Fonte: VaticanInsider
Internazionale

Maya Terro e le speranze dell’altro Libano, quello dei giovani

Originaria dello Chouf, Maya Terro dopo aver partecipato con successo al Master MESCI (master in Development Economics and International Cooperation) dell’Università di Roma Tor Vergata è rientrata per mettersi a disposizione dei tanti problemi del suo paese tra quelle colline rase come schiene d’asino che sovrastano Beirut con la loro memoria di conflitti confessionali e che scendono a valle verso il Mediterraneo, incuneandosi tra Beirut e Sidone.

 

Dalla sua Barja Maya osserva con partecipazione le convulsioni del suo Libano, stretto tra le montagne del Monte Libano e i campi profughi – un tempo dei palestinesi e ora dei siriani: solo i rifugiati siriani in Libano sono un milione e mezzo, una comunità più numerosa di qualsiasi comunità libanese ma priva di tutto, anche di tende o accampamenti: i siriani vivono così, nei campi di patate del poverissimo nord del Paese, l’Aqqar, o tra gli ulivi della Beqaa, senza neanche la speranza di poter un giorno tornare nella loro Siria, distrutta da una guerra feroce, tribale, interminabile.

 

Maya, 31 anni, è tra i fondatori di FoodBlessed , iniziativa per il recupero del cibo sprecato, che viene preparato in pacchetti e distribuito a chi ne ha bisogno. In Libano circa il 30% del cibo viene gettato (il 65% di questo è composto da frutta e vegetali) mentre il 29% della popolazione libanese vive al di sotto della soglia di povertà. A questa situazione già difficile si aggiunge il dramma dei rifugiati siriani scappati dalla guerra. Con l’aiuto dei volontari, FoodBlessed intercetta questa vasta area di bisognosi e li aiuta.

 

«Il problema fondamentale oggi è costituito dai profughi siriani, certamente», spiega la ragazza, «un abitante su cinque è un rifugiato privo di strumenti di sopravvivenza e tutto questo è aggravato dalla carenza di infrastrutture, una carenza antica nel nostro piccolo ma complesso Paese. Questo complica non poco l’emergenza, ad esempio è uno dei motivi per cui i rifugiati siriani qui non possono essere inseriti in contesti urbani, come accade ad esempio in Turchia. Va poi considerato che la storia recente acuisce i problemi, alimentando timori che deriverebbero dall’ipotetico insediamento dei rifugiati».

 

L’altro terminale delle problematicità e tensioni libanesi è certamente Hezbollah, il partito di Dio tanto sciita quanto khomeinista, l’unico rimasto in armi dai tempi della guerra civile. «Hezbollah – racconta Maya – ritiene di aver servito il Libano difendo i nostri confini meridionali. Ognuno ha gli strumenti per valutare il passato, ma personalmente non credo che l’approccio settario di Hezbollah possa aiutare il Libano: non abbiamo bisogno di settarismo, siamo tutti libanesi e dobbiamo imparare a vivere insieme. Abbiamo bisogno di un approccio non settario anche in materia di sicurezza: abbiamo un esercito nazionale e quello – come esercito nazionale – deve difendere i nostri confini che sono confini nazionali».

 

«Volendo cercare una soluzione possibile a un punto così delicato e sensibile – spiega la giovane donna – io credo che Hezbollah potrebbe dare il suo contributo al bene comune entrando nell’esercito nazionale libanese, facendone parte e quindi rispondendo ai suoi alti comandi».

 

Venendo ai cristiani del Libano e al loro ruolo nella società libanese anche su questo Maya, che alle ultime elezioni si è candidata al Parlamento, dimostra di avere le idee chiare. «Quello che divide i libanesi è la politica, cioè la carenza di lavoro, la mancanza di corrente elettrica, l’incapacità di raccogliere l’immondizia nelle grande città; questi sono i problemi che dividono la popolazione e ai quali occorre trovare una soluzione, per tutti. È la mancanza di stabilità che rende tutto questo una continua emergenza».

 

L’esempio di Maya dimostra come l’Italia formi molti studenti in grado poi di assumere responsabilità nei rispettivi Paesi. «Formarli da noi per aiutarli a casa loro – spiega a Vatican Insider il professor Leonardo Becchetti – creando legami importanti tra il nostro Paese e il loro Paese d’origine. Con i due corsi che dirigo a Tor Vergata, la laurea biennale European Economy and Business Law e il master MESCI di cooperazione e sviluppo ogni anno più di 100 studenti stranieri qualificati vengono a studiare in Italia, s’innamorano del nostro Paese e tornano per realizzare il proprio progetto di vita nel loro».

 

«I nostri corsi in lingua inglese – conclude il professore – sono un’opportunità importantissima per creare legami internazionali e fornire a nostri studenti italiani e a studenti stranieri un passaporto per creare valore ed essere generativi in tutto il mondo».

Riccardo Cristiano – VaticanInsider

Fonte: VaticanInsider
15 Maggio 2018 | 13:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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