Commento

L’evangelizzazione secondo l’esortazione apostolica «Evangelii gaudium». Nuova universalità

Gesù invia i suoi discepoli a predicare il Vangelo a ogni creatura e la nuova evangelizzazione non poteva non far sua questa esigenza di universalità. Una novità dell’esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium è di proporre l’universalità in modo convinto, come esigenza centrale del Vangelo realizzabile nell’oggi del nostro tempo. «Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno». E fin dall’inizio si dichiara che questa è una proposta programmatica, che intende «indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni» (n. 1).

Si può ritenere realizzabile questa universalità solo mobilitando tutto il popolo di Dio e inviandolo a tutta l’umanità, ma si tratta di un popolo cristiano che per primo è bisognoso di rinnovamento ed è alla ricerca della propria unità come contributo alla pace e fraternità universale. La nuova evangelizzazione mette al primo posto, più che le verità di fede, la fede vissuta e invita poi a condividere nelle relazioni quotidiane questa esperienza dell’amore di Dio e del suo perdono insieme alla riconciliazione fraterna e al servizio dei poveri. Questa proposta di nuova evangelizzazione è anche l’invito a una nuova universalità. Senza dubbio la fede vissuta è più importante delle parole, anche di quelle scritte, e vorrei sottolinearlo. Ma anche lo scritto può contribuire a vivere più intensamente la pratica stessa.

L’invito a uscire verso le periferie del mondo è rivolto direttamente all’intero «popolo di Dio». La dignità di ciascun cristiano è così messa al primo posto e valorizzata come più importante dei diversi ministeri ecclesiali gerarchicamente ordinati. «Ciascuno» ha la sua testimonianza di fede da offrire, se rinnova la propria vita cristiana. E con l’impegno di ciascuno e di tutti si può pensare di arrivare veramente a «ogni essere umano», senza escludere o dimenticare nessuno, spingendosi fino ai confini geografici e ai margini esistenziali dell’umanità. La nuova evangelizzazione è per tutti, in senso attivo e passivo, ma l’attenzione principale è per «coloro che stanno lontani da Cristo» (n. 15), ribadendo così l’aspirazione all’universalità. Una prima caratteristica degna di nota è il volersi rivolgere simultaneamente a tutti gli uomini, i più vicini e i più lontani, tenendo conto che nel nostro mondo globalizzato ciò che si dice nel segreto rischia effettivamente di essere subito divulgato dai tetti.

Ma è soprattutto per i suoi contenuti e per il suo stile comunicativo che la nuova evangelizzazione vuole coinvolgere anche i cristiani più lontani e arrivare ai più lontani dal cristianesimo, con un messaggio comprensibile e accettabile a tutto il nostro mondo plurale. Questo obiettivo non è proposto cercando una piattaforma minimale sulla quale tutti possano concordare e convergere, ma attraverso una intensificazione della fedeltà al Vangelo: «Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario» (n. 35). Questo è un secondo carattere saliente della nuova universalità.

Il messaggio proposto a tutti come centro del Vangelo è espresso parafrasando il duplice comandamento: «Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da se stessi per cercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna circostanza» (n. 39). L’annuncio non può perdersi in questioni secondarie, ma deve portare al cuore del Vangelo. E questo deve avvenire a proposito di ogni argomento, dando «importanza prioritaria» all’essenziale, che deve sempre essere messo in evidenza e non può mai essere sottinteso. Ciò conferisce una nuova intensità al messaggio: i molti insegnamenti e precetti devono essere illuminati e vivificati come concretizzazioni dell’amore che viene da Dio.

Siamo nella tradizione della Chiesa, che è sempre alla ricerca di fedeltà al Vangelo. Sotto questo aspetto niente di nuovo, ma con delle accentuazioni e delle priorità che possono fare la differenza, a cominciare dalle prime parole dell’esortazione apostolica che invitano a una nuova modalità di annuncio. Il Vangelo testimoniato da tutti i cristiani a tutti gli uomini è un annuncio di gioia, è una bella notizia per ciascuno e per tutti: non c’è situazione o persona che sia esclusa da questa offerta di amore e di speranza che porta la gioia. Quando il Vangelo è annunciato con amore nasce la gioia, un sentimento che accompagna l’esperienza di essere amati e infonde un senso di vitalità e di elevazione. La gioia è una caratteristica personale di Papa Francesco, in piena consonanza con la convinzione già affermata da Benedetto XVI che «la Chiesa non cresce per proselitismo ma «per attrazione»» (n. 14 e nota 13).

