L’Istituto ecumenico di Tantur in Cisgiordania. Segno di riconciliazione e di speranza

La primavera è il periodo migliore per visitare l’Istituto ecumenico di Tantur, situato su un colle tra Gerusalemme e Betlemme in Cisgiordania. Il clima è caldo, ma non troppo, e il paesaggio collinare è un profluvio di mandorli e limoni che stanno maturando, in mezzo ad antichi alberi d’ulivo, albicocchi e mele cotogne.

La parola tantur in arabo significa «cima della montagna», e l’ubicazione geografica di questa istituzione unica illustra chiaramente la sua missione di luogo d’incontro tra cristiani, musulmani ed ebrei. Dalla sommità di un tetto piatto si può guardare verso la cittadina della nascita di Gesù a sud e verso la città della sua passione e resurrezione a nord.

A est e a ovest ci sono due insediamenti ebraici, Har Homa e Gilo, e si vede la brutta barriera divisoria che serpeggia come una gigantesca cicatrice in mezzo al paesaggio. Prima che nel 2005 gli israeliani erigessero il muro di cemento e filo spinato, molti abitanti di Betlemme, per recarsi al lavoro a Gerusalemme, tagliavano attraverso le terre dell’istituto di Tantur per evitare i checkpoint sulla strada principale di Hebron.

Esattamente cinquant’anni fa, nella primavera del 1967, la Santa Sede acquistò il terreno appartenente ai Cavalieri di Malta, in un territorio sotto sovranità giordana. Era stato Paolo VI, durante la sua storica visita a Gerusalemme tre anni prima, ad auspicare la creazione di un istituto ecumenico di studi teologici, al fine di costruire ancora partendo dal riavvicinamento iniziato con il suo incontro con il patriarca Atenagora e il capo della Chiesa ortodossa locale, il patriarca Benedictos.

Al Segretariato per l’unione dei cristiani, istituito da pochi anni sotto la guida del cardinale Agostino Bea, fu affidato il compito di riunire un gruppo internazionale ed ecumenico di studiosi, e monsignor Charles Moeller dell’università di Lovanio, peritus durante il concilio Vaticano II, fu scelto come primo rettore dell’istituto. La gestione dell’istituto fu affidata a un religioso statunitense della Santa Croce, Theodore Hesburgh, rettore dell’università di Notre-Dame.

La Guerra dei sei giorni nel giugno 1967 fece sì che il territorio passasse dal controllo giordano a quello israeliano, il che comportò complesse trattative per i progetti e i permessi edilizi, ma alla fine, dopo interminabili ritardi, l’istituto di Tantur aprì le sue porte nel settembre 1972.

Nei primi cinquant’anni di questo istituto, sono stati molti i grandi studiosi teologici e biblici della tradizione cattolica, ortodossa, anglicana e protestante che hanno varcato le sue porte, condividendo una routine fatta di studio, preghiera e vita comune. Nei corsi, della durata di un semestre, e nelle lezioni pubbliche mensili, hanno riflettuto insieme su questioni che per secoli erano state fonte di divisione tra le Chiese, ma anche su questioni attuali che stavano appena iniziando a emergere, come il ruolo della donna o i problemi ambientali.

Nel primo decennio, furono i monaci benedettini di Montserrat in Catalogna a fornire il personale alla biblioteca, che possiede la raccolta di patristica più ricca del Medio oriente. Era prevista una presenza monastica permanente, ma l’auspicata adesione di monaci della tradizione ortodossa e anglicana non si concretizzò.

Negli anni Ottanta dello scorso secolo, il Tantur ha sviluppato anche programmi educativi e sabbatici, consentendo a sacerdoti, pastori, religiosi e laici di tutto il mondo e di molte tradizioni cristiane diverse di visitare la Terra Santa, imparando qualcosa della sua complessa storia e dei conflitti attuali. Nella sala da pranzo, nelle aule, in giardino e in cappella sono nate molte amicizie durature, che travalicano confini di denominazione ed esperienze di fede molto diverse.

Questa primavera la Santa Sede ha rinnovato il contratto di locazione con l’università Notre-Dame, affidando all’istituto il compito di sviluppare e ampliare quella prima visione ecumenica. Il Tantur ora fa parte della rete Global Gateways di tale università, insieme ad altri istituti che gestisce a Roma, Londra, Dublino e Pechino.

