L'equipe di Strada Regina a Lampedusa sulla rotta dei migranti

«A Lampedusa diciamo che noi non facciamo i figli. Li compriamo». Il pescatore abbozza un sorriso, poi spiega: «La prima figlia mi è costata 13mila euro. Il secondo «solo» 7mila. È quello che abbiamo speso per andare con mia moglie a fare le visite e il parto in Sicilia. Qui l’ospedale non c’è».

Vista del porto

Si può partire da qui per capire com’è la vita dell’isola in mezzo al Mediterraneo, una notte di traghetto dall’Italia, qualche ora dall’Africa. I problemi quotidiani spiegano la disillusione dei lampedusani verso la politica. Alle ultime elezioni europee, oltre il 70% degli isolani si è astenuto. Tra i pochi che hanno votato, la maggioranza ha scelto la Lega di Matteo Salvini: un partito di destra populista che fa della lotta ai migranti il suo cavallo di battaglia.

Ma a Lampedusa la presenza di migranti, sempre al centro delle cronache a causa degli sbarchi, è in realtà invisibile. Certo, in molti arrivano sull’isola con barche di fortuna o salvati dalle navi delle Ong. Oggi con meno frequenza che negli anni scorsi, ma comunque nei primi sei mesi del 2019 si sono registrati più di 1000 arrivi (contro gli 11mila totali del 2017).

Eppure in giro le persone straniere – turisti a parte – sono pochissime: di solito i richiedenti asilo vengono portati nel Centro di accoglienza, blindatissimo e quasi introvabile. Ripartono dopo pochi giorni per la Sicilia, dove comincia la trafila della richiesta d’asilo.

La convivenza tra cittadini originari del luogo e comunità straniere, fenomeno abituale nelle città italiane ed europee, non appartiene alla realtà dell’isola. Eppure anche qui la propaganda contro i migranti ha fatto breccia. Alla gente di Lampedusa il fenomeno migratorio crea due tipi di problemi. Il più grande: il danno d’immagine rispetto ai turisti, convinti dai media che l’isola sia «invasa» di richiedenti asilo. In secondo luogo, le autorità statali ed europee si occupano di Lampedusa solo per la gestione delle emergenze: così i bisogni degli abitanti passano in secondo piano.

Ecco allora che molti si sfogano: la benzina costa 2 euro al litro, i voli da e per l’isola sono troppo cari, a volte le lezioni scolastiche saltano perché i professori sono bloccati dal maltempo. In definitiva, la lamentela è una: paghiamo le tasse come tutti gli italiani, ma non abbiamo gli stessi servizi.

Antonino Taranto spiega la storia dell’isola.

La soluzione a questi bisogni è chiudere il porto per impedire gli sbarchi? La gente fa spallucce: «E come si fa a chiudere il porto a Lampedusa?». Un controsenso, anche dal punto di vista storico. Lo spiega Nino Taranto, fondatore dell’archivio che ricompone la memoria dell’isola: «Tutte le grandi civiltà del passato sono transitate a Lampedusa. Qui c’era un porto sicuro nelle tempeste, si poteva riparare le navi e rifornirsi di provviste. Genti di popoli in guerra tra loro s’incontravano qui senza scontrarsi. Lampedusa è sempre stato luogo neutro». Un punto di confine che univa anche le fedi: «Il santuario della Madonna di Porto Salvo», prosegue Taranto, «in origine era un eremitaggio musulmano. Per un certo periodo ospitava entrambi i culti: una parte era adibita a chiesa, l’altra a moschea».

Nei 22 chilometri quadrati di Lampedusa, la vita scorre secondo ritmi precisi. Ora è alta stagione, le attività commerciali lavorano senza sosta: come formiche, gli abitanti accumulano per i mesi dell’inverno, quando i turisti saranno lontani. Arriva la sera e i negozietti di via Roma, il corso principale, si riempiono di gente. Vicino ai bar ci sono dei palchi: una band suona gli U2, un cantante strimpella Mino Reitano. I pescatori vanno a letto presto, domani prima dell’alba si torna a gettare le reti.

Crocifisso nella parrocchia di san Gerlando.

(Gioele Anni per Strada Regina)

(2/continua)

18 Luglio 2019 | 12:37
Tempo di lettura: ca. 2 min.
lampedusa (10), migranti (422), strada regina (144)
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