Letture evangeliche verso la Pasqua – Seconda Domenica di Quaresima

a cura di Ernesto Borghi, coordinatore della Formazione Biblica nella Diocesi di Lugano

Marco 9,2-13[1] (rito romano – commento di Eric Noffke[2])

2E, dopo sei giorni, Gesù prende con sé Pietro e Giacomo e Giovanni e li conduce in alto, sopra un monte alto, in un luogo appartato, soli. E fu trasfigurato davanti a loro. 3E le sue vesti divennero splendenti, bianchissime, come nessun lavandaio sulla terra può renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè, ed erano a parlare con Gesù. 5E Pietro, reagendo, dice a Gesù: «Maestro, è bello che noi siamo qui, e facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!».6Non sapeva infatti che cosa rispondere, poiché erano diventati pieni di paura. 7E venne una nube che li ricoprì d’ombra, e venne una voce dalla nube: «Questi è mio Figlio, l’amato, ascoltatelo!». 8E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. 9E, mentre scendevano dal monte, raccomandò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. 10Ed essi tennero salda (questa) parola, continuando a domandarsi, tra di loro, che cosa è il «risorgere dai morti». 11E lo interrogavano dicendo: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». 12Egli dichiarò loro: «Elia, venendo prima, ristabilisce ogni cosa. E come mai sta scritto – a proposito del Figlio dell’uomo – che soffrirà molto e sarà disprezzato. 13Ma vi dico che Elia è già venuto e gli hanno fatto quello che volevano, proprio come sta scritto a proposito di lui».

Nei vv. 2-13 troviamo il celebre racconto della trasfigurazione, un soggetto molto popolare nell’arte religiosa di tutti i tempi. Si tratta di un brano decisamente misterioso da tanti punti di vista: questa manifestazione di gloria divina stona in un vangelo che ama presentarci un Gesù decisamente umano. Nel corso della narrazione esso si presenta come un fatto decisamente inaspettato e sorprendente; letterariamente non ha paralleli precisi nella Bibbia e neppure nella letteratura mediogiudaica.

Il brano si divide a sua volta in due diverse sezioni: i vv. 2-8 riportano la visione; i vv. 9-13 un dialogo tra Gesù e i tre discepoli, che offre alcuni spunti di riflessione sulla visione. È importante notare che Pietro, Giacomo e Giovanni, che seguono Gesù sul monte, sono pure quelli che nel corso del vangelo secondo Marco ricevono delle rivelazioni speciali (cfr. Mc 5,37; 13,3; 14,33).

vv. 2-8: Il lettore di questo testo ha l’impressione che il brano costituisca la risposta di Dio alla parola sulla necessità che il figlio dell’Uomo debba morire, formulata poco sopra, in Mc 8,31. Colui che salirà sulla croce non è un essere umano comune, ma il Figlio di Dio glorificato. I paralleli interni a Marco ci rimandano immediatamente all’episodio del battesimo, dove immagini apocalittiche, per dare vita ad un quadro originale con il quale affermare che a Gesù viene anticipato già ora quel che perlopiù viene promesso ai credenti alla fine dei tempi. Per dirla con L. Williamson (Marco, tr. it., Claudiana, Torino 2004, p. 211): Essa comunica attraverso modalitaà visive e uditive una fugace percezione dello splendore eterno, una consapevolezza allusiva della divina presenza.

La visione è soprattutto evocativa, non speculativa. Le parole dal cielo, infatti, non possono aggiungere nulla a quanto già detto e fatto da Gesù per rendere evidente la sua messianicità (e il suo destino di morte). Rispetto a quanto detto al battesimo dalla voce celeste, qui Marco aggiunge solo un’esortazione ad ascoltarlo. Proprio per la sua somiglianza con il racconto del battesimo (l’am- bientazione in un luogo appartato; la parola di rivelazione), questa seconda rivelazione celeste si può dire che apra una seconda fase della predicazione di Gesù. Proprio all’apice della visione, lo spavento di Pietro, Giovanni e Giacomo, per quanto ben comprensibile, appare quasi comico: un Pietro trasognato esprime il suo apprezzamento per quel che avviene e chiede se devono preparare tre tende… Si tratta forse di un riferimento alla festa delle capanne, quasi fosse un richiamo al riposo sabbatico escatologico? Forse è solo un modo per dire che l’esperienza è così appagante che si vorrebbe continuasse a lungo.

