Il mio miglior nemico (le guerre dell'acqua)

di Sr Stefania Raspo

Che la vicinanza crei rivalità, a volte amore/odio, è una realtà che interessa quasi tutti gli stati in relazione con i propri vicini confinanti. C’è un bel film argentino che si chiama: «Il mio miglior nemico», che tratta dell’amicizia nata tra soldati argentini e cileni, sperduti nelle pampas del sud, dove il vento e il freddo fanno da padroni, alla vigilia di un conflitto armato tra i due paesi. Sarà allora una caratteristica del Cile essere considerato il miglior nemico, perché anche con la Bolivia sussiste una relazione di vicinanza/amicizia e inimicizia allo stesso tempo: infatti, molti boliviani si recano in Cile per trovare lavoro. Il contrabbando – soprattutto di auto – vede i due Stati conniventi, ma se c’è un tema che rende tutti nemici, nel gioco del «tutti contro tutti», è la questione dell’acqua. Il Cile ruba il mare a Bolivia (vedi post sul «giorno del mare»), e il Cile, ancora, ruba acqua, questa volta la preziosa acqua dolce, alla Bolivia.
La questione del mare è qualcosa legato agli affari e commerci: senza lo sbocco al mare, la Bolivia si vede costretta a pagare i dazi doganali al vicino Cile per esportare via oceano Pacifico i minerali del suo ricco sottosuolo.
Ma il problema dell’acqua dolce è una questione di vita o di morte, soprattutto in questi anni in cui la siccità flagella il paese. Tutto porta a vedere Cile come il miglior nemico attuale della Bolivia!

Attraversando un fiume… secco…

Il fatto dell’acqua dolce è nato un po’ di anni fa, quando amministrazioni dubbiose, per non dire corrotte, permettono al Cile di incanalare le acque di un fiume in territorio boliviano per il proprio fabbisogno idrico. Ora la Bolivia rivuole indietro le acque dolce del fiume, ma le cose si mettono male: a certe mosse imprudenti è difficile rimediare. Il bombardamento mediatico è costante sul tema. Chi ha ragione? Certamente hanno torto i politici che hanno svenduto – magari a suon di tangenti – la preziosa acqua.
Ma oggigiorno non si può più parlare solamente di guerra dell’acqua, bensì di guerre dell’acqua: per grandi o piccole che siano, si tratta di un sistema sempre più complicato di conflitti che interessano province, comuni, singole comunità o famiglie. Il caso di Vilacaya è emblematico, nel suo piccolo: da quando siamo arrivate, nel 2013, si stanno facendo studi per aumentare la quantità di acqua per il paesino. Trovano una sorgente, ma sfortunatamente per pochi metri (o centrimetri) appartiene a un’altra comunità che, immediatamente, manda una lettera minatoria alle autorità originarie: «Che si provino a toccare quell’acqua e ne vedranno le conseguenze…»
Quest’anno è successa la stessa cosa, questa volta con una comunità vicina e sorella, come quella di Vilacaya, che a sua volta si è rifiutata di cedere l’acqua nel suo territorio (anche qui per pochi centimetri!) per paura di perdere il prezioso liquido, che è vita per persone, animali e campi.
Intanto, la radio dice che, verso Oruro, molti lama stanno morendo per mancanza di acqua. Notizie sempre più tristi, per un territorio che – secondo gli esperti – carica sulle sue spalle le maggiori conseguenze del cambio climatico. Mi dà tristezza e oppressione: vedo i nostri contadini, sempre più impotenti davanti all’imprevedibilità e inclemenza del tempo, e li immagino caricando su di sé i peccati contro la Madre Terra, gli errori e insensibilità delle nazioni e dei singoli individui, gli interessi economici che non prendono in considerazione le conseguenze nel futuro più o meno prossimo. Tutto questo carica sulla sua schiena Luis, e anche Eloy, e tutti i poveri (impoveriti) contadini dell’Altipiano.
http://missioneintuttiisensi.blogspot.it/

16 Dicembre 2016 | 12:02
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chiesa (578)
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