Il proselitismo mette al primo posto le verità della religione ma è percepito oggi come aggressivo, senza rispetto per la dignità delle persone e per i valori delle diverse culture e religioni. Difficilmente può comunicare un atteggiamento di amore. È come dire agli altri in anticipo che la verità sta tutta e solo dalla nostra parte e che loro hanno solo da imparare. Questa pretesa suscita l’accusa di arroganza e il rifiuto. La testimonianza gioiosa mette invece al primo posto il rispetto amorevole verso le altre persone. Se il desiderio di universalità ha per tutti una parola di amore, esso deve anche essere comunicato con amore a ogni persona: la testimonianza e la predicazione cristiana deve essere «rispettosa e gentile» (n. 128) verso tutte le persone e le culture. Anche questo è importante per l’universalità: se c’è qualcosa che favorisce l’accoglienza generale di un messaggio è l’atteggiamento di benevolenza e amore.

Anche l’umiltà favorisce la fedeltà al Vangelo e la sua accoglienza. Fin dall’inizio c’è stato un aspetto chiaro nei discorsi confusi sulla nuova evangelizzazione: essa comincia da se stessi e riguarda ciascuno di noi. La volontà di rinnovamento della Chiesa comincia da un riconoscimento franco delle proprie infedeltà al Vangelo: questa caratteristica è particolarmente necessaria in un momento in cui certi scandali oscurano la credibilità della Chiesa, in un mondo molto severo nei confronti di chi si presenta come portatore di verità e maestro di vita. Dato che il Vangelo di Gesù non coincide con i nostri comportamenti quotidiani, noi per primi dobbiamo riconoscerci bisognosi di conversione perché la verità del Vangelo non venga oscurata e ostacolata nella sua destinazione universale.

L’esortazione apostolica si rivolge al mondo intero con un atteggiamento di stima e di speranza. Il Papa riconosce le nuove conquiste e opportunità della globalizzazione, anche se denuncia apertamente i mali dell’individualismo imperante, soprattutto il «dominio del denaro» (n. 56) e l’»esclusione» delle persone dal lavoro «sociale», che minacciano la pace generando ribellione e violenza (n. 59). Questa aperta denuncia non avviene puntando il dito contro gli altri, ma piuttosto riconoscendo che questa mondanità ha intaccato anche le comunità cristiane ed è una tra le fonti principali delle «tentazioni degli operatori pastorali». Senza dimenticare il grande servizio che la Chiesa offre al mondo (n. 76), l’esortazione riconosce che, «come figli di quest’epoca, tutti siamo in qualche modo sotto l’influsso della cultura attuale globalizzata, che pur presentandoci valori e nuove possibilità, può anche limitarci, condizionarci e persino farci ammalare» (n. 77).

L’esortazione si ferma a lungo e senza reticenze sulle molte tentazioni e malattie che affliggono gli operatori pastorali: «il grigio pragmatismo della vita quotidiana» (n. 83), che ha dimenticato la gioia del Vangelo, fino a cadere talvolta in un pessimismo sterile e in una pigrizia rassegnata. Ma c’è anche la «mondanità spirituale» (n. 93), che si insinua tra le celebrazioni di liturgie perfette e una sovrabbondanza di attività vuote di vera spiritualità e di disponibilità verso gli altri. L’invito al rinnovamento comincia da una denuncia senza mezzi termini delle controtestimonianze nella vita della Chiesa: chiusure individualistiche, inerzie legate a una tradizione senza presa sulla realtà, divisioni che penetrano perfino nelle comunità consacrate. Si può instaurare un relativismo pratico, più pericoloso del relativismo dottrinale: «Questo relativismo pratico consiste nell’agire come se Dio non esistesse, decidere come se i poveri non esistessero, sognare come se gli altri non esistessero, lavorare come se quanti non hanno ricevuto il Vangelo non esistessero» (n. 80).

Questi forti richiami, che vogliono scuotere e mobilitare tutti i cristiani, non sono una predica moralistica ma un’esortazione evangelica, che invita a spostare la fiducia sul Signore risorto e a riporla nella forza dello Spirito santo che è all’opera non solo nella Chiesa, ma nel mondo stesso. Essi ispirano il sogno di una Chiesa dalle porte aperte, accogliente verso tutti fino a rinnovare anche la propria vita sacramentale, così che nessuno possa rimanere escluso dalla grazia e misericordia di Dio: «Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi» (n. 47). Riconoscere le proprie infedeltà, da parte di ogni cristiano e della Chiesa, è un modo fondamentale di dare gloria a Dio, di proclamare che Dio solo è amore infinito.

 

(Gian Luigi Brena/L’Osservatore Romano)

4 Gennaio 2017 | 18:00
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