La storia di padre Manuel João: «Questa mia sedia a rotelle è diventata per me il migliore dei pulpiti»

La vita è bella, ma breve per realizzare tutti i nostri sogni. «Mi trovo totalmente immobilizzato, ma sento una pienezza di mente e di cuore, sogno una realizzazione che prima non conoscevo. Questa sedia a rotelle è diventata per me il migliore dei pulpiti». L’anno 2010 segna una svolta nella vocazione e missione di padre Manuel João, missionario comboniano, nato a Penajoia, sulla riva del fiume Douro, nel nord del Portogallo. Ordinato sacerdote il 15 agosto 1978, vive i primi anni di sacerdozio nella comunità comboniana di Coimbra, dedicandosi all’animazione missionaria e vocazionale dei giovani. Nel 1985 è destinato al Togo, nell’Africa occidentale, dove lavora come missionario fino al 1993, quando è chiamato a Roma per coordinare la formazione dei giovani candidati nell’Istituto comboniano. Ritorna in Togo nel 2002 ed è eletto superiore provinciale dei missionari comboniani del Togo, Ghana e Benin.
Alla fine del 2010 arriva la rivelazione inaspettata, come racconta lui stesso ai suoi amici: «Il prossimo 28 dicembre lascerò il Togo e ritornerò in Europa, senza sapere cosa mi aspetta. La malattia che mi è stata diagnosticata (la sclerosi laterale amiotrofica, SLA) segue il suo corso e mi porterà con lei, invitandomi ad uno sguardo diverso sulla vita. Rivisitando luoghi e persone, la mente corre verso il passato, ricordando la prima volta, il mio arrivo alla missione, giovane missionario pieno di sogni ed entusiasmo. Sono già passati 25 anni! Allora, tutto era nuovo per me e mi sono lanciato, anima e corpo, in questa avventura. Le difficoltà dell’inizio, l’adattamento al clima, lo sforzo per imparare la lingua e i costumi, l’impegno e la sfida di una nuova cultura… non hanno diminuito il mio entusiasmo. Oggi, molte cose sono cambiate; è cambiata l’Africa e la sua gente, il volto della Chiesa e dei missionari… e sono cambiato anch’io, com’è naturale!».
Il cambiamento in atto, con la malattia, lo allontanerà per sempre dall’Africa. Padre Manuel João vede questo allontanamento come un passaggio di testimone: «È grande la soddisfazione nel vedere altri giovani missionari che raccolgono la fiaccola dell’ideale missionario che ha animato la nostra vita, pronti a continuare adesso la comune missione; ma ritornare a casa è sempre un momento doloroso per un missionario che ha fatto della missione la sua patria».
Ma vede questo ritorno forzato in Europa come una nuova opportunità e un nuovo inizio, e lo descrive così agli amici: «Ritorno sereno, convinto che il Signore continuerà fedele alla promessa che mi ha fatto: Sarò sempre con te, per dare senso alla tua vita! Ritorno, perciò, convinto che il meglio debba ancora venire! Come il vino del miracolo di Gesù alle nozze di Cana! Termino la mia missione in Africa lodando il Signore e accogliendo il Suo invito a riprendere il cammino. Con il mio passo incerto, a causa della malattia, mi rivedo bambino che impara a camminare. Dove mi porterà questa strada non lo so… Ma sento che Dio mi invita alla fiducia, all’abbandono nelle Sue mani».
Il cammino è determinato dalla natura della malattia che avanza e limita i movimenti, a cominciare dalle gambe. Padre Manuel João è destinato a Roma, per far parte dell’equipe che coordina la formazione permanente dell’Istituto comboniano. Resiste al decorso della malattia muovendosi prima con le stampelle e poi con la sedia a rotelle, superando la prognosi dei medici. Ma nel 2016 deve lasciare Roma per essere trasferito in una comunità (Castel D’Azzano, a Verona) dove – come dice – «io possa essere meglio assistito perché la mia inseparabile compagna, la sla, non mi molla». Va a Verona «per rispondere ad un’altra chiamata di Dio a lasciare le mie sicurezze e partire, ancora una volta, in missione. Si tratta della penultima missione, poiché l’ultima sarà quella che ci verrà affidata in Paradiso. Mi dispongo a viverla con l’impegno e la generosità dei lavoratori dell’ultima ora della parabola evangelica». E rassicura gli amici: «Non parto da solo, vi porto nel cuore. Vi sono grato per l’amicizia e la preghiera che hanno ottenuto per me il miracolo della serenità e della gioia che mi hanno accompagnato nella malattia».
Nel corso del 2018 accade un altro momento di «svolta» nel suo cammino, che racconta agli amici: «Sei mesi fa ho avuto una crisi respiratoria, sono stato in ospedale per quattro lunghe settimane e mi hanno fatto la tracheotomia. Adesso respiro con l’aiuto della macchina ed è con difficoltà che riesco a farmi capire. Ad ogni modo, non ho perso il buon umore e, nonostante le difficoltà e gli imprevisti della malattia, sto bene. Mi sento sereno, un dono che Dio mi concede grazie a voi. È vero che mi ritrovo ogni volta più limitato nel corpo, adesso praticamente paralizzato, ma non mi mancano il sorriso e la buona disposizione, e lodo Iddio ogni giorno per il dono della vita. Non potendo usare le dita per scrivere, o la voce per dettare, ho dovuto imparare ad usare il puntatore oculare; cioè, vi scrivo… con gli occhi! Meraviglie della tecnica!».
La sclerosi laterale amiotrofica (sla) è una malattia del foro neurologico, che non ha (ancora) una cura. Piano piano priva la persona dei movimenti muscolari, riducendo il corpo ad una prigione dello spirito. Ma lo spirito vola e il cuore continua ad allargarsi alla misura dei sogni, come dice padre Manuel João: «Chi non ha sentito rinascere nel suo cuore il bambino, la bambina, che continua a credere ai suoi sogni? Il nostro cuore è un pozzo inesauribile di desideri! Peccato che crediamo ad essi solo per alcuni momenti!».

Continua a leggere su Il Sismografo l’intervista di P. Manuel Augusto Lopes Ferreira

7 Gennaio 2020 | 12:18
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