vv. 9-13: Gesù scende dal monte coi tre discepoli e chiede loro di non dire nulla fino abbiamo avuto una prima rivelazione celeste dell’identità di Gesù, anch’esso un brano per diversi aspetti «apocalittico». Lì, però, la sua persona non era direttamente coinvolta in alcun genere di trasformazione. Ponendoci ad un livello intertestuale, gli esegeti evidenziano come in Es 24,15ss ritroviamo l’elemento della nuvola nella teofania al Sinai e in Dan 7,9 e 10,5.13 la veste bianca; in Ap 3,5; 4,4; 6,11; 7,9.13 bianche sono le vesti dei martiri. Immagini teofaniche si possono trovare in 1Enoch 62,15; 2Enoch 22,8; Ap 3,4;7,9; 1Cor 15,43.49.51.53. In 2Baruc 51,3 si dice che i salvati brilleranno come stelle.

Una peculiarità del racconto è che Elia e Mosè non compaiono in altre teofanie, ma la loro presenza qui ha un senso perché entrambi sono stati presenti implicitamente in tutta la storia fino a questo momento: Elia nella figura di Giovanni il battezzatore, Mosè nei vari riferimenti alla Torah e nelle salite «ai monti» (cfr. C. Myers, Binding the Strong Man, Orbis, Maryknoll 1988, p. 250). Possiamo dire, dunque, che Marco fonde insieme diverse alla sua risurrezione: è l’ultima volta che il segreto messianico viene ribadito. Fino ad allora, Gesù rimarrà un mistero, come conferma il fatto che i discepoli non riescono comunque ancora a capire. La loro domanda, forse elusiva, verte sul perché prima del messia debba venire Elia.

Gesù non risponde direttamente (non spiega il perché), ma afferma che Elia è già venuto nella persona di Giovanni il Battezzatore (Marco ha dato numerose indicazioni in questo senso: si tratta delle tracce di antiche discussioni tra i discepoli del Nazareno crocifisso e risorto e gli altri ebrei?). E come il Battezzatore è stato perseguitato e ucciso, così dovrà accadere al Figlio dell’Uomo. Questa seconda parte è fondamentale per la comprensione marciana del racconto della trasfigurazione, dato che riconduce alla croce quella che rischiava di diventa- re una teologia della gloria.

Riguardo al significato della trasfigurazione, una possibile interpretazione è che si tratti di un’anticipazione di quelle apparizioni del risorto così importanti negli altri vangeli, ma assenti in Marco. Interessante, però, la replica di Myers: Ancora una volta, l’esegesi imperiale ricerca una narrazione del trionfo, una corona da accompagnare alla croce (Binding the Strong Man, p. 252). Questa osservazione, come tradisce il linguaggio usato (p. es. l’espressione «esegesi imperiale»), nasce da una lettura politica antimperiale del vangelo secondo Marco che, comunque la si pensi su questo approccio esegetico, mi pare mettere bene in evidenza il rischio implicito di annullare la provocazione, tutta marciana, dell’assenza voluta dei racconti di apparizione alla fine del vangelo.

La croce è l’elemento centrale della teologia di Marco e la trasfigurazione non vuole attutire un’assenza, ma rendere ancora più forte il valore dell’uccisione del Figlio dell’Uomo, sottolineandone l’identità divina. L’obiettivo è proprio quello di lasciarci a riflettere sul senso della resurrezione di Gesù dopo la sua passione, proprio come fanno i discepoli in questo episodio.

Giovanni 4,5-42 (rito ambrosiano)

Come avviene frequentemente, i criteri con i quali i brani biblici vengono riportati nella liturgia sono diversi da quelli di carattere scientifico e culturale che sono seguiti da chi studia i testi biblici in sè a livello scientifico-culturale. Questa è la ragione per la quale i vv. 5-42 di Gv 4 sono qui commentati in tre momenti successivi, secondo una scansione interna rispettosa anzitutto del testo giovanneo in sè (anche per questo lettura e commento iniziano dal v. 1).

vv. 1-30 (commento di Lidia Maggi[3])

Ben sei versetti per introdurre un incontro memorabile, un dialogo teologico che porterà Gesù a rivelare a una donna anonima il nome divino attribuito a se stesso.