Sebbene siano numerose le sfide che il Tantur deve affrontare, l’attuale preside del dipartimento di teologia di Notre-Dame, Matthew Ashley, sostiene che riunire studiosi «quasi a portata di vista della Città Vecchia di Gerusalemme, nella culla del cristianesimo» continua ad avere un notevole impatto. Le due sfide principali da lui identificate sono, anzitutto, «in che modo possiamo mettere in contatto e dare energia agli studiosi ecumenici davvero grandi che continuano a lavorare oggi» e, in secondo luogo, «come possiamo trovare la prossima generazione di esperti ecumenici, che possano seguire le loro orme».

Per tutto il tempo dell’intifada il Tantur è stato costretto a sospendere i suoi programmi universitari, che offrono agli studenti l’opportunità di imparare qualcosa di più sulla loro fede nella terra in cui ha vissuto Gesù. Queste esperienze, osserva il professor Ashley, sono quasi sempre «eventi che cambiano la vita», e attualmente Notre-Dame sta creando un programma di borse di studio per il dottorato e post-dottorato. Lo scopo — afferma — è di aiutare gli studenti a prendere coscienza del fatto che «in qualunque ambito stiano lavorando, l’ecumenismo deve essere uno degli orizzonti su cui riflettere». Un altro collega di Notre-Dame, il padre gesuita Brian Daley, che ha partecipato da vicino ai dialoghi tra cattolici e ortodossi, è stato nominato Senior Fellow al Tantur, per intensificare il coinvolgimento di studiosi di tutto il mondo.

Anche il dialogo interconfessionale continua a svolgere un ruolo vitale nel programma che il Tantur propone ai visitatori locali e internazionali. Durante le regolari lezioni pubbliche del martedì, insegnanti e studiosi ebrei e musulmani vengono per condividere e mettere a confronto intuizioni delle loro diverse tradizioni confessionali. Una di essi, la dottoressa Marcie Lenk, che insegna cristianesimo all’Istituto Shalom Hartman di Gerusalemme, afferma che il Tantur «prende molto sul serio la sua vocazione spirituale», rimanendo profondamente rispettoso di tutte e tre le fedi, mentre esorta i partecipanti «a esaminare i loro reciproci pregiudizi». Lenk, studiosa di patristica che insegna anche giudaismo all’università Salesiana di Gerusalemme, partecipa a una nuova iniziativa del Tantur, che esamina la storia e il ruolo delle donne nelle tre tradizioni di fede abramitiche.

Nel periodo del Pesach e della Pasqua, le autorità israeliane aumentano il numero di permessi rilasciati a chi risiede in Cisgiordania e vuole visitare familiari o siti religiosi a Gerusalemme. Tuttavia è sempre difficile per i palestinesi — sia cristiani sia musulmani — varcare il muro divisorio e viaggiare liberamente nel loro paese. Il Tantur continua a considerare come sua missione quella di costruire pazientemente dei ponti per avvicinare le persone di queste comunità profondamente segregate. L’attuale rettore, padre Russ McDougall della Santa Croce, spiega che sono molto pochi i luoghi dove sia i palestinesi sia gli israeliani «considerano sicuro riunirsi per dialogare, e il Tantur è uno di questi». Osserva che molti gruppi interconfessionali locali — Kids4Peace, Seeds for Peace, Combatants for Peace — lo utilizzano come spazio per allacciare nuove amicizie e promuovere la comprensione delle diverse fedi.

Guardando agli antichi uliveti che ricoprono il fianco della collina, è facile ricordare i conflitti che imperversano in questo paese sin dai giorni in cui Gesù camminava, pregava e cercava ombra sotto i rami di quegli alberi. Oggi il Tantur si sta imbarcando in un progetto per la tutela di alcune specie di piante locali in pericolo, tra cui il pistacchio, il mirto e gli albicocchi selvatici. Nel suo tranquillo giardino, tra lo zampillio delle fontane e i raggi del sole che illuminano l’icona di Cristo nella sua nicchia in pietra bianca, i visitatori e le famiglie locali passeggiano e parlano, condividendo racconti.

Sebbene dietro alle sue mura il paesaggio politico continui a essere tetro, l’istituto continua a essere un segno di riconciliazione e di speranza, rimanendo fedele alla sua idea originale di oasi di ospitalità, apprendimento e vita in comunità in cima a un monte.

(Osservatore Romano)

11 Maggio 2017 | 07:15
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