Chiesa

I Missionari della Misericordia, un anno dopo

I Missionari della Misericordia «saranno un segno della sollecitudine materna della Chiesa per il popolo di Dio. Sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica. Saranno soprattutto, segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono, un segno della sollecitudine materna della Chiesa per il Popolo di Dio». Lo scriveva Papa Francesco, nella bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, Misericordiae Vultus, istituendo i Missionari della Misericordia.

 

E ora per conoscere l’esito sortito dall’istituzione di queste figure ad un anno dalla conclusione del Giubileo della Misericordia a tal fine abbiamo chiesto un commento a monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione, relative alle esperienze raccolte di alcuni sacerdoti preposti all’incarico di «Missionari». «Le testimonianze raccolte in questo articolo, così come le numerose che ci giungono da tutto il mondo, attestano che l’intuizione di Papa Francesco era giusta. L’uomo di oggi, sempre più immerso in un contesto caratterizzato dalla violenza e dal sopruso, ha bisogno dell’amore di Dio, in particolare quando si concretizza nel suo perdono», spiega Fisichella.

 

E prosegue: «Nella lettera apostolica a conclusione dell’Anno Santo, Misericordia et misera, aveva stabilito poi che questo ministero non terminasse con la chiusura della Porta Santa, ma che permanesse come «segno concreto che la grazia del Giubileo continua ad essere, nelle varie parti del mondo, viva ed efficace». Così, in ogni parte del mondo, gli oltre mille Missionari stanno svolgendo questo loro prezioso e delicato servizio».

 

Diceva Papa Gelasio I «Non c’è nessun peccato per il quale non preghi la Chiesa perdonandolo o dal quale, in forza della potestà ricevuta da Dio, non possa assolvere coloro che desistono dal medesimo e fanno penitenza». «In tutti questi tre contributi – sottolinea Fisichella – si riscontra proprio il grande bisogno dell’uomo di oggi che, forse più che in altri contesti, ha bisogno di ritrovare la sua identità proprio a partire dal suo rapporto con Dio».

 

Ai Missionari della Misericordia è stata conferita la facoltà di assolvere i peccati riservati alla Sede Apostolica, peccati che riguardano particolarmente i sacerdoti. «E proprio i sacerdoti, come molti Missionari ci hanno raccontato, hanno accolto questa iniziativa come un’attenzione particolare verso di loro ed il ministero che svolgono», rimarca il presidente del Dicastero per la nuova Evangelizzazione. «Proprio i sacerdoti hanno «rinnovato la fiducia nel sacramento della penitenza». Per assurdo, coloro che amministrano il sacramento della riconciliazione, spesso, trovano difficoltà nell’avvicinarsi ad esso. I Missionari, in questo senso, hanno accolto e incoraggiato tanti preti che ogni giorno dedicano la propria vita a Dio e alla Chiesa».

 

Spiega don Andrea Vena, della diocesi di Concordia, Pordenone: «Dopo l’Anno giubilare mi è stato proposto di proseguire questo servizio e, dopo aver ottenuto autorizzazione dal mio vescovo, ho ridato la mia disponibilità. Riconosco che da più parti – preti in primis – tale incarico è visto con certa superficialità e poco interesse. Quasi fosse un incarico inutile. Eppure in questi circa due anni di servizio si sono accostati laici e sacerdoti – da lontano della mia diocesi – proprio per chiedermi di confessarsi, di aprirsi, di sfogarsi. Fosse stato anche solo un penitente, sarei comunque rimasto lieto di tale compito perché come ricorda Gesù: «Anche per un solo peccatore pentito gli angeli in cielo fanno festa»».

 

«Ho posto il decreto di nomina fuori dal confessionale e talvolta la gente mi chiede la confessione al di là dei casi previsti, dove sarebbe bastato andare da un sacerdote qualunque», riferisce ancora don Andrea Vena. «Quel segno fuori dal confessionale si è rivelato per qualcuno una sorta di «lembo del mantello» che, toccato, ha permesso di ritrovare perdono e salvezza», «oggi si dice che non ci si confessa più: testimonio che nella mia parrocchia, una località di mare, Bibione in provincia di Venezia, da un confessore che c’era tredici anni fa, oggi necessito di almeno sei confessori e durante la Perdonanza di Bibione con Porta Santa (segno del giubileo della Misericordia) occorrono almeno 8/10 confessori in parrocchia. Se le parole non bastano, spero lo si capisca coi numeri».

