Il Papa durante la visita a Lesbo nel 2016.
Commento

Messaggio natalizio del patriarca ecumenico Bartolomeo. L’uomo non impara dalla storia

Ancora una volta, le parole «Cristo è nato» risuonano «in un mondo pieno di violenza, di pericoloso conflitto, di disuguaglianze sociali e disprezzo dei diritti umani fondamentali»: lo scrive il patriarca ecumenico Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, nel suo messaggio natalizio. Il patriarca ricorda che il 2018 «segna il settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani che, dopo la terribile esperienza e distruzione della seconda guerra mondiale, manifestò gli ideali comuni e nobili che tutti i popoli e tutti i paesi devono rispettare con fermezza». Tuttavia, sottolinea, «il disprezzo verso questa dichiarazione continua, mentre vari abusi ed errate interpretazioni dei diritti umani minano il loro rispetto e la loro realizzazione».
«Continuiamo a non imparare dalla storia o a non voler imparare», afferma Bartolomeo, secondo il quale «né la tragica esperienza della violenza e di degrado della persona umana, né la proclamazione di nobili ideali hanno impedito il protrarsi dell’aggressione e della guerra, dell’esaltazione del potere e dello sfruttamento reciproco». E neppure «il dominio della tecnologia, le straordinarie conquiste della scienza e il progresso economico» hanno portato giustizia sociale e pace, così tanto desiderate. Invece, ai nostri giorni, «l’indulgenza verso i ricchi è aumentata e la globalizzazione sta distruggendo le condizioni di coesione sociale e armonia».
La Chiesa non può ignorare queste minacce contro la persona umana: «Non c’è nulla di più sacro di un essere umano, di cui Dio stesso ha condiviso la natura. Lottiamo per la dignità umana, per la protezione della libertà e della giustizia umane, ben sapendo che la vera pace viene da Dio».
Nella Chiesa — ha detto il primate ortodosso — «sperimentiamo la libertà attraverso Cristo, in Cristo e con Cristo. La libertà in Cristo è sempre orientata verso il prossimo, verso l’altro, afferma sempre la verità nell’amore. Questa verità è la pietra angolare e la garanzia per il futuro dell’umanità. Quando ci basiamo su questo ethos siamo in grado di affrontare le grandi sfide del nostro mondo, che minacciano non solo il nostro benessere ma la nostra stessa sopravvivenza».
E del contributo «cruciale» delle religioni alla protezione dell’ambiente, alla cultura della solidarietà, al dialogo e alla pace Bartolomeo ha parlato in occasione del conferimento della laurea honoris causa dall’Università ebraica di Gerusalemme. «Il nostro più grande errore — ha detto nella sua lectio magistralis — non è il fatto di aspettarci così tanto dalla religione, piuttosto di non aspettarci ancora di più da questo grande potere spirituale, profondamente radicato nell’anima umana, su questioni riguardanti la pace, la solidarietà, il significato della vita e la destinazione eterna dell’uomo e del creato. Non possiamo comprendere e valutare correttamente le culture umane nella loro unità e diversità senza fare riferimento alle radici religiose», ha osservato il patriarca. Purtroppo, «l’esplosione del fondamentalismo e i terribili atti di violenza in nome della religione forniscono argomenti contro la fede e supportano l’identificazione della religione con i suoi aspetti negativi. La verità è che la violenza è la negazione delle fedi e delle dottrine religiose fondamentali».
Bartolomeo, ricordando i quarant’anni di dialogo fra il patriarcato ecumenico e l’International Jewish Committee on Interreligious Consultations, ha poi sottolineato che, per secoli in passato, «la regione mediterranea ha visto una convivenza pacifica di ebrei, cristiani e musulmani. Questa esperienza dimostra che persone di diverse religioni possono vivere insieme, trovando principi di base nelle rispettive tradizioni che promuovono la solidarietà e la testimonianza comune. Dimostra — ha insistito — che le religioni possono servire da ponte tra le persone, come strumenti di pace, tolleranza e comprensione, così come per il riavvicinamento delle culture».
Il dialogo interreligioso quindi «non significa negare la propria fede, ma piuttosto cambiare la propria mente o il proprio atteggiamento nei confronti dell’altro. In tal senso, può anche guarire e disperdere i pregiudizi e contribuire alla comprensione reciproca e alla risoluzione pacifica dei conflitti. I pregiudizi e l’aggressività derivano dal travisamento della religione. Questo è il motivo per cui il dialogo interreligioso può scacciare paura e sospetto e promuovere uno spirito di fiducia».
Per l’arcivescovo di Costantinopoli, la credibilità delle religioni oggi dipende fortemente dal loro atteggiamento verso la protezione della libertà e della dignità umana: «Questo è il presupposto non solo per la pacifica convivenza, ma anche per la pura sopravvivenza dell’umanità. Solo insieme possiamo affrontare le sfide contemporanee. Nessuno — non una nazione, non uno stato, non una religione, né una scienza — può affrontare da solo i problemi attuali. È utopistico credere che una cultura della solidarietà possa essere stabilita attraverso la globalizzazione, il progresso economico, internet o anche attraverso l’ammirevole progresso della tecnologia. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro; abbiamo bisogno di mobilitazione comune, sforzi comuni, obiettivi comuni e uno spirito comune. Pertanto, consideriamo l’attuale, complessa crisi un’opportunità per praticare la solidarietà, il dialogo, la cooperazione, l’apertura, la fiducia. Poiché condividiamo un futuro comune, la strada verso questo futuro è un viaggio comune».
L’Osservatore Romano, 20-21 dicembre 2017.

Il Papa durante la visita a Lesbo nel 2016.
21 Dicembre 2017 | 12:20
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