Internazionale

La voce del cappellano del carcere di Como: «In carcere ognuno ha la possibilità di rialzarsi»

Ogni anno, in occasione della Via Crucis del Venerdì Santo, Papa Francesco dà voce a quelli che lui stesso chiama gli «scartati» della società. Quest’anno la voce è quella dei detenuti che hanno scritto delle meditazioni profonde che chiamano ognuno di noi a riflettere sul valore di pena, di giustizia, di perdono (a questo link il testo delle meditazioni). Una voce, quella dei carcerati, che vogliamo ascoltare anche noi attraverso le parole di Padre Michele Rocco, francescano, cappellano del carcere del Bassone (Como) che attualmente vede detenute circa 450 persone.

Padre Michele, qual è il ruolo del cappellano all’interno del carcere?

Quella del cappellano è una figura istituzionale, prevista nell’ordinamento del carcere: si potrebbe identificare come il parroco di una parrocchia ben delimitata dalle mura che al suo interno non ha solo i detenuti ma anche la polizia penitenziaria e tutti coloro che nell’istituto vi lavorano. Collaborando con polizia penitenziaria e in particolare con l’area educativa, il cappellano opera affinché la persona detenuta possa vivere la sua esperienza di detenzione nella maniera più costruttiva possibile. Ovviamente affianca, assiste e dialoga con tutti gli uomini e le donne presenti in istituto, al di là del loro credo.

La Via Crucis del Venerdì Santo aprirà le porte di uno di quei luoghi che la società preferisce tenere chiuso…

Quello che si svolgerà questa sera sarà sicuramente un buon momento per riflettere sull’esperienza della detenzione. Il Papa ha da sempre nel cuore i carcerati: non a caso appena divenuto Pontefice era entrato in un carcere e aveva lavato i piedi ai detenuti. Un episodio che aveva creato parecchio scalpore non tanto nella società, ma soprattutto nell’ambiente vaticano.

Le meditazioni della Via Crucis sono scritte da persone che si stanno guardando dentro e questo è il messaggio più bello: sono persone che hanno compiuto cose brutte che però si stanno mettendo in discussione, che sono cadute ma che si stanno rialzando in piedi. A parlare, nelle quattordici stazioni, non solo i detenuti, ma anche persone che con loro vivono questo dramma come la mamma del detenuto, il poliziotto, il magistrato e anche chi ha dovuto subire una grave ingiustizia come i genitori di una ragazza innocente ammazzata. A mio modesto parere manca però la stazione più importante: ovvero quella di Gesù. Manca la voce della persona ingiustamente ammazzata che non ha avuto la possibilità di poter realizzare i propri sogni.

La Via Crucis scritta dai detenuti vuole dunque dimostrarci che un percorso di redenzione è possibile?

Assolutamente si.  Non a caso la Bibbia inizia con un furto (quello di Adamo ed Eva) e un omicidio (Caino e Abele): l’uomo in qualche modo ha rubato la sua libertà; da qui Dio gli dice «io non ti abbandono». E tutta la Bibbia è la storia del rapporto di amore tra Dio e l’uomo, dove l’amore è condividere ciò che non si ha. L’uomo condivide la sua non totale libertà, e Dio condivide l’umanità facendosi uomo.

Da settimane ci ripetiamo «Tutto andrà bene». Nella catechesi di mercoledì è stato il Pontefice a dirci che «Con Dio possiamo davvero confidare che tutto andrà bene». Una speranza a cui possono aggrapparsi anche i carcerati?

Con i detenuti, durante la Quaresima, abbiamo riflettuto sul brano di Vangelo che racconta della morte di Lazzaro. Abbiamo letto di Gesù che piange per la morte dell’amico; abbiamo capito che noi siamo vivi ma magari il nostro cuore è fermo perché abbiamo fatto del male a qualcuno. Gesù ci dice «io piango per questa tua morte però voglio donarti nuovamente la vita». Il ruolo del sacerdote all’interno del carcere, degli educatori e dei poliziotti è dunque quello di cercare di togliere le bende che legano i detenuti in modo che quando escano possano essere più liberi e risorgere a vita nuova. Questa è la speranza che ci indica anche papa Francesco.

Come si sta vivendo l’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus?

Inizialmente i detenuti erano molto spaesati, non capivano la situazione esterna che ovviamente si ripercuoteva anche su di loro. Questa confusione ha provocato sommosse e disordini in diverse carceri italiane, ma non da noi. Il direttore e il comandante della polizia hanno fatto subito un incontro con i rappresentanti delle sezioni, spiegando loro la situazione esterna, chiarendo che la Nazione intera si stava chiudendo per cercare di limitare i contagi. Questo incontro è stato determinante per chiarire la situazione ed evitare possibili disagi. Fuori dal carcere è stato poi allestito un triage della protezione civile per coloro che come me entrano ed escono dalla struttura. All’interno sono state create due zone di quarantena, uno al maschile e uno al femminile, dove il detenuto appena arrestato deve trascorrere 15-20 giorni. Non abbiamo avuto nessuno contagio; se dovesse succedere sarebbe una tragedia.

Silvia Guggiari

11 Aprile 2020 | 17:31
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