno verificando nei confronti dell’etnia dei Rohingya. È salito a oltre 100 morti il bilancio delle violenze che sono divampate venerdì scorso nella parte Nord della regione costiera del Rakhine. In migliaia hanno passato il confine con il Bangladesh, prima che la polizia bengalese iniziasse a respingere le persone in fuga.

Il Bangladesh ha rafforzato le misure di controllo alle frontiere, dove si sono ammassati migliaia di Rohingya a seguito delle violenze. Sono oltre un milione i musulmani Rohingya che vivono nello stato di Rakhine, soggetti da anni a persecuzioni e restrizioni della libertà di movimento.

Marco Guerra – News.va

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29 Agosto 2017 | 18:00
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