1Quando Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: «Gesù fa discepoli più numerosi e battezza più di Giovanni» 2– sebbene Gesù in persona non battezzasse, bensì i suoi discepoli -, 3lasciò la Giudea e si allontanò di nuovo verso la Galilea. 4Era necessario che egli attraversasse la Samaria. 5Giunge dunque a una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe. 6C’era, là, il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva sul pozzo. Era all’incirca l’ora sesta.

7Viene, una donna di Samaria, ad attingere acqua. A lei Gesù dice: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli infatti erano andati in città per comperare cibi. 9Dice dunque a lui la Samaritana: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non intrattengono relazioni con i Samaritani. 10Gesù rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice [la donna]: «Signore, tu non hai nemmeno un secchio e il pozzo è profondo; da dove hai dunque l’acqua, quella viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci ha dato questo pozzo ed egli stesso ne bevve, e i suoi figli e le sue greggi?». 13Gesù rispose: «Ognuno che beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chiunque beva dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». 15Gli dice la donna: «Signore, dammi quest’acqua, perché non abbia più sete e non debba attraversare[4] fin qui per attingere».

16Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e (poi) ritorna qui». 17La donna rispose: «Non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene «Marito non ho»[5]. 18Infatti hai avuto cinque mariti e ora quello che hai non è tuo marito; ciò che hai detto è vero».

19A lui la donna dice: «Signore, noto che tu sei un profeta. 20I nostri padri sopra questo monte adorarono[6] Dio e voi dite che in Gerusalemme è il luogo in cui bisogna adorare». 21Dice a lei Gesù: «Credimi, donna: viene l’ora quando né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza proviene dai Giudei. 23Ma viene l’ora, ed è questa, quando i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; infatti il Padre cerca adoratori di questo tipo. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano in spirito e verità devono adorarlo». 25Dice a lui la donna: «So che viene il Messia, colui che è detto Cristo: quando egli sarà venuto, ci spiegherà ogni cosa». 26Dice a lei Gesù: «Io sono, colui che ti sta parlando».

27E in quel (momento) giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che stesse parlando con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che cosa cerchi?», o: «Perché parli con lei?». 28La donna dunque lasciò la giara[7], andò via, verso la città, e dice[8] alla gente: 29«Venite a vedere una persona che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». 30Uscirono (quindi) dalla città e venivano da lui.

vv. 1-3: Questo testo serve da cerniera per congedare lettrici e lettori dal discorso sul Battezzatore ed  entrare nella scena successiva. Un cambio di argomenti e di geografie. La fama di Gesù supera quella di Giovanni. Egli ha un numero di seguaci maggiore del Battezzatore. La precisazione sul fatto che non sia direttamente Gesù a battezzare serve a collegarlo al precursore e, nello stesso tempo, a differenziarlo. La fama, che supera quella del testimone, anticipa i futuri scenari di persecuzione e motiva il viaggio dalla Giudea alla Galilea.

vv. 4-6: Il viaggio viene spezzato dal passaggio attraverso la regione della Samaria, tappa necessaria più per motivazioni missionarie che per esigenze geografiche, dal momento che Gesù poteva scegliere di passare dall’altra parte del Giordano. L’incontro con la samaritana sembra così legato ad un preciso disegno divino. È Gesù a creare le condizioni per discutere di Dio e della fede con una donna samaritana. A chi legge viene offerta tutta una serie di informazioni necessarie per non fraintendere quanto segue. Gesù si ferma vicino a un pozzo, ma non uno qualsiasi: è il pozzo di Giacobbe. Esternamente, chi passa vede un viandante assetato nell’ora più calda del giorno; ma chi legge sa che quanto sta per avvenire è tutt’altro che casuale e presterà piena attenzione al dialogo che segue.

