Campo profughi in Libano (foto di archivio).
Internazionale

Libano: tra crisi economica e pandemia, un Paese in ginocchio

Sono giorni difficili quelli che sta vivendo il Libano già vittima di una gravissima crisi economica e adesso alle prese con la pandemia del Covid-19. La tensione sociale è enorme ed è sfociata in numerose manifestazioni di piazza.

Il tasso di povertà nella popolazione ha raggiunto livelli mai conosciuti nel Paese dei Cedri. Subito dopo i primi casi, il governo libanese ha assunto misure restrittive disponendo la chiusura completa di tutte le attività, pubbliche e private a eccezione di quelle essenziali, applicando il coprifuoco serale (dalle 19 alle 5 di mattina) e consentendo la circolazione dei mezzi solo a targhe alterne nei giorni feriali.

Il 4 maggio il Paese ha visto l’avvio della Fase 2, in 5 tappe fino all’8 giugno, che prevede un alleggerimento delle misure contro il Coronavirus. Dopo settimane di chiusura e sospensione delle celebrazioni per arginare la pandemia di nuovo coronavirus, il ministro libanese degli Interni Mohammed Fahmi ha disposto la parziale riapertura di chiese e moschee. I luoghi di culto cristiani e musulmani potranno accogliere fedeli «al 30% della loro massima capacità» in occasione della preghiera del venerdì e delle messe della domenica. 

Il Libano ha disposto il lockdown il 21 febbraio scorso. Ad oggi si registrano 741 casi confermati di nuovo coronavirus e un totale di 25 morti. Intanto il Primo Ministro Hassan Diab ha lanciato un appello alla nazione e ai suoi cittadini, perché mettano da parte differenze e divisioni perché il Paese possa superare una crisi economica e finanziaria che non ha precedenti. Il piano di risanamento elaborato dall’esecutivo, che ha ricevuto il sostegno della Chiesa, non è un testo sacro e possono essere apportate modifiche e migliorie. 

«Con il Coronavirus preoccupa tantissimo anche la crisi economica che ne sta seguendo e che va ad aggravare quella già da tempo in atto», come afferma padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano, intervistato dal Sir (leggi qui l’intervista completa). Il Paese – dopo mesi di proteste popolari per chiedere la rimozione della classe politica corrotta e riforme per risollevare l’economia – è molto provato e il 7 marzo scorso il Governo ha dichiarato il default.

Proteste anche violente hanno acceso diverse città del Libano; molte banche sono state attaccate e danneggiate in seguito al blocco di conti e trasferimenti di denaro. Lo scorso 1 maggio il Governo guidato dal Primo Ministro, Hassane Diab, ha inoltrato richiesta di aiuto al Fondo monetario internazionale (Fmi), dopo aver approvato un piano di risanamento che vale prestiti per 10 miliardi di dollari, che vanno ad aggiungersi agli 11 già decisi alla Conferenza dei Paesi donatori tenutasi a Parigi nel 2018.

«Siamo ormai alla soglia di povertà» annuncia il presidente di Caritas Libano. La lira libanese locale si è deprezzata del 63% sul mercato informale, erodendo così il potere d’acquisto delle persone. «La svalutazione non consente nemmeno a chi ancora lavora di poter comprare il necessario. Coloro che avevano due risparmi da parte li hanno già finiti per sfamare i propri congiunti». Ma se c’è chi si attiene alle disposizioni del Governo c’è anche chi, soprattutto nelle zone più povere, contravviene alle regole e ai blocchi e cerca di continuare a lavorare.

«Come Caritas – spiega padre Abboud – stiamo seguendo circa 20mila famiglie, ma sarebbero molte di più quelle che hanno bisogno di aiuto materiale e medico. Lo sforzo di adesso è di portare loro il sostegno necessario».

«Non è ammissibile vedere piangere i bambini perché hanno fame. Ci arrivano tantissime richieste di aiuto ogni giorno. Serve per questo un coordinamento di tutti gli aiuti per non disperdere risorse e tempo».

Agenzie/redazione

Campo profughi in Libano (foto di archivio).
7 Maggio 2020 | 11:34
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