L'Austria vota la chiusura del Centro saudita per il dialogo interreligioso

Il 12 giugno 2019 il Consiglio nazionale, la camera bassa del Parlamento austriaco, ha votato a maggioranza, grazie anche ad un’alleanza di circostanza tra socialdemocratici e nazionalisti del FPÖ a favore del ritiro dell’Austria dall’istituzione internazionale e lo scioglimento dell’accordo con KAICIID. Gli oppositori di questa organizzazione lo vedono come uno degli strumenti del «soft power» del regime wahhabita. Il Ministero degli Affari Esteri di Vienna ha promesso di attuare la decisione. Il ministro degli Affari Esteri Alexander Schallenberg ha dichiarato che garantirà che l’attuazione della misura sia effettuata senza compromettere gli interessi di politica estera austriaca «nel quadro della prassi internazionale». La ragione immediata del voto parlamentare è l’annuncio dell’imminente esecuzione in Arabia Saudita di Murtaja Qureiris. Il diciottenne è incarcerato dall’età di 13 anni per aver partecipato a una manifestazione per i diritti umani tre anni prima. È accusato dalle autorità saudite di essere membro di una «organizzazione terroristica».

Dall’assassinio al consolato saudita di Istanbul del giornalista Jamal Khashoggi, critico sul regime di Riad, nell’ottobre 2018, ci sono state molte voci che chiedono la chiusura del Centro di dialogo. I rappresentanti della Chiesa, tuttavia, sono sempre stati molto riservati e hanno invece espresso sostegno per il proseguimento dell’opera del Centro. In una dichiarazione sul suo sito web, KAICIID ha espresso preoccupazione per la decisione di revocare l’accordo. KaICIID «non è né un’ambasciata, né una ONG, né il braccio politico di qualsiasi stato, compresa l’Arabia Saudita. Questa non è una sinistra estensione dell’influenza o delle strategie di uno Stato (…). La valutazione del Centro parla da sé, scrive KAICIID. Il Centro cita le migliaia di persone formate in tutto il mondo nel dialogo interreligioso e interculturale, le migliaia di ore di lavoro per la riconciliazione e la comprensione in regioni lacerate dall’instabilità. Si sottolinea la lunga esperienza come unificatore e mediatore nell’aiutare i governi, le agenzie intergovernative, i gruppi della società civile e le ONG a considerare il dialogo interreligioso come un mezzo per raggiungere la stabilità sociale e la prosperità. Nell’autunno del 2018, ad esempio, il metropolita greco-ortodosso di Francia Emmanuel (Adamakis) si era fermamente opposto a una chiusura. «Non siamo l’Arabia Saudita», scrisse il metropolita di Parigi su un quotidiano austriaco all’epoca. Capisce che il nome del Centro e il fatto che la maggior parte dei suoi fondi provengano dall’Arabia Saudita danno a molti l’impressione che si tratti di un’istituzione saudita. «Ma non lo siamo. Siamo un’organizzazione intergovernativa come le Nazioni Unite, l’OSCE o circa 40 altre organizzazioni di questo tipo a Vienna». Il Consiglio di Amministrazione è composto da nove leader delle cinque principali religioni del mondo. «Il nostro mandato è quello di riunire persone che normalmente non si esiduerebbero allo stesso tavolo», ha detto il metropolita Emmanuel. «Non dobbiamo interrompere il dialogo

Nel gennaio 2015, anche il cardinale Christoph Schonborn, arcivescovo di Vienna, e Heinz Fischer, all’epoca presidente federale austriaco, hanno espresso preoccupazioni simili per la possibile chiusura del KAICIID. Stavano rispondendo alle proteste contro il Centro di dialogo sulla fustigazione del blogger saudita Raif Badawi, un attivista dissidente. I difensori di KAICIID lo presentano come un ponte tra le culture e un luogo di dialogo. Questi luoghi sono necessari «soprattutto dove le relazioni sono problematiche», ha detto il cardinale Schonborn all’epoca. Il presidente federale Fischer ha aggiunto: «I ponti vengono distrutti più velocemente di quanto non vengano ricostruiti».

(fonte: cath.ch)

19 Giugno 2019 | 16:57
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