vv. 7-8: Dopo Gesù in viaggio con i suoi discepoli, viene introdotto il secondo protagonista dell’episodio: la samaritana. Chi legge ha ancora negli occhi la scena notturna dell’incontro con Nicodemo (cfr. 3,1ss). Il contrasto tra i due è subito visibile: Nicodemo va alla ricerca di Gesù; la donna lo incontra casualmente. Nicodemo si reca di notte; la donna dialoga in pieno giorno. Nicodemo è ricordato con il proprio nome e con i titoli che lo qualificano; la donna è anonima. La differenza più sorprendente, tuttavia, verrà enunciata solo alla fine, quando alla samaritana sarà affidata la battuta conclusiva (v. 29). In genere, tutti i personaggi hanno la funzione di offrire a Gesù l’occasione per avviare il discorso che segue. Solo la samaritana rompe lo schema, fino a portare  chi legge a seguirla mentre esce di scena, lasciando Gesù sullo sfondo.

v. 9: Alla donna sopraggiunta al pozzo, Gesù chiede da bere, come un viandante bisognoso. La donna, prima ancora di soddisfare la richiesta, lo interroga, mettendo fin da subito tra di loro la distanza che li separa: lui uomo, lei donna; lui giudeo, lei samaritana, rappresentanti di popoli separati dai Giudei per conflitti religiosi e sociali.

vv. 10-14: Il dialogo tra i due si fa serrato. Gesù le dice che se avesse (ri)conosciuto il suo interlocutore, sarebbe stata ella stessa a chiedergli da bere, ricevendo acqua di vita. La donna ribatte che, senza mezzi per attingere l’acqua, è improbabile potersi dissetare da un pozzo così profondo. Un dialogo incalzante, lontano dallo schema dei lunghi monologhi giovannei, dove il fraintendimento è forte, ma in un certo senso su entrambi i fronti. Gesù parla di acqua spirituale, la donna di acqua concreta. Gesù mette la donna di fronte alla sua ignoranza, e questa lo sollecita a rivelarsi: «sei tu forse più grande di nostro padre Giacobbe?». Il dialogo diventa disputa… Abbiamo qui un capolavoro letterario, capace di tenere assieme tanti registri comunicativi al punto da «ubriacare», pur con la semplice acqua, chi legge! Gesù dichiara di poter saziare una sete profonda con un acqua viva che riempie fino a diventare, in chi la riceve, fonte per altri. Acqua che dà la vita, che feconda persino chi è sterile, nonostante i tanti mariti.

v. 15: La donna esce allo scoperto e dichiara di voler saziare la sua sete. La conversazione era iniziata con Gesù che chiedeva da bere; ora è ella stessa a chiederne, ma non senza una certa ironia (come potrai farlo?).

v. 16: il gioco relazionale si interrompe bruscamente, senza apparente logica, con Gesù che sposta la discussione dall’acqua alla vita affettiva della donna.

vv. 17-18: La samaritana nega di avere un marito. E Gesù, non senza ironia, conferma la dichiarazione entrando nel dettaglio della situazione. Poche battute sono bastate per trasformare l’intraprendente teologa, che discute di fede con Gesù, in una donna dalla reputazione discutibile. Un’adultera da convertire! Di questi versi sono anche state offerte letture allegoriche: si è voluto vedere nella donna dai cinque mariti, la Samaria, terra scismatica che, nonostante i tanti matrimoni, non è stata resa fertile da nessuno dei mariti-idoli. Gesù rappresenterebbe dunque lo sposo messianico, l’unico in grado di placare definitivamente la sete. Tali letture, per quanto legittime, rischiano di moralizzare o spiritualizzare il testo, forzandolo indebitamente.

v. 19: La donna stessa suggerisce la direzione ermeneutica da prendere. Ella riconosce in Gesù un profeta e dunque vuole interrogarlo su una questione che le sta particolarmente a cuore. Una questione tutt’altro che personale, affettiva. Essa richiama il conflitto tra i due popoli. Chi ha ragione? Chi dice la verità su Dio? I giudei con Gerusalemme o i samaritani, che adorano sul monte Garizim? Il conflitto menzionato all’inizio, è nuovamente al centro della conversazione.

vv. 21-24: La risposta di Gesù è complessa. Da una parte, riconosce come veritiere le ragioni del suo popolo rispetto a quelle addotte dai samaritani; dall’altra, spinge la donna ad affrontare la questione da un’altra prospettiva, sollecitandola a spostare la domanda dal piano geografico (dove si adora Dio) alla modalità (come si adora Dio). In questo modo è resa possibile la riconciliazione dei due contendenti, radunando in un unico popolo i veri adoratori, ricercati da Dio stesso.