 

Da parte sua don Giacomo Pavanello, della diocesi di Palestrina , responsabile per la città di Roma e dell’area evangelizzazione e prevenzione per l’associazione «Nuovi orizzonti» fondata da Chiara Amirante, racconta invece: «Come missionari della misericordia, il Santo Padre ci ha concesso la facoltà di rimettere i peccati riservati alla Sede Apostolica (o, più propriamente, i «delitti riservati»). Stiamo parlando di cose molto gravi, e fortunatamente anche rare: la profanazione delle specie eucaristiche, l’assoluzione del complice nel peccato contro il VI comandamento, l’ordinazione episcopale di un vescovo senza il mandato del Papa, la violazione del sigillo sacramentale (cioè far trapelare quanto ascoltato in confessione) e infine la violenza fisica contro il Pontefice. Mi è capitato di accogliere penitenti che chiedevano il perdono a fronte di un paio di questi delitti più gravi, ma in realtà, nell’ordinario del ministero, la gravità esistenzialmente più pesante l’ho trovata in coloro che non credevano alla misericordia di Dio. Mi spiego: mi è più volte capitato di confessare uomini e donne con una radicata fede nell’esistenza di un Dio estremamente giudice, talvolta quasi giustiziere. Il Papa non solo ci ha concesso una facoltà particolare, ma poi ci ha pure chiesto di essere annunciatori del volto di Dio, il Dio di Gesù Cristo, il Dio della Misericordia! E quanto bisogno, quanta fame ho incontrato! C’è un mondo intero affamato di misericordia, un mondo che nemmeno riconosce di avere estremo bisogno di quest’amore rigenerante. Ritengo sia molto grave essere cristiani e non avere mai conosciuto nel profondo la Misericordia di Dio o preferirne la sua Giustizia, immaginata però in termini retributivi: hai fatto il bene? Allora ti premio! Hai fatto il male? Allora ti meriti una punizione!».

 

«Il Giubileo della Misericordia – prosegue Pavanello – ha fatto sì che molte donne potessero iniziare un percorso di rinascita, partendo dalle ceneri di un aborto compiuto magari vent’anni fa. Ho in mente i volti di alcune donne che, spinte dalla predicazione di Papa Francesco, hanno preso coraggio e si sono accostate al confessionale. Quante lacrime di liberazione! Davanti ad azioni così drammatiche che segnano il cuore e la mente in modo indelebile, non basta una confessione, ma certamente essa rappresenta un momento di svolta, l’inizio della rinascita, quel fare verità che rende finalmente liberi».

 

Don Giacomo sfata una menzogna: «Non è vero che concedere la facoltà a tutti i sacerdoti, anche dopo il termine del percorso giubilare, di rimettere la scomunica conseguente al peccato di aborto ha fatto sì che esso venisse percepito con minore gravità. Un giudizio del genere parte da presupposti freddi, da analisi disincarnate che non tengono conto del fatto che, vuoi o non vuoi, conscio e incoscio vengono profondamente segnati dall’intervento abortivo. Voglio dire che intervenire nel corpo di una donna in modo così invasivo, spegnendo una vita, ha conseguenze interiori che non vengono certo addolcite da una facoltà remissoria concessa a tutti i sacerdoti. Piuttosto, si allarga la schiera di persone che prendono consapevolezza del proprio dramma e se ne prendono cura, attingendo al volto materno della Chiesa e diventando quindi a loro volta testimoni di misericordia».

 

Dalla esperienza del sacerdote di «Nuovi Orizzonti» emerge la necessità tra le persone di essere perdonati ed intraprendere un sanno cammino evangelico: «Mai ci lasceremo perdonare se non compiremo con coraggio un cammino che giunga alla verità di noi stessi – sottolinea -. La «tuttologia» imperante è forse il nostro dramma più profondo, alimentando la superba presunzione di saperne sempre più degli altri, Papa compreso o, talvolta, includendo pure Dio nella lista dei nostri improbabili alunni. Viviamo in un mondo figlio della civiltà dell’immagine, in cui vince la maschera più efficiente. C’è fame di verità, di autenticità e, contemporaneamente c’è tanta paura in tal senso! Le parole più dure di Gesù sono nei confronti dei farisei, di coloro sempre pronti a vedere ciò che non va nell’altro, ma raramente giudici di se stessi. Non dovremmo dimenticarcelo: Dio odia la falsità, il doppiogiochismo, il calpestio del più debole. Per allontanarsi dal rischio di essere vittime di certo fariseismo, di cui talvolta anche i nostri ambienti cristiani sono vittime, è necessario intraprendere un cammino di verità, di sincerità, di libertà e liberazione interiore. Perché il problema non è tanto quello di essere o non essere perdonati, perché sappiamo che Dio è pronto a perdonare ogni nostra colpa, ma il reale problema è non essere pronti ad accogliere quel perdono che a larghe mani Dio diffonde, ma che, troppo spesso non può portare frutto a causa del nostro rifiuto, della nostra incapacità di fare verità profonda in noi stessi».

