L'Africa di Anita Poncini

«Nous sommes tous frères congolais». Lo ha detto più di 20 anni fa suor Rita, missionaria francescana del Sacro Cuore; lo ripete oggi con il medesimo vigore, dopo altrettanti anni in Africa, Anita Poncini, amata missionaria laica ticinese in Congo Brazzaville, «nella foresta», specifica, «dove nessuno, all’inizio, voleva stare». Furono proprio le Suore missionarie francescane del Sacro Cuore a chiederle di restare; oggi da quel «sì», a Sembé sono scaturite tre scuole e un ospedale, sostenuti dal «Gruppo Lavoro Africa di Anita Poncini».

Il territorio nel quale Anita e le suore si trovano ad operare è impervio, «a tal punto – racconta la missionaria – che la prima volta che le suore lo visitarono non riuscirono a raggiungere la meta. Il Vescovo di allora ne restò turbato, temeva che la congregazione non avrebbe accettato di trasferirsi lì». Si tratta, specifica Anita, del secondo ecosistema più grande al mondo dopo la foresta Amazzonica; un’area popolata solo da tribù. Il tutto si trova in un villaggio sperduto nella foresta tropicale raggiungibile solo da una stretta ed unica pista sterrata e dissestata che solca per centinaia di chilometri la jungla in un crescendo di ostacoli ed insidi. Dislocati lungo la pista villaggi fatti di capanne di fango e rami intrecciati preda, come la pista, del fango nella stagione delle piogge e della spessa polvere rossa che ricopre case e foresta nella stagione secca e tutto, capanne e foresta, si colora di rosso.

A Sembé centro si trovano soprattutto i bakwélé, di razza bantu. La presenza dei musulmani, calati dal Camerun e pure dal Niger per istallare le loro tipiche botteghe che si snodano lungo un centinaio di metri ai lati della strada che taglia la località, è la sola ad assicurare un minimo approvvigionamento di generi di prima necessità. Lungo la pista si affacciano piccoli villaggi dove sono insediati bantu e pigmei baka, sempre divisi gli uni dagli altri.

Le scuole in cui opera Anita nascono, appunto, da un’intuizione precisa: Bantù o Pigmei, siamo tutti fratelli. «Nelle scuole insegniamo loro a leggere, scrivere, far di conto, secondo il metodo ORA (observer, réfléchir, agir); ma nessuno avrebbe scommesso che saremmo stati capaci di riunire le due etnie sotto il tetto di un’unica scuola». «L’idea è di aiutare ciascun allievo a tirar fuori il meglio di sé e condividere i propri dal punto di vista culturale».

La terza scuola che hanno costruito è seguita anche dallo Stato congolese. Il programma è stato pensato, assieme alle suore, proprio da Anita, per anni maestra di ginnastica alla Magistrale di Locarno. «Fino ai 50 anni, scendevo per circa tre mesi all’anno in Africa. Ho visitato il Camerun, il Ciad, il Togo, il Gana». Poi, con l’incontro delle suore e la richiesta di un Vescovo locale, la decisione: fare dell’Africa la propria casa. Adesso, 83 anni compiuti, i tre mesi Anita li passa in Ticino, per essere il resto dell’anno accanto alla sua gente in Africa. Un ricordo in particolare? «Quando arrivammo con le suore, la gente del posto ci avvicinò con una richiesta precisa: vorremmo imparare a pregare com voi. Questo dice il loro grande bisogno di spiritualità».

 

La missione di Sembé
4 Settembre 2019 | 13:47
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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