v. 25: Se la donna precedentemente ha visto in Gesù un profeta, ora queste rivelazioni le fanno intuire che in lui potrebbe esserci dell’altro. Con astuzia, si muove per spingerlo a scoprirsi: io so che il Messia che deve venire, ci spiegherà ogni cosa. Il sottinteso è: ma non sei tu che mi hai annunciato queste cose?

v. 26: Gesù è quasi forzato ad ammetterlo: «sono io». Per la prima volta nel vangelo secondo Giovanni, Gesù rivela se stesso con quella costruzione verbale che rimanda al nome divino (cfr. Es 3,14). Non lo ha rivelato a Nicodemo, ma a una donna e per giunta appartenente a un popolo scismatico. Colei che con le sue domande lo ha sollecitato a dichiararsi per quello che è: l’ «io sono» divino, presenza di Dio in mezzo ai suoi.

vv. 27-29: L’apice narrativo della rivelazione è spezzato dall’irruzione dei discepoli, ignari di quanto avvenuto. Fanno la figura di coloro che fraintendono la situazione, quando si stuspiscono del fatto che il maestro discorra con una donna. Chi legge lo sa. Gesù ha rivelato a questa donna la sua identità e le ha insegnato la verità su come si adora Dio. Da una parte, i discepoli titubanti, che si interrogano senza il coraggio di chiedere; dall’altra, la donna che si è lasciata interrogare così profondamente da colmare la sua sete. La donna lascia tutto per correre ad annunciare ai suoi quanto ha appena vissuto: una missionaria che comunica la lieta notizia. La scena si chiude sulle parole rivolte alla gente del suo villaggio, parole che invitano a venire a vedere. Parole ascoltate e credute. È una donna autorevole, altro che peccatrice da redimere! Porta altri a Cristo e fa entrare nella difficile terra di Samaria l’annuncio evangelico.

vv. 31-38 (commento di Francesco Mosetto[9])

31Intanto i discepoli lo pregavano dicendo: «Rabbì, mangia».

32Ma egli disse: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete».

33I discepoli dunque si dicevano l’un l’altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?».

34Gesù dice loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera. 35Non dite voi: «Ci sono ancora quattro mesi e (poi) viene la mietitura»? Ecco, vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che, bianchi, sono (pronti) per la mietitura. E già 36chi miete riceve salario e raccoglie frutto per una vita eterna, perché ne sia visibilmente contento insieme chi semina e chi miete. 37Tuttavia[10] in questo è vero il detto: uno è chi semina e un altro chi miete. 38Io vi mandai a mietere ciò in cui voi non vi siete affaticati; altri si sono affaticati e voi siete subentrati nella loro fatica».

Tra il dialogo con la donna e l’incontro con i Samaritani s’inserisce una conversazione tra Gesù e i discepoli, nella quale emergono due temi dal valore simbolico: il cibo e la mietitura.

vv. 31-33: L’invito dei discepoli («Rabbì, mangia») rivela una mentalità «materiale/terrestre» non molto diversa da quella della donna samaritana. Gesù risponde con un’affermazione enigmatica, che li lascia sconcertati. Le loro congetture manifestano il classico fraintendimento (cfr. vv. 9 e 11).

vv. 34-38: In seconda battuta Gesù si esprime più apertamente: il «cibo che lo alimenta e gli dà forza» è un cibo metaforico, che consiste nel «fare la volontà» del Padre che lo ha mandato e «compiere la sua opera». Figlio e Inviato del Padre, egli è totalmente consacrato alla sua missione. L’«opera» del Padre, che egli vuol portare a compimento, consiste nel salvare gli esseri umani, dando loro la vita eterna (cfr. 3,16; 10,10; 17,2). Il paesaggio agreste suggerisce una nuova immagine, che riprende e scviluppa il tema della missione. I discepoli osservano che mancano quattro mesi alla mietitura. In Palestina si miete in maggio; quindi siamo in primavera. Ma le leggi del regno di Dio non coincidono con quelle dell’agricoltura. «Levate i vostri occhi…»: nei samaritani che sono in cammino verso di lui Gesù invita i discepoli a contemplare le primizie della messe escatologica (cfr. Is 27,12).

