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Ticino e Grigionitaliano

Legni preziosi: Sculture, busti, reliquiari e tabernacoli dal Medioevo al Settecento

di Edoardo Villata, Curatore della mostra

La nuova mostra che la Pinacoteca Züst ospita nelle proprie sale risponde a una delle principali linee-guida della propria politica culturale: la ricerca sul territorio.

In questa occasione viene radunata una quarantina di opere lungo un arco cronologico molto ampio, dal XII al XVIII secolo, per illustrare, con esempi significativi, la lunga storia della scultura in legno nell’area storica e geografica corrispondente all’attuale Cantone Ticino. Si tratta di testimonianze di una tradizione artistica che raggiunse spesso vertici europei, opera degli stessi artisti attivi a Milano e nelle altre città dell’attuale Lombardia, ma anche nelle regioni prossime: Piemonte, Liguria, Romagna.

Gli studi sulla scultura lignea sono fioriti negli ultimi quarant’anni nei limitrofi territori della Lombardia e del Piemonte, anche se in modo non ancora perfettamente omogeneo: assai approfonditi e maturi per quanto riguarda il Rinascimento e in certa misura il Medioevo, essi sono ancora lontani da un soddisfacente quadro di insieme per quanto riguarda i secoli successivi, nonostante alcuni pregevoli studi recenti tra Piemonte, Comasco, Valtellina e Pavese.

Viceversa in area ticinese questo tipo di manufatti non ha finora goduto di una specifica attenzione. La presente mostra rappresenta pertanto il primo tentativo di illustrare in modo organico questo aspetto della locale civiltà figurativa. Si va dalla severa Madonna romanica di Arogno alle diverse declinazioni del gotico, quello elegante e regale della Madonna di Origlio e quella scarnificata e drammatica del Crocifisso di Olivone, alle diverse opzioni del linguaggio rinascimentale. L’osmosi con quanto avviene in Lombardia è totale, e troviamo opere degli stessi artisti e delle stesse botteghe cui si devono, a Milano e nelle altre città del Ducato, lavori ormai riconosciuti come fondamentali capolavori: dai De Donati al cosiddetto Maestro di Santa Maria Maggiore, dall’ambito di Giacomo Del Maino al manierista Battista da Corbetta.
Queste prime due sezioni si presentano ricche di novità critiche: per la prima volta è offerto un quadro di insieme sulla scultura in legno del Medioevo, e sul Rinascimento sono molte le opere inedite o comunque mai esposte prima d’ora e le nuove attribuzioni. Per la prima volta i visitatori vedranno la Madonna di Loreto proveniente da Bellinzona o la severa e matronale Vergine di collezione privata ma in origine a Minusio; per la prima volta la coppia di Angeli di Giornico e il Cristo portacroce della chiesa di Loreto a Lugano vedono riconosciuti i loro autori; e rappresenterà una sorpresa per molti l’incantevole Madonna col Bambino della parrocchiale di Malvaglia.
Segue una piccola ma importante sezione, dedicata alle opere tedesche. Il fenomeno dell’importazione da nord di sculture data dal Medioevo, ma conosce un momento di particolare fervore negli anni intorno alla Riforma, allorché molte chiese tedesche vengono spogliate degli arredi sacri, non sempre distrutti ma talvolta rivenduti a sud, in terra cattolica; quando non sono gli artisti stessi a emigrare. In mostra questo aspetto viene illustrato attraverso tre esempi: la splendida Pietà di Claro, opera per l’appunto acquistata da una chiesa passata alla Riforma, e le ancone di Monte Carasso, di cui vengono esposte le sculture, prestate dal Landesmuseum di Zurigo, e l’intero altare ad ante mobili di Foroglio.
Le due successive sezioni, dedicate al Seicento e al Settecento, sono caratterizzate dalla costante dialettica tra la normatività controriformata di stampo borromaico, che impone modelli autorevoli ripetuti con costanza, e spesso con grande qualità formale, e dall’avvento del Barocco, che porta a sovvertire se non le iconografie, certo il modo di interpretarle. Nei due ultimi secoli dell’ancien régime, proprio mentre raggiunge lo zenit l’emigrazione in tutta Europa degli artisti ticinesi (pittori, architetti, stuccatori, marmorari), si fa più evidente che mai il fatto che le principali opere lignee presenti nel Ticino sono prodotti di importazione: quasi, nell’economia di un fitto dare e avere artistico, il momento inspiratorio di contro a quello espiratorio. Ma se nel Seicento le statue provengono da Milano o dal comasco, nel secolo successivo si assiste a un espandersi del raggio di attrazione: oltre ai canali tradizionali altri se ne aprono, verso la Liguria, verso la Romagna, forse verso il Piemonte sabaudo.
Anche le due sezioni conclusive sono ricche di novità: di alcune opere sono individuati con certezza gli autori (è il caso della Immacolata di Ponte Tresa, riferita ad Antonio Pino, uno dei massimi scultori dell’area insubrica) e le cronologie (la bellissima Madonna del Carmine di Agno, la cassa-reliquiario di Santa Sabina ad Ascona). Altre sono state attribuite per via stilistica (la Madonna del Rosario di Arzo a Giulio Cesare Mangone, la Madonna del Carmine di Bellinzona a Giovanni Mainoldo). Di particolare interesse risulterà poi la visione ravvicinata, per la prima volta, del solenne Tabernacolo proveniente dal convento cappuccino di Santa Maria del Bigorio, del movimentato San Vincenzo Ferrer di Vacallo e dell’ipnotico Beato Angelo Porro di Mendrisio.
Tra le varie tipologie di oggetti rappresentati in mostra spicca poi il Presepio del Museo di Leventina di Giornico, curiosa opera nata per accumulo: a partire da una Natività di ambito tedesco della fine del Cinquecento, circa un secolo dopo un interessante scultore locale (di cui gli studi condotti in questa occasione hanno potuto tracciare un primo profilo) aggiunge pastori e animali, trasformando l’opera di partenza, per l’appunto, in un tradizionale Presepio.

Le molte sollecitazioni che le opere esposte propongono al visitatore, dal punto di vista storico, estetico, religioso e antropologico, trovano un raffinato punto di equilibrio nell’innovativo allestimento curato da Mario Botta, che riesce a isolare visivamente le sculture, permettendone una lettura ottimale, e insieme a legarle dialetticamente in un discorso multifocale.

Una mostra di ricerca che, ci auguriamo, non mancherà di stimolare ulteriori studi e di favorire nuove scoperte.

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28 Settembre 2016 | 09:44
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