Mosul liberata, Sako: «I cristiani tornino anziché litigare tra loro»

«I cristiani devono ritornare in fretta a riprendersi le loro terre prima che altri gliele portino via, anziché perdere tempo ad aspettare, discutere e dividere la comunità». All’indomani della liberazione di Mosul e in un tempo così pieno di incognite per il futuro dell’Iraq, il patriarca caldeo Luis Raphael Sako lancia un monito severo ai cristiani iracheni. Lo fa attraverso un messaggio in cui non nasconde che in Iraq «c’è ancora una strada lunga e difficile da percorrere» per sradicare l’Isis, ricostruire ciò che è stato distrutto e ottenere davvero pace, sicurezza e stabilità. Ma proprio per questo – precisa Sako – quella presente «è l’ora della verità», in cui i cristiani iracheni devono dimostrare di «aver imparato la lezione», ed «essere fedeli alla terra dei loro genitori e dei loro nonni, alla propria identità, storia ed eredità».

Il ritorno nelle terre da dove nel 2014 lo Stato Islamico li ha costretti a fuggire è, secondo il patriarca caldeo, «un impegno morale». «Recuperare le proprietà, chiedere risarcimenti per i danni, ottenere la propria parte di aiuti e protezione, d’intesa con il governo centrale iracheno, il governo regionale del Kurdistan e la comunità internazionale», spiega. Ma per ottenere tutto questo – aggiunge – in questo momento occorrono tre passi concreti da parte delle comunità cristiane. Il primo ovviamente è la ricostruzione delle case e delle infrastrutture a Mosul e nella Piana di Ninive; un impegno, precisa il patriarca, per il quale i cristiani devono «unire le forze», stando alla larga «da tutte le questioni che possono complicare quest’opera». 

Una seconda richiesta è poi quella di dare vita «a un team ristretto ed efficace di 7-10 persone sagge», capaci di farsi portavoce dei cristiani e di assumersi la responsabilità dei rapporti «con le persone giuste a livello nazionale e internazionale». Un compito quanto mai delicato: proprio le divisioni politiche tra i cristiani iracheni – intrecciate alla tentazione del settarismo dilagante in Iraq oggi – sono una delle piaghe che da tempo il patriarca denuncia. Di qui l’indicazione chiara dei requisiti che dovrebbero contraddistinguere questo gruppo di personalità: «La rinuncia all’interesse personale, spirito di solidarietà e collaborazione, capacità di superare le differenze interne e anche la disponibilità a entrare in rapporti costruttivi con i musulmani e gli altri gruppi etnici».

In questa stessa linea, infine, Sako indica una terza necessità urgente: l’apertura di una struttura mediatica che parli a nome dei cristiani iracheni «in modo professionale e con una visione ampia». Questo certamente per far sì che la loro voce sia ascoltata a livello nazionale e internazionale. Ma non solo: un canale informativo unitario, spiega il patriarca, sarebbe molto importante anche per i cristiani iracheni stessi. «Aiuterebbe a superare le difficoltà – scrive – a trasformare le differenze in unità, solidarietà, partecipazione attiva. Ed anche a promuovere quella cultura dell’apertura che sola può aiutare a ottenere la pace, la stabilità e una vita dignitosa per loro e per tutti i cittadini».

Con queste indicazioni, precisa infine il patriarca, la Chiesa non intende proporsi come «un sostituto dei politici» e nemmeno affiancarli, ma solo «affermare la verità sulle questioni pubbliche, specialmente per quel che riguarda la costruzione della pace, la giustizia e la necessità di offrire una vita decorosa a tutti i cittadini, al di là delle loro affiliazioni confessionali». Per questo, conclude Sako, «sull’esempio di Gesù, la Chiesa continua ad amare e servire tutti» e chiede a Dio di proteggere ogni iracheno e di permettere agli esuli di «tornare e vivere in pace con i propri vicini musulmani, yazidi, turcomanni e shabaki, costruendo con loro un futuro migliore basato sull’esperienza storica della coesistenza, già vissuta qui in passato».

(Giorgio Bernardelli / Vatican Insider)

14 Luglio 2017 | 08:21
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