All’immagine della messe si collega quella della semina. Un primo detto – che si ispira a Am 9,13 – sottolinea la rapidità con la quale semina e mietitura si susseguono. «Chi semina e chi miete» ora è lo stesso Gesù, che ha appena gettato il seme della parola e già riceve il frutto della sua fatica: la conversione e la salvezza dei samaritani. Il secondo detto, di sapore proverbiale (vedi, ad es., Gb 31,8), richiama un’esperienza frequente: «Uno semina e l’altro miete». Gesù lo applica ai discepoli: egli li ha inviati a mietere, nel senso di realizzare la raccolta escatologica del popolo di Dio. Ma la fatica della semina è stata di «altri», ossia di Gesù stesso. La loro missione continuerà quella di Gesù (cfr. 17,18; 20,21) e il loro successo sarà dovuto alla «fatica» di chi per primo ha sparso il seme evangelico.

vv. 39-42 (commento di Lorella Parente[11])

39Molti di quella città, Samaritani, credettero in lui a causa di quello che aveva detto la donna che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40Come dunque i Samaritani giunsero da lui, gli chiedevano di rimanere presso di loro, ed egli rimase là due giorni[12].

41E molti di più credettero a causa di quel che egli aveva detto 42e dicevano alla donna: «Non è più per quanto ci hai detto che noi crediamo; infatti noi stessi abbiamo ascoltato e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

vv. 39-40: La testimonianza della samaritana convince molti suoi concittadini, che vanno da Gesù per chiedergli di fermarsi lì da loro. È il primo stadio della fede dei samaritani, suscitato dall’annuncio di un segno (la conoscenza, da parte di Gesù, delle vicende private della donna appena incontrata). È un assenso che lascia aperta la porta a una comprensione maggiore, evidente nella volontà di trattenere il Maestro. Sullo sfondo notiamo l’azione evangelizzatrice della donna: attraverso di lei nasce una comunità credente in un luogo «avulso» dal contesto giudaico «tradizionale».

vv. 41-42: Il secondo stadio della fede sopraggiunge con la presenza di Gesù nei due giorni, come viene esplicitamente ricordato, anche dopo, al v. 43. La sua parola diviene il motivo della conversione di «molti di più» tra i samaritani. In un primo momento, dunque, è la parola della donna il motivo della loro fede; poi interviene la conoscenza diretta di Gesù e del suo insegnamento, che li rende definitivamente credenti. Qui siamo davanti non al Messia dei giudei, ma al Salvatore universale, che è giudeo (cfr. Gv 4,22). Gli abitanti della Samaria ora lo sanno.


[1] La liturgia arresta la lettura al v. 10, ma la completezza culturale impone che si arrivi con il commento al v.13.

[2] Nato a Pisa nel 1968, è sposato e padre di una figlia e di un figlio. Pastore metodista, dottore in Nuovo Testamento (Università di Basilea – 2003), insegna esegesi e teologia del Nuovo Testamento presso la Facoltà di Teologia Valdese di Roma, è presidente della Società Biblica in Italia. Tra le sue pubblicazioni principali: Cristo contro Cesare. Come gli ebrei e i cristiani del I secolo risposero alla sfida dell’imperialismo romano, Claudiana, Torino 2006; Giovanni Battista. Un profeta esseno? L’opera e il messaggio di Giovanni nel suo contesto storico, Claudiana, Torino 2008; con E. Borghi – E. Norelli – C. Gianotto – F.G. Nuvolone, Gli apocrifi del Nuovo Testamento. Per leggerli oggi, EMP, Padova 2013; Ester. Introduzione, traduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2017; Beati i poveri. Dalla legislazione mosaica alla predicazione di Gesù nel vangelo secondo Luca, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2019.

[3] Nata a Sassari nel 1964, è pastora e teologa battista. Molto impegnata nella divulgazione biblica e nel dialogo ecumenico ed interreligioso, ha pubblicato vari contributi su differenti periodici. Tra i suoi ultimi libri: (con A. Reginato) Vi affido alla Parola. Il lettore, la chiesa e la Bibbia, Claudiana, Torino 2017; (con C. Petrini), Accarezzare la terra. Meditazioni sul futuro del pianeta, Centro Formazione e Lavoro A. Grandi, Bergamo 2018; Protestantesimo, Editrice Bibliografica, Milano 2018; (con A. Reginato), Corpi di desiderio. Dialoghi intorno al Cantico dei Cantici, Claudiana, Torino 2019.

[4] Il narratore riutilizza qui, probabilmente in modo intenzionale, lo stesso verbo utilizzato nel v. 4. Lo stesso verbo ritornerà in 8,59, in una aggiunta testimoniata solo in pochi manoscritti tardivi.

[5] Si noti come, nella frase di Gesù, la parola marito occupi il primo posto, e ciò diversamente da quanto avveniva nella frase della donna. E la sottolineatura su ›marito’ introduce la parte successiva del dialogo.

[6] Si noti l’insistenza sul verbo adorare in questo capitolo (vv. 20.20.21.22.22.23.23.24.24). Nel resto del vangelo secondo Giovanni lo stesso verbo tornerà solo due volte (9,38 e 12,20).

[7] In greco c’è lo stesso termine già usato in 2,6.7. Esso non verrà più usato in tutto il resto della versione giovannea. La giara che la donna abbandona è ormai inutile per l’acqua viva della quale Gesù le ha parlato.

[8] Qui, come spesso in Giovanni, si noti come il narratore abbandoni la narrazione con i verbi al passato per passare al presente. Nelle letterature greca e latina è una tecnica diffusa (detta demonstratio visiva). Con questo espediente il narratore voleva rendere i suoi lettori spettatori e testimoni del fatto che egli stava raccontando. Nel nostro passo è come se i lettori fossero nella città di Sicar proprio mentre la donna parla ai suoi concittadini.

[9] Nato a Rivarolo Canavese (TO) nel 1939, presbitero cattolico salesiano, ha conseguito nel 1967 la Licenza in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma e nel 1986 il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Urbaniana. Ha insegnato per molti anni esegesi e teologia del Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Salesiana. È stato preside della Sezione torinese di tale ateneo (1993-1999; 2005-2008), preside dello Studio Teologico Salesiano, Cremisan – Gerusalemme (2000-2005); presidente dell’Associazione Biblica Italiana (1994-2002), presidente della Associazione Biblica Salesiana (2005-2011), vicedirettore e redat- tore della rivista «Parole di vita» (1979-1995), condirettore del manuale di studi biblici «Logos» (Elledici 1996-2012). Tra i suoi libri più recenti: Lettera agli Ebrei. Lettere di Giacomo, di Pietro, di Giuda, Elledici, Leumann (TO) 2014; Gesù cresceva. Storia e mistero, LAS, Roma 2015; Uno sguardo nuovo su Gesù. I misteri della vita di Cristo, Elledici, Leumann (TO) 2016; Gli insegnavo a camminare. Bibbia e educazione, LAS, Roma 2018.

[10] Qui, come raramente altrove nel NT, la parola greca è usata con valore non dichiarativo (= infatti), ma avversativo: se nel futuro di Dio chi semina e chi miete si rallegrano insieme, al presente i discepoli possono già mietere quanto qualcun altro, ovviamente Gesù, ha seminato.

[11] Nata a Salerno nel 1980, sposata e madre di un figlio, ha conseguito il Dottorato in Teologia dogmatica nella Sezione San Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli. È docente di Teologia dogmatica presso l’ISSR «San Matteo» di Salerno. È impegnata sul fronte della ricerca e delle pubblicazioni teologiche a livello sia scientifico che divulgativo, prestando collaborazione a diverse riviste e collane di settore. Tra i suoi più recenti volumi: (con G. Di Palma), La Parola del Catechista. Il vangelo di Matteo, PassionEducativa, Benevento 2016; (con G. Di Palma), Il Vangelo di Marco. L’identità di Gesù, PassionEducativa, Benevento 2017; Il nascondiglio di Cristo. La concezione del po- vero come sacramento nell’opera di Giacomo Cusmano, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2019.

[12] La menzione dei due giorni può fare riferimento a Os 6,2: «in due giorni (Dio) ci farà rivivere». E nel racconto di Giovanni, rimanendo due giorni presso i Samaritani che hanno creduto in lui, Gesù li fa rivivere.

27 Febbraio 2021 | 07:08
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