 

Dall’Australia arriva l’esperienza di padre Terence Kennedy, C.Ss.R., che dice: «L’Anno Santo è stato un grande evento per rendere il messaggio del Vangelo della Misericordia conosciuta nella Chiesa. Papa Francesco ha preso l’iniziativa, la predicazione sulla misericordia continuamente. Ha diretto le sue parole non solo per i laici, ma anche ai sacerdoti, incoraggiando tutti ad andare a confessarsi, e di sperimentare la misericordia di Dio nel confessionale. Ha ripetuto che il confessionale non è «una camera di tortura» o «dell’inquisizione». Egli vuole che la gente a rivelare la loro coscienza a Dio come un Padre amorevole nella sicurezza del confessionale».

 

«Qui a Roma le persone hanno notato non solo un massiccio afflusso di pellegrini, ma il fatto che c’era un grande salto nel numero di quelli che vanno a confessarsi – spiega Kennedy -. Il Papa ha anche dedicato la sua attenzione ai sacerdoti come ministri della riconciliazione nella Chiesa, in particolare il suo libro Il Nome di Dio è misericordia. In esso egli dà istruzioni abbastanza dettagliate e pratiche sulla confessione: accogliendo il penitente, ascoltando le loro lotte con la debolezza umana, e le misure concrete che possono adottare per superarli. Questo dà alle persone una nuova speranza nel loro rapporto con Dio. Non c’è peccato che non può essere perdonato, anche per il criminale incallito».

 

«Il Papa ha chiamato le persone coinvolte nella criminalità organizzata alla conversione, a cambiare la loro vita in un modo che andrà a beneficio sia per loro che per la società. Il Papa è consapevole del fatto che la misericordia di Dio ha bisogno di essere molto più facilmente presente in tutta la Chiesa. A tal fine egli ha nominato i Missionari della Misericordia in tutto il mondo, in tutti i continenti. Questi sacerdoti sono stati dati particolari facoltà di rimettere i peccati, anche quelli riservati al Papa stesso. Forse il migliore effetto di tutto questo sforzo è che ha dato ai sacerdoti un rinnovato segno di fiducia nel sacramento della Penitenza, per andare a confessarsi se stessi in modo che essi siano sempre migliori ministri di misericordia. Speriamo e preghiamo che questo sforzo potrebbe espandersi più ampiamente e continuare nel futuro».

 

Aggiunge padre Terence: «Poiché Dio ci ha incaricato di distribuire agli uomini questo necessario rimedio di vita, noi siamo divenuti anche garanti verso Dio di tutto quel grande frutto che può produrre per la salvezza delle anime un sacramento così utile; se questo frutto non è prodotto, di chi è mai la colpa, se non dei suoi miseri dispensatori? Quanto grande per sua natura potrebbe e dovrebbe essere il frutto che tale tribunale divino – tribunale più di grazia che di giustizia, ossia il sacramento della penitenza – dovrebbe dare al mondo! Voi sapete già che San Pio V diceva che, se si avessero dei buoni confessori, basterebbero essi soli a riformare il cristianesimo: «Ci si diano confessori capaci, ed ecco la piena riforma di tutti i cristiani»; dunque, quei sacerdoti che non si preoccupano di disporsi bene a questo utilissimo ministero, e che lo esercitano con negligenza e difettosamente per propria colpa, devono rendere grande conto a Dio dell’impedimento che mettono alla riforma del popolo cristiano».

 

Secondo il Missionario australiano, «devono renderne conto anche quei sacerdoti – giovani, e specialmente agiati – che non vogliono assumersi il ministero della confessione e nemmeno prepararsi ad esso con lo studio, non per un giusto timore della gravità dell’incarico e dei pericoli annessi, ma per scansarne la fatica o per altri irragionevoli pretesti. Costoro sono quei servi pigri che nascondono sottoterra il talento, ossia la potestà di rimettere i peccati che Cristo ha affidato loro nella sacra ordinazione. È vero che il semplice sacerdote non è obbligato per titolo di giustizia a confessare, se non è chiamato a questo ministero dal suo vescovo (nel qual caso deve assolutamente ubbidire), ma facilmente egli vi sarà obbligato per motivo di carità, specialmente nei piccoli luoghi dove i buoni confessori scarseggiano.

 

Conclude monsignor Fisichella: «L’esperienza dei Missionari continua, nel silenzio e nella quotidianità di tanti confessionali e Chiesa in cui, davvero in ogni parte del mondo, molti uomini e donne rispondono all’invito di Paolo «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20) affinché, una volta perdonati, possano farsi loro stessi strumenti e portatori della misericordia di Dio in ogni ambito della vita».

27 Novembre 2017 